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Perché non festeggio quello che è stato il Napoli

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Napoli


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Ovvero, i motivi per i quali l’ormai probabile scudetto dell’oltre Napoli non mi provoca nessuna emozione

Per gentile concessione di Terroni TVMagazine.

Napoli si sta preparando a celebrare, con un certo anticipo, una vittoria che non è ancora arrivata, anche se le probabilità continuano ad essere molto alte.

Certo, il fervore popolare, fa sempre piacere, soprattutto quando sfocia nel colore, nella fantasia, nel calore che solo la città partenopea sa esprimere.

Ma, andando oltre, ci si chiede se ci sia davvero qualcosa da festeggiare.

Da tempo la frattura tra proprietà e parte della tifoseria è insanabile.

L’errore di identificare il dissenso solamente con il tifo organizzato è dettato da superficialità o da cattiva fede.

Da un lato la tendenza, sempre più diffusa in ogni campo, di provare ad etichettare negativamente chi la pensa diversamente.

Dall’altro, fa comodo a tanta stampa asservita.

Per cui chi contesta lo fa per interesse, non gli danno più ingressi gratuiti. Non gli permettono di spacciare.

Detto da chi si svende per qualche invito a conferenze stampa e qualche accredito fa alquanto sorridere.

Ma sul ruolo di certa stampa, in tempi non sospetti e in altri frangenti ci eravamo già pronunciati.

Del resto, la brutta abitudine arriva proprio da chi si dice proprietario del Napoli.

Non riesco a capire questa tendenza distruttivo. Ma poi chi sono questi tifosi? Non sono i 40 mln nel mondo, ma qualche malato, drogato che non capisce nulla, facendosi il mercato con gli amici e facendo delle scommesse interne, magari scommettendo a 3, a 5 o a 10 che arriva qualcuno. Vendiamo più maglie? No, quello no. A Napoli c’è il gusto del pezzotto, vogliono spendere i miliardi di euro per compare i giocatori, ma poi si fanno il pezzotto, spingono ai tornelli per entrare in più. Loro contestano De Laurentiis, ma io contesto loro.
Aurelio De Laurentiis 15 agosto 2018 – Fonte Radio Kiss Kiss

Per cui, se lo contesti, sei drogato, non capisci di calcio. Fai il pezzotto.

Ma questo è niente.

Nel suo pittoresco accento romano, anche se lo stesso rifiuta questa identificazione, questo signore ebbe a dire:

Ma che cazzo avete vinto a Napoli? Dal 1926 avete vinto due scudetti e una coppa UEFA. C’è gente che ha vinto venti coppe e allora? Sono più di vent’anni che non stavate rivivendo un certo periodo di protagonismo, perché io me ne posso pure andare perché uno poi si rompe pure i coglioni e se ne va. Se io devo stare qua c’è bisogno che tutti quanti ci rendiamo conto e armonizziamo e i tifosi per primi, per i quali ho sempre umilmente detto che lavoro, perché il mio committente è il tifoso, però tutti quanti dobbiamo stare con i piedi per terra. Perché qui a Napoli non funziona un cazzo. Non è che dici, sai, che a Napoli funziona tutto e poi c’è anche il calcio. No, a Napoli c’è solo il calcio. E allora ringraziatemi.
Aurelio De Laurentiis – 25 gennaio 2012 – Fonte Radio Kiss Kiss

Adesso, origini o meno, come dicevamo, l’accento, se non altro quello, sembra non essere esattamente partenopeo, al signore in questione andrebbero ricordate alcune cose, visto che nessuna stampa ha mai battuto ciglio a seguito di questi insulti.

Se non per pregarlo di non andarsene, come se fosse possibile che un mediocre imprenditore possa mai disfarsi della gallina dalle uova d’oro.

Il web del percorso di studi del produttore nato a Roma non dice niente, non si sa se per dimenticanza o per deferenza.

Certa è la sua profonda ignoranza storica. Circa la storia di Napoli in particolare.

Più antica della stessa Roma, può vantare 3000 anni di storia.

