Silvia Moretti, 42 anni, entrò nel pronto soccorso dell’Ospedale Santa Vita con passo sicuro, nonostante il fastidioso dolore all’addome che l’aveva spinta a cercare assistenza medica.
Era una giornata di fine agosto, l’aria ancora calda, pesante ma con un vago annuncio di pioggia.
Mi fa male qui
disse all’infermiera al triage, indicando un punto preciso sotto le costole.
L’infermiera, una donna sulla cinquantina dal viso segnato da anni di turni notturni, la scrutò con occhi stanchi ma vigili.
Potrebbe essere appendicite. O colecisti. O forse un’ulcera. Meglio fare tutti gli esami
sentenziò con tono piatto, come se recitasse un copione imparato a memoria.
Così iniziò l’odissea di Silvia tra i meandri dell’ospedale.
Prima tappa: il laboratorio analisi al piano terra. Code interminabili, aghi che pungono, provette che si riempiono di sangue.
Silvia osservava tutto con un misto di pazienza e crescente inquietudine.
Signora Moretti?
chiamò un giovane medico dal camice immacolato.
I suoi esami del sangue mostrano valori anomali. Dobbiamo approfondire.
E fu così che Silvia si ritrovò al primo piano, reparto di cardiologia. Elettrocardiogramma, ecocardiogramma, holter. Macchinari che ronzavano, schermi che lampeggiavano. Il dolore allo stomaco sembrava un ricordo lontano.
Non possiamo escludere un problema cardiaco
disse il cardiologo con aria grave.
Ma forse è meglio consultare anche la neurologia.
Secondo piano: neurologia. TAC, risonanza magnetica, elettroencefalogramma.
Silvia si sentiva come un topo in un labirinto, sballottata da un esame all’altro, da un piano all’altro dell’ospedale.
I suoi sintomi potrebbero indicare un disturbo neurologico
mormorò il neurologo, scrutando le immagini del suo cervello.
Ma non possiamo trascurare l’ipotesi di un problema ortopedico.
Terzo piano: ortopedia. Radiografie, risonanza alla colonna vertebrale.
Silvia iniziava a chiedersi se fosse entrata in una dimensione parallela, dove il suo corpo era diventato un enigma irrisolvibile per la scienza medica.
Signora Moretti
disse l’ortopedico con aria perplessa
i suoi esami non mostrano nulla di anomalo, ma il suo comportamento… sembra alterato.
Silvia sgranò gli occhi.
Alterato? Ma se sono qui da 12 ore, sottoposta a ogni tipo di esame, sballottata da un reparto all’altro come un pacco postale! È ovvio che sono stanca e frustrata!
Le sue proteste caddero nel vuoto.
Credo sia meglio una valutazione psichiatrica
sussurrò il medico a un’infermiera.
E così, come in un incubo, Silvia si ritrovò al quarto piano: psichiatria. Un reparto chiuso, porte blindate, pazienti dagli sguardi persi nel vuoto. Il suo mal di stomaco era ormai un ricordo lontano, sostituito da un senso di angoscia e incredulità.
Signora Moretti
disse lo psichiatra di turno, un uomo calvo con occhiali spessi
lei mostra chiari segni di alterazione dello stato mentale. Ansia, agitazione, paranoia. Credo sia necessario un ricovero.
Silvia cercò di protestare, di spiegare l’assurdità della situazione, ma ogni sua parola sembrava confermare la diagnosi del medico. Si ritrovò in un letto del reparto psichiatrico, circondata da pazienti con veri disturbi mentali, chiedendosi come fosse possibile che un semplice mal di stomaco l’avesse condotta lì.
Passarono i giorni, poi le settimane.
Silvia osservava il mondo oltre la finestra sbarrata, vedendo le foglie ingiallire e cadere, sentendo l’aria farsi più fredda.
Il suo caso era diventato oggetto di studio per équipe di specialisti, ognuno convinto di trovare nella sua cartella clinica la chiave per risolvere un mistero medico.
E lei, Silvia Moretti, un tempo donna sicura e indipendente, si ritrovava ora a dubitare della propria sanità mentale.
Forse, si diceva nelle lunghe notti insonni, forse era davvero pazza. Forse quel mal di stomaco era stato solo l’inizio di un crollo psicologico che attendeva solo di manifestarsi.
Ma poi, nei rari momenti di lucidità, ricordava. Ricordava di essere entrata in quell’ospedale sana di mente, con un semplice dolore fisico. E si chiedeva se sarebbe mai riuscita a uscirne, se avrebbe mai rivisto il mondo esterno, o se era destinata a rimanere per sempre intrappolata in quel labirinto di diagnosi e paranoia medica, vittima di un sistema che, nel tentativo ossessivo di curare, aveva finito per creare la malattia stessa.
E fuori, l’autunno cedeva il passo all’inverno, mentre Silvia attendeva, sperando in un miracolo che la riportasse alla sua vita di prima, al di là di quelle mura ospedaliere che erano diventate la sua prigione.
Autore Raffaele Mazzei
Da bambino, mia nonna mi raccontava storie straordinarie che mi facevano sentire speciale. Storie che mi hanno insegnato che comunicare è toccare il cuore con un’intenzione pura. Non basta informare. Bisogna creare una connessione autentica con il proprio pubblico, facendogli sentire che fai parte della sua storia, del suo progetto, del suo sogno. Oggi le neuroscienze lo confermano: il coinvolgimento emotivo aumenta l’attività e la recettività cerebrale. Io ne ho fatto la mia professione. Sono Raffaele Mazzei, esperto di comunicazione e copywriter. Con il mio team di professionisti, ti aiuto a creare un messaggio che fa la differenza. Un messaggio che non impone, ma conquista. Che non manipola, ma ispira. Vuoi scoprire come? Visita il mio sito www.raffaelemazzei.it e scopri l’Arte di comunicare.
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