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Pino Donaggio e il fattore C

Pino Donaggio


Di come il talento influenzi la fortuna e viceversa

Ho visto la pubblicità di ‘Don Matteo’ e mi è venuta voglia di scrivere di Pino Donaggio. Voi direte: cosa c’entra? E adesso ve lo spiego.
Venite a bordo della mia solita macchina del tempo, ché vi riporto all’indietro di quasi ottant’anni, precisamente nel novembre del 1941. Atterriamo in quel di Burano, isolotto della laguna veneziana che ha la sfortuna di essere spesso confuso con la più celebre Murano, ma attenzione: Murano è famosa per la lavorazione del vetro, Burano per il Museo del Merletto. Infatti noi arriviamo lì, accolti dalle variopinte casette dei pescatori, e siccome siamo negli anni ’40 uno potrebbe pensare che quando nasci in un posto del genere il tuo destino sia segnato: o finirai per fare il pescatore, oppure in qualche fabbrica di merletti.

Non se ti chiami Giuseppe Donaggio, per tutti semplicemente Pino, e hai un… fattore C direttamente proporzionale a un talento musicale innato. Anzi, più che innato direi genetico, giacché il papà di Donaggio aveva all’epoca un’orchestrina che si esibiva a Venezia e che, per un certo periodo, assunse come cantante un giovanotto di nome Sergio che di lavoro faceva il portiere presso l’Hotel Danieli. Sergio, che di cognome faceva Endrigo, nel complessino del papà di Donaggio ci resterà evidentemente poco.

Comunque sia, il buon Pino cresce a pane e dischi e a dieci anni suona il violino come un angelo, al punto che i genitori decidono di mandarlo a studiare al Vivaldi, il prestigioso Conservatorio di Venezia. Ed è così bravo che in brevissimo tempo diventa primo violino dei Solisti Veneti diretti da Claudio Scimone.

Poi accade il primo degli incontri, chiamiamoli, casuali nella vita di Pino: quello con il direttore Claudio Abbado, che lo vuole nella sua orchestra ‘I Solisti di Milano’. A questo punto la vita e il destino dell’ex bambino prodigio di Burano sembrano scritti: per lui è pronta una carriera da virtuoso del violino. L’ancora minorenne Pino Donaggio inizia infatti a girare l’Europa, e lui stesso ricorda che in quel periodo era sicuro di voler diventare un musicista classico.

Il mondo, però, non aveva fatto i conti con il rock. Alle porte della storia bussano gli anni ’60, un decennio che ancora non si rende conto di quello che rappresenterà a livello di movimento culturale, e Pino decide di partecipare a un concorso musicale in quel di Auronzo di Cadore, in provincia di Belluno. Lì, il violinista si ritrova a interpretare ‘Diana’ di Paul Anka. La musica moderna per Pino è un amore a prima vista, al punto che si mette in testa – lui che ha una formazione classica – di scrivere canzoni rock. Così inizia a fare il giro delle case discografiche milanesi per proporre le sue canzoni, fino a quando non viene messo sotto contratto dalla Curci, benché non abbia ancora raggiunto la maggiore età.

E arriviamo alla prima, grande svolta nella carriera di Pino Donaggio. Tanti artisti devono la loro fortuna a Mina: ad esempio Fabrizio De André, del quale la Tigre di Cremona portò al successo ‘La canzone di Marinella’ quando Faber era ancora uno sconosciuto. Pino Donaggio, invece, famoso ci è diventato perché Mina non interpretò una sua canzone.
È il 1961 e Donaggio scrive ‘Come una sinfonia’. Un bel pezzo, moderno ma dai risvolti classicheggianti, tanto che arriva proprio all’entourage di Mina perché possa cantarlo al Festival di Sanremo. Sfortunatamente però – o meglio, per la fortuna di Donaggio – a quell’edizione Mina partecipa già, e con ben due canzoni: ‘Io amo, tu ami’ e ‘Le mille bolle blu’.

Non potendo cantarne una terza, nasce la folle idea dei discografici: «Scusa, Pino: ma perché non la canti tu?»

A soli diciannove anni, dunque, Donaggio si esibisce a Sanremo con una canzone scritta da lui: la canterà insieme a Teddy Reno, si classificheranno sesti.

Il problema più grande, semmai, per Pino è dare una spiegazione al suo maestro di violino, al quale aveva detto che sarebbe stato via solo una settimana. Tornerà invece dopo un mese abbondante, ormai famosissimo. Anche perché Mina, innamoratasi di ‘Come una sinfonia’, una volta terminato il Festival può finalmente cantarla, portandola a un successo che riecheggia ancora oggi, dato che fa parte della colonna sonora del film ‘Dolor y gloria’ di Pedro Almodóvar. È il punto di rottura: i musicisti classici non prendono bene la “conversione” di Pino alla musica leggera e il suo maestro di violino, addirittura, non gli parlerà per vent’anni.

Ormai comunque Donaggio è una giovane star della musica leggera, ma il meglio deve ancora venire perché, come già detto, il talento da solo non basta: servono pure le botte di… fattore C.

Siamo di nuovo a Sanremo, stavolta nel 1965. Per quell’anno, gli organizzatori si sono inventati di far esibire i cantanti nostrani in coppia con artisti stranieri. Donaggio si presenta con una canzone appena scritta, che ama molto: ‘Io che non vivo’. Solo che viene abbinato a una cantante folk inglese, tale Jody Miller, non esattamente un pezzo da novanta della kermesse. La versione della Miller, troppo lirica, non scalda i cuori della giuria, così a Donaggio sembra di aver sprecato la miglior cartuccia della sua vita. Ma il Destino, e l’ormai famoso fattore C, sono sempre in agguato.