Inutile indugiare sui tanti primati di Napoli, Osservatorio astronomico, Università, Orto botanico, sono sotto gli occhi di tutti, tranne di chi non vuole vedere.

Il centro storico patrimonio dell’UNESCO.

Ha dato i natali a personaggi immensi come Giambattista Basile, l’autore de Lo cunto de li cunti, che prima degli stessi fratelli Grimm o di Andersen ha messo per iscritto le fiabe della tradizione popolare e che quindi ha inaugurato il genere, Gaetano Filangieri, che ha ispirato il diritto alla felicità della Dichiarazione di indipendenza statunitense, Giambattista Vico, che con La Scienza Nuova mette l’uomo al centro dell’universo, tanto per citarne alcuni dei meno celebrati.

Come sono da considerare napoletani anche Torquato Tasso, genio della Gerusalemme liberata, e Giordano Bruno, simbolo del libero pensiero.

Per non parlare di coloro che a Napoli hanno trovato la loro patria elettiva, da Virgilio a Benedetto Croce, passando per Alessandro Scarlatti e Giuseppe Mercalli.

Napoli è anche la città di grande tradizione canora, che risale al XIII secolo, diventata simbolo della melodia italiana del mondo, a partire da alcuni dei tenori più importanti della storia, in primis l’immenso Enrico Caruso, che ha visto autori come Sergio Bruni, Roberto Murolo, Renato Carosone, Enzo Gragnaniello, Pino Daniele, tanto per citarne qualcuno.

Tra gli interpreti, ricordiamo, inoltre, Mario Abbate, Massimo Ranieri, Nunzio Gallo, Mario Trevi, Consiglia Licciardi, Teresa De Sio, Mario Merola.

Non c’è tenore che non abbia cantato in napoletano, Giuseppe Di Stefano, Plácido Domingo, José Carreras, Luciano Pavarotti, ma lo hanno fatto anche icone della musica pop come Claudio Villa, Al Bano, Renato Zero, Mina, Nina Simone, Frank Sinatra, Renzo Arbore.

Hanno composto in napoletano autori come Lucio Dalla o Domenico Modugno.

Elvis Presley riscrive in inglese brani come ‘O sole mio, che, nella versione It’s Now or Never, diventa il suo singolo più venduto, con 20 milioni di copie in tutto il mondo, o anche Torna a Surriento, che diventa Surrender, o anche Santa Lucia, tanto da venire indicato simpaticamente da qualcuno, come il più grande cantante napoletano di tutti i tempi.

O vogliamo parlare della tradizione teatrale?

Sannazaro, Caracciolo, Scarpetta, Viviani, Petito, i De Filippo, Totò, Taranto, De Simone, Troisi, Ruccello, Russo.

Anche questa lista potrebbe essere infinita, o quasi.

E aggiungiamo uno scenario naturale semplicemente favoloso, una tradizione gastronomica famosa in ogni dove.

E non sono solo vecchie glorie o i fasti di un passato.

Correva il 2015 quando il prestigioso quotidiano inglese The Telegraph incoronò Napoli come la città più bella del mondo.

 

Ma anche di eccellenze che l’Italia finge di ignorare, che sono invece celebrate all’estero.

Come la perfetta organizzazione dell’ospedale Cotugno durante il Covid, mentre la tanto decantata sanità del nord faceva segnare la mortalità più alta al mondo, oggetto di un servizio di Sky News.

Oppure ortopedici come Nicola Maffulli, che porta l’ortopedia napoletana in tutto il pianeta.

Ci fermiamo qui.

Questo non solo per dire che forse, nonostante la forte spinta facciamoschifista, a Napoli ci sono ancora eccellenze, ma, soprattutto per sottolineare al buon don Aurelio come, di fronte a tanta magnificenza, non possa aspirare nemmeno al ruolo di semplice ‘emissione’ di Barbariccia.

Ed elli avea del cul fatto trombetta.
Dante Alighieri – La Commedia, Inferno, Canto XXI – verso 139

Soprattutto se pensiamo cosa sia il Calcio Napoli nel suo gruppo aziendale, dove il Napoli conta per il 94% del fatturato.

Sembra che, contrariamente a quello che il nostro pittoresco cinepanettonaro afferma, sia stata Napoli e il Napoli a donargli qualche frammento di grandezza.

Facciamo una riflessione, come semplice esercizio di ragionamento.

La FilmAuro viene fondata nel 1975 da Luigi de Laurentiis, che ne detiene la presidenza fino alla morte, assieme al nostro, che all’epoca aveva solo 26 anni.

Sotto la guida di Luigi sono prodotti capolavori di Pasquale Festa Campanile, Un borghese piccolo piccolo, di Mario Monicelli con Alberto Sordi, Amici miei atto II e atto III, Maccheroni, di Ettore Scola, Luna di fiele, di Roman Polanski.

Con la nuova guida si ha una sferzata netta verso il cinepanettone.

Indubbiamente un salto di qualità. Cinema italiano che cambia? Livello dei consumi culturali che sia abbassa?

Chissà.

Qualcosa ci sarebbe da dire anche circa il fallimento del Napoli. Su un Verona – Parma di cui si è occupato anche Report, figlia di quella che sembra essere una multiproprietà non dichiarata.

Cosa sarebbe successo se il Napoli non fosse retrocesso?

Non lo sapremo mai.

Non ci soffermiamo più di tanto nemmeno su quanto sia stato pagato e come il Napoli dopo il fallimento.

Ricordiamo solo che l’investimento iniziale relativo all’acquisto del ramo d’azienda è stato finanziato con l’indebitamento bancario con UNICREDIT e grazie ai consistenti flussi di cassa; già dal bilancio 2007-2008, la voce debiti verso banche reca importo zero.

Invece, l’investimento in capitale di rischio dell’azionariato di SSC Napoli SpA dal mese di agosto 2004 al 30 giugno 2015 è stato di 16,65 milioni, cui si è aggiunto un finanziamento soci infruttifero per 3,9 milioni.

Nello stesso periodo i componenti del CdA hanno percepito circa 18,9 milioni di Euro.

Praticamente il Napoli si è comprato da solo, o quasi.

Niente male per un pezzo di carta.

Nel 2004 con 37 milioni miei presi un pezzo di carta, tornai da Los Angeles e il Napoli non esisteva, Galliani mi prestò un calciatore, comprammo le magliette dal tabaccaio, facemmo la squadra con tre settimane di ritardo, ci allenammo sui campi dell’Ariston di Paestum.
Aurelio de Laurentiis – 26 maggio 2022

Un pezzo di carta che fa 60.000 spettatori in serie C per un Napoli – Cittadella, polverizzando ogni record della categoria.

Un pezzo di carta con milioni di tifosi nel mondo.

Un pezzo di carta che rappresenta una capitale millenaria, l’unica metropoli italiana con una sola squadra di calcio.

Ma andiamo avanti.

Glissiamo anche sui vaneggiamenti riguardanti le decine di stadi che stavano per essere costruiti un po’ ovunque tra Napoli e provincia e le supercazzole sui cinesi.

Oltre ad essere l’unico caso al mondo di presidente che offende tifosi e città, il nostro, ben presto, comincia a far parte di quello che è senza dubbio un disegno teso a cancellare l’identità di Napoli, in ogni settore, calcio compreso.

A Napoli non funziona niente.

La pizza? Meglio quella romana. Certo, l’accento è più familiare.

Un altro tassello si aggiunge l’8 novembre 2015, quando vi furono sequestri di bandiere e sciarpe con il simbolo dei Borbone da parte della Polizia erano avvenuti prima di Napoli – Udinese.

Anche il 31 gennaio 2016, all’ingresso di quello che era ancora lo stadio San Paolo furono confiscate sciarpe e bandiere con lo stemma del Regno delle Due Sicilie.

Perché a Venezia si può entrare allo stadio con la bandiera della Repubblica, a Milano con quella del Ducato mentre a Napoli non è possibile far riferimento al proprio glorioso passato?

La giustificazione fu che compito dell’amministrazione è quello di garantire l’assenza di