Ancora oggi ferve il dibattito sull’utilità del greco e del latino e molti continuano a chiedersi che senso abbia, in un mondo sempre più globalizzato dove il grado tecnologico è sempre più avanzato, sottrarre ore alle materie scientifiche e alle lingue moderne.
A quanti studenti, di ieri come di oggi, il greco sarà apparso una lingua astratta, estranea a qualsiasi uso, imbrigliata in rigidissime regole fonetiche e morfologiche e così poco vitale da essere considerata una lingua morta?
Lo studio del latino e del greco dovrebbe essere innanzitutto ricondotto a motivazioni storiche piuttosto che pedagogiche. Bisognerebbe sfatare il luogo comune della maggiore “logicità” delle lingue classiche. Non esistono, infatti, lingue che fanno riflettere più di altre, in quanto l’analisi contrastiva tra il sistema linguistico della lingua madre, l’italiano nel nostro caso, e un’altra lingua, che può essere il greco antico o il latino, ma anche una lingua moderna, assolve alla funzione formativa. Se riducessimo il problema dello studio della lingua greca a quello della logicità, non si farebbe altro che sostenere la tesi di quanti vorrebbero limitarne lo studio o addirittura eliminarlo, concedendo maggiore spazio a discipline considerate “pratiche” e più attinenti alla modernità, come se la modernità fosse estranea allo studio delle lingue classiche. Se lo scopo dello studio del latino e del greco fosse semplicemente affinare le competenze logiche, forse potrebbe risultare più utile dedicarsi ad una lingua molto più distante dalla nostra, come il cinese o l’arabo.
Credo che la questione si possa affrontare partendo dall’impoverimento della nostra lingua, che, insieme alle altre lingue romanze, discende dal latino. Proprio perché l’italiano è una fase più recente del latino, la conoscenza profonda del latino aiuterebbe ad usare l’italiano, se non con maggiore consapevolezza, almeno un po’ meglio. Si assiste, invece, all’inarrestabile declino della lingua italiana, come si evince chiaramente, per citare un esempio, dall’appiattimento dei registri linguistici: sebbene esista una moltitudine di registri, che va dall’aulico fino al colloquiale e familiare, i più, molto spesso ignorano che gli usi linguistici si adattano al contesto e che quindi c’è la possibilità di scegliere tra le numerose varietà dell’italiano contemporaneo. Altro tipico esempio del degrado dell’italiano è la scomparsa del congiuntivo, che va a discapito dell’espressione di sottilissime sfumature del pensiero. Anche il lessico negli usi si semplifica e si impoverisce drasticamente ed è un dato di fatto che il ricchissimo italiano della nostra tradizione letteraria orami sia per molti italiani addirittura una lingua straniera. Molti potranno obiettare che l’accesso ai classici della nostra tradizione è facilitata dall’accompagnamento delle note al testo, ma non si deve assolutamente dimenticare che la tradizione classica è modello di quella italiana, per cui una lettura priva della consapevolezza della matrice greco-romana sarebbe fuorviante.
Per comprendere il valore degli studia umanitatis oggi sarebbe sufficiente osservare che la civiltà europea ha scritto e pensato innanzitutto in greco e in latino e che le lingue europee, anche quelle non neolatine, hanno mutuato dalla tradizione classica temi e forme del pensiero. Il latino e il greco, dunque, sono strumento indispensabile per riappropriarci della nostra identità culturale, presupposto della tanto agognata unità europea, un’unità che non si fondi esclusivamente sull’«anonimia di un potere economico-militare globale»[1].
Quale destino allora si profila per il greco ed il latino? Punto focale della questione, a mio parere, resta la situazione dell’insegnamento del greco e del latino. Queste due lingue, a differenza di quelle moderne che si possono apprendere con l’uso vivo, richiedono lunghi tempi di apprendimento (si pensi che una volta, in seguito alla riforma gentiliana della scuola, si accedeva agli studi universitari dopo ben otto anni di latino). Ma la questione –credo- non è meramente quantitativa, ma, come spesso accade, soprattutto qualitativa. Innanzitutto andrebbe condannata la pratica di studiare la grammatica greca e latina al biennio, per poi abbandonarla quasi del tutto durante il triennio liceale, dove lo studio del latino e del greco è ridotto alla lettura dei manuali di storia della letteratura e alla lettura di classici – molto spesso pochi – già tradotti. La deleteria separazione tra lingua e cultura, purtroppo, si legge addirittura nelle indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento, come se lingua e cultura fossero due settori distinti e la lingua non fosse lo strumento per accedere alla letteratura e alla cultura.
Perché, dunque, studiare ancora il greco ed il latino? Perché prima di essere italiani ed europei, siamo “greci” e “latini”. Tutti, dunque, dovrebbero studiarli. Tuttavia, riguardo allo spinoso problema dello studio delle lingue non si può illusoriamente ritenere che tutti possano indistintamente accedere al loro studio. In una società dove si mette ancora in discussione il valore e l’utilità della tradizione classica (si pensi alla recente proposta di tagliare le ore di latino e di greco da parte del Ministero francese) sarebbe impensabile espandere lo studio del greco e del latino ad ogni indirizzo di studi. Più realisticamente il diritto alla conoscenza del mondo classico, che – ribadisco – è presupposto per raggiungere la consapevolezza della nostra identità culturale, non può sempre implicare l’obbligo dello studio delle lingue. D’altra parte la latinità e la grecità non si difendono costringendo tutti a studiarle male. È fondamentale, al contrario, che lo studio della lingua sia riservato ai percorsi specifici, cioè al liceo classico, per il greco e latino, e al liceo scientifico, per il solo latino, purché sia serio e profondo. Ci si accorgerebbe, forse, che Greci e Romani non sono così inattuali, come qualcuno ancora crede.
Carmelo Cutolo
[1] M. Vegetti, «Classico o antico?» in (I. Dionigi ed.) Di Fronte ai classici. A colloquio con i Greci e i Latini, Milano 2002, p. 275.
Autore Carmelo Cutolo
Carmelo Cutolo, giornalista pubblicista, dottore di ricerca in Filologia classica, docente di lettere nelle scuole di secondo grado, appassionato di poesia, di ciclismo e di calcio.