Succede che a quel Sanremo partecipa anche un’altra cantante inglese, ben più celebre: Dusty Springfield, che si esibisce in coppia con Gianni Mascolo, ‘Di fronte all’amore’, e con Fabrizio Ferretti, Tu che ne sai?’. Entrambe le canzoni vengono subito eliminate, così la Springfield fa ritorno a Londra. Non prima, però, di aver acquistato il disco di quella che a suo parere è la più bella canzone in gara quell’anno: ‘Io che non vivo’.

Qualche tempo dopo, Donaggio viene convocato ai piani alti della sua casa discografica. Gli viene mostrata una copia di Billboard, sulla quale c’è scritto che il nuovo brano di Dusty Springfield, intitolato ‘You Don’t Have To Say You Love Me’, ha venduto un milione di copie. Il buon Pino fa spallucce, probabilmente si chiede: «E a me cosa dovrebbe fregare?» ma non fa in tempo a pensarlo che qualcuno fa girare il disco della Springfield sul piatto e… tadàn! È ‘Io che non vivo’, solo che in inglese. Ed è il lasciapassare per l’immortalità.

Di ‘Io che non vivo’ non si contano più le cover: l’ultima dovrebbe essere quella interpretata da Il Volo, ma senza dubbio il climax viene raggiunto quando il Re in persona, Elvis Presley, decide che quella canzone è così bella che anche lui deve inciderne una versione. Il brano di Donaggio è tuttora considerato uno dei classici italiani, al pari di ‘Nel blu dipinto di blu’, ed è entrato nella classifica delle 100 migliori canzoni di tutti tempi stilata dalla BBC, vendendo in tutto il mondo oltre 80 milioni di dischi.

Donaggio poi un giorno a New York, sempre per caso, ammesso esista, incontra Dusty Springfield, che in pratica gli si butta in braccio, lo bacia e gli dice: «Hai scritto la canzone della mia vita!» frase alla quale Pino risponde: «E che non lo so? È pure la canzone della mia vita!»

Nel 1973 l’ennesimo colpo di scena. Pino è all’apice del successo, ricco e osannato. Eppure, cambia di nuovo le carte in tavola e anche questa volta per via di quel suo celeberrimo fattore C. Sono le sei di mattina, lui sta rientrando a casa in vaporetto e nella laguna veneziana c’è una nebbia di pazzi. Sul ponte del traghetto Donaggio fa la conoscenza con un produttore cinematografico, tale Ugo Mariotti, il quale gli racconta che in quel periodo sta producendo un film che tratta di parapsicologia, il cui titolo sarà poi ‘A Venezia… un dicembre rosso shocking’, per la regia di Nicholas Roeg che dirige gli straordinari Donald Sutherland e Julie Christie. Com’è e come non è, Mariotti propone a Donaggio di scrivere le musiche per il suo film, e Donaggio accetta.

Il film sarà un mezzo fiasco, tuttavia un paio di anni più tardi, precisamente il giorno della vigilia di Natale del 1975, viene a mancare Bernard Hermann, storico autore delle musiche dei film di Hitchcock, Scorsese, Truffaut, Welles, De Palma. Fra tutti questi, proprio De Palma è in difficoltà poiché Hermann avrebbe dovuto scrivere la colonna sonora del suo nuovo film, ‘Carrie – lo sguardo di Satana’, tratto dal romanzo di Stephen King. La disperazione del regista cessa quando qualcuno gli fa ascoltare le musiche di ‘A Venezia… un dicembre rosso shocking‘. Chi sarà mai quel compositore che suona gli archi come il grande Hermann?

Si aprono così per Pino le porte di Hollywood, ed è l’inizio di una nuova fase per l’ex bambino prodigio nato a Burano che pensava di diventare violinista, salvo poi scrivere una delle canzoni più belle e immortali di ogni epoca. Diventerà l’autore di quasi tutte le colonne sonore dei film di De Palma, e lavorerà con altri mammasantissima di Hollywood come John Dante e David Schmoeller.

A quel punto, Donaggio può anche togliersi qualche sfizio e scrivere musiche per film più “leggeri” e soprattutto nostrani: ad esempio ‘7 chili in 7 giorni’ di Verdone o l’indimenticabile ‘Non ci resta che piangere’ del duo Troisi – Benigni. Senza dimenticare il sodalizio con Terence Hill, nato nel 1983 con la colonna sonora del ‘Don Camillo’ rivisitato in chiave moderna dall’attore veneziano, e che dura tuttora con le musiche di Don Matteo, la fortunata serie TV targata RAI.

Azz, ci ho messo tanto a spiegare, ma alla fine il cerchio l’ho chiuso.
Il Maestro Donaggio oggi si gode la serenità dei suoi anni e il dolce sapore del suo successo ultradecennale, certificato nel 2019 dal Premio Tenco alla carriera. E, di certo, la sua storia è la dimostrazione di come non importino il tuo luogo di nascita e le aspettative di vita che ti sei dato: è il fattore C, che noi nobilitiamo chiamandolo Destino, a pavimentare la strada per l’immortalità. Bisogna solo essere bravi a intuirne i segnali, seguendo il suo volere. Certo, a patto di nascere con un talento incommensurabile come quello di Pino Donaggio.

Autore William Silvestri

Autore, formatore e direttore editoriale di Argento Vivo Edizioni. Prima di entrare nel mondo dell'editoria ha pubblicato i romanzi 'Divina Mente', 2011, 'Serial Kinder', 2015, e 'Ci siete mai stati a quel paese?', 2017, 'Io e la mia scimmia', 2019, oltre al saggio esoterico 'Chi ha paura del Serpente?', 2015.

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