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Il petroliere, classico moderno con un grande Day-Lewis

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‘Il petroliere’ è un film epico, ha il sapore della cinematografia degli albori; è l’emblema di quelle opere che non possono non diventare classici.

Ma, allo stesso tempo, ha la particolarità di essere stato creato con la genialità tipica dell’autore che non è scontato attiri il grande pubblico: la narrazione non ha certo la fluidità o il ritmo tanto caro alla Hollywood convenzionale e l’amoralità che condiziona la storia è decisamente politicamente “scorretta”.

Crudo, intenso, fastidioso, emozionante, sanguinolento; e infatti il titolo originale è ‘There will be blood’, letteralmente “ci sarà sangue”.
E ne scorre di sangue, dall’inizio alla fine, per morti accidentali e morti violente, per omicidi di convenienza o di semplice istinto; tutto ciò ha portato il regista Paul Thomas Anderson a definire la sua opera un horror.

A parte la provocazione dell’autore, penso sia impossibile etichettare questa pellicola ed annoverarla in qualche genere: il magnifico inizio da western mitologico, un quarto d’ora circa senza che venga detta una sola parola, pare un omaggio chissà quanto volontario al Leone di ‘C’era una volta il west’ ed è significativo constatare come bastino le cupe immagini di un uomo che cerca argento in un buco nella terra, i rumori della pietra, i lamenti per le ferite provocate da una caduta, il suono del silenzio circostante, ad introdurre una storia ponendo le basi per le successive due ore e mezza di film.

L’epopea di un minatore divenuto petroliere

L’introduzione claustrofobica fa da assaggio alla dimensione autorale su cui si muove ‘Il petroliere’, opera tratta dal romanzo ‘Oil!’ di Upton Sinclair adattata per il grande schermo dallo stesso Anderson che ha preso spunto anche da personaggi realmente esistiti, come il magnate del petrolio Edward Doheny, per dare vita a Daniel Plainview, il protagonista della storia.

L’epopea di quest’uomo, che da minatore texano cercatore d’oro e d’argento diventa uno dei più ricchi petrolieri degli Stati Uniti, viene raccontata attraverso il suo egoismo, la sua avidità, attraverso quegli affetti che, nonostante tutto, rimarranno indissolubili anche se la sua crudeltà porterà, di volta in volta, a sacrificarli.

Come, del resto, tutto verrà sacrificato lungo il suo percorso esistenziale – vite umane, rispetto per gli altri – per eliminare ogni ostacolo tra lui e la scalata al potere da sempre agognato.

Essenziale nella sua ascesa sarà l’incontro-scontro con la religione, con l’aspetto più marcio della spiritualità, che, al suo cospetto, si presenta con le sembianze di un giovane sacerdote bravo, come se non più di lui, ad abbindolare le persone e tanto ambiguo da rendere la sua comunità una clientela più o meno docile a seconda della convenienza e diventando, egli stesso, un affarista assetato di oro nero.

Potere economico ed integralismo religioso vengono raccontati come due facce della stessa medaglia: la nascita del capitalismo petrolifero di pari passo con la crescita del business della fede, lo sfruttamento delle ingenuità e delle debolezze umane e spirituali per lo stesso identico fine.

È l’altra storia dell’America, di quella prosperata in questi anni, di quella che non può prescindere né dai colossi petroliferi né dal fondamentalismo cattolico per prendere una qualsiasi decisione.

Un attore eccezionale al servizio di uno dei migliori registi contemporanei

Paul Thomas Anderson aveva già dato sfoggio delle sue capacità con la direzione del bellissimo ‘Magnolia’, ma con questa pellicola si è superato perché era difficile sceneggiare tale storia e raccontarla in maniera originale.

Ci è riuscito con scelte eccellenti e rischiose, a partire dal minimalismo optato per i particolari e dalle riprese ora in campo lungo, con piani sequenza documentaristici, ora in primo piano, quasi stile calamita.

La straordinaria fotografia è una conseguenza della regia di Anderson e la scenografia naturale degli spazi texani è immortalata egregiamente dal direttore Robert Elswit, giustamente premiato con l’Oscar.

A proposito di Oscar, non si può prescindere da Daniel Day-Lewis parlando de ‘Il petroliere’: migliore attore secondo l’Academy per la sua interpretazione di Daniel Plainview, è assolutamente diabolico nella sua magnificenza, non si riesce ad immaginare altri che avrebbero potuto calarsi con la sua stessa intensità e devozione in questo personaggio così detestabile, imprevedibile e determinato… attore immenso.

Nella difficoltà di tenere il passo di un mostro di bravura come Day-Lewis sono da elogiare tutti gli interpreti di contorno, a cominciare da Paul Dano e la sua maschera di pseudo-sacerdote, Ciaran Hinds nel ruolo del comprensivo e fedele braccio destro di Plainview, Kevin O’Connor, il fratello (?) che spunta all’improvviso, ma, soprattutto, il giovanissimo Dillon Freasier nei panni del bambino che viene accudito e cresciuto dal petroliere divenendo, con il tempo e per colpa di un incidente, emblema morale della storia. 

‘Il petroliere’ è un’egregia opera cinematografica ed è la dimostrazione che per fare un film politico non è strettamente necessario parlare di uomini politici.

Autore Paco De Renzis

Nato tra le braccia di Partenope e cresciuto alle falde del Vesuvio, inguaribile cinefilo dalla tenera età… per "colpa" delle visioni premature de 'Il Padrino' e della 'Trilogia del Dollaro' di Sergio Leone. Indole e animo partenopeo lo rendono fiero conterraneo di Totò e Troisi come di Francesco Rosi e Paolo Sorrentino. L’unico film che ancora detiene il record per averlo fatto addormentare al cinema è 'Il Signore degli Anelli', ma Tolkien comparendogli in sogno lo ha già perdonato dicendogli che per sua fortuna lui è morto molto tempo prima di vederlo. Da quando scrive della Settima Arte ha come missione la diffusione dei film del passato e "spingere" la gente ad andare al Cinema stimolandone la curiosità attraverso i suoi articoli… ma visto i dati sconfortanti degli incassi negli ultimi anni pare il suo impegno stia avendo esattamente l’effetto contrario. Incurante della povertà dei botteghini, vagamente preoccupato per le sue tasche vuote, imperterrito continua la missione da giornalista pubblicista.