Dovresti ormai sapere che amo fare spesso il parallelo fra letteratura e cinema. Si tratta, in fondo, di raccontare delle storie in entrambe le arti, con la differenza che il cinema è immediato: vedi con gli occhi la storia che scorre sullo schermo; invece in letteratura la difficoltà è maggiore e il lettore non può vedere. Ma è vero fino a un certo punto.
Sai anche un’altra cosa: ogni storia che si rispetti ha bisogno di un certo numero di personaggi. Abbiamo già parlato delle differenze fra protagonisti, personaggi secondari e personaggi minori, così oggi vorrei porre l’accento su qualcosa di diverso.
La parola “personaggio”, al contrario di quello che uno potrebbe pensare, noi la dobbiamo ai francesi. Ebbene sì, non ci copiano tutto: a volte fanno qualcosa di buono anche loro.
Il termine deriva infatti da personnage, che a sua volta proviene da personne, persona.
“Personnage” è un gioco linguistico che un francese imprecisato un giorno si è inventato per dire un sacco di cose con una sola parola. Questo concetto definisce infatti tutto un insieme di caratteristiche proprie di una certa persona: attributi fisici, psicologici, estetici, esistenziali, sentimentali, economici, tutto. Un po’ come per la parola “equipaggiamento” che indica tutto l’occorrente dell’equipaggio, quel concetto che abbiamo mutuato dai nostri cugini transalpini è il bagaglio della persona: tutto ciò che è suo e soltanto suo, e non parlo soltanto di oggetti materiali.
Ma chi, o cosa, è la persona? Sembra banale, ma la risposta a questa domanda potrebbe sorprenderti. Anche questa parola l’abbiamo ereditata, ma non dalla Francia: dai nostri “padri” Romani. La parola in questione è molto simile: persōna. Solo che significa… maschera!
Facciamo un po’ di storia? E di etimologia? A me piacciono entrambe, e spero anche a te. Il termine latino “persōna” ci è giunto in realtà dagli Etruschi, che avevano coniato il corrispettivo phersu per identificare proprio le maschere degli attori teatrali; e a loro volta, gli Etruschi avevano importato il termine dai Greci – alla fine è sempre colpa loro – che la maschera la chiamavano πρóσωπον (si legge: prósôpon).
Che significa tutto questo, perché ti sto raccontando queste cose? Sto forse dicendo qui e ora che quelle che noi consideriamo persone – e questo vocabolo include anche te e me -– sono niente altro che maschere?
Pirandello diceva:
Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.
Non so dirti se Pirandello avesse ragione, con ogni probabilità penso di sì, tuttavia questa domanda non ha niente a che vedere con il nostro corso. In realtà trovo molto più probabile l’ipotesi che, proprio perché il linguaggio è dinamico, nel corso dei secoli il termine “persona”, nato per indicare la maschera indossata da un attore, per estensione abbia finito per significare un determinato essere umano. In fondo, è pur vero che siamo tutti attori e che la vita è una gigantesca rappresentazione teatrale, come scriveva Erving Goffman, sociologo canadese di fama mondiale.
Restiamo sul palcoscenico. Non ci allontaniamo dalla realtà se affermiamo che il vero teatro sia nato con la tragedia greca, aridaje. Lo sai che ad Atene le donne non potevano recitare? Difficile da accettare di questi tempi, però funzionava proprio così: le parti femminili venivano interpretate da ragazzini oppure da uomini castrati, per meglio simulare una voce più aggraziata e meno mascolina. Naturalmente questi attori che si calavano in ruoli femminili indossavano delle maschere, ma in verità tutti gli attori ne indossavano una: sia per essere riconoscibili da lontano, sia perché le maschere amplificavano la voce dell’attore – pensa all’acustica di un anfiteatro e concorderai.
Ora, la questione è questa. Agli attori greci bastava indossare una maschera per diventare un certo personaggio e recitare: l’occhio dello spettatore, la musica, i versi, le rime e la bravura dell’attore erano tutto ciò che occorreva per mettere in scena uno spettacolo.
In narrativa no, la maschera/persona non basta perché la persona non è sufficiente.
Noi dobbiamo farla diventare un personaggio, e torniamo quindi al discorso iniziale sulla parola personnage: equipaggiare l’attore di tutto l’occorrente perché sia riconoscibile, credibile e profondo. Con l’aggravante che il lettore deve sforzarsi per immaginarlo, non può vederlo se non attraverso la parola scritta.
Se sei stato attento, prima ho parlato di caratteristiche del personaggio e questa parola deriva da carattere. A sua volta, carattere ci arriva dal greco – giuro, è l’ultima! – χαρακτήρ (leggi: kharaktér) che vuol dire… impronta! Tu dirai: cosa c’entra l’impronta con il carattere?
Di sicuro avrai sentito frasi come:
Un personaggio che ha lasciato un’impronta nell’immaginario collettivo.
E se ci pensi, “impronta” è una parola legata al verbo imprimere. Immagina che stiamo facendo una passeggiata in riva al mare: i nostri piedi lasciano delle impronte sul bagnasciuga, ma l’impronta del tuo sarà diversa da quella del mio. Lo stesso vale per i caratteri, delle persone ma anche dei personaggi.
Ma come facciamo a costruire i nostri personaggi letterari affinché le loro caratteristiche li rendano memorabili? Come si fa a creare un personaggio che si imprimerà nella mente di chi lo incontra leggendo, lasciando appunto un’impronta nei suoi ricordi?
Attraverso quel processo di modellazione lungo, difficile e laborioso che va sotto il nome di caratterizzazione dei personaggi. Letteralmente, l’azione di costruire un carattere.
Ti propongo le seguenti coppie famose della letteratura: Romeo e Giulietta; Tristano e Isotta; Paolo e Francesca; Renzo e Lucia. Insomma, il giochino l’hai capito. In tutti questi esempi e in molti altri sono presenti i medesimi stereotipi: l’eroe che affronta il suo destino per l’amata, l’eroina che segue l’amato verso una conclusione più o meno tragica.
Il leitmotiv è ricorrente nelle loro storie: si amano ma qualcuno/qualcosa ostacola il loro amore. Eppure, sarebbe ingiusto affermare che Romeo e Renzo abbiano lo stesso carattere, o che Francesca e Lucia (sono agli antipodi!) rappresentino lo stesso cliché di femminilità.
Quello che dobbiamo fare è dunque caratterizzare i tuoi personaggi e provare a renderli unici. Certo, dovremo seguire i solchi di 6.000 anni di letteratura e ci torneranno utilissime quelle lezioni passate sul monomito e sugli archetipi.
Esercizio
Individua almeno tre esempi di Eroi della letteratura e scrivi a tuo avviso quali sono le loro qualità e i loro difetti più evidenti.
Autore William Silvestri
Autore, formatore e direttore editoriale di Argento Vivo Edizioni. Prima di entrare nel mondo dell'editoria ha pubblicato i romanzi 'Divina Mente', 2011, 'Serial Kinder', 2015, e 'Ci siete mai stati a quel paese?', 2017, 'Io e la mia scimmia', 2019, oltre al saggio esoterico 'Chi ha paura del Serpente?', 2015.
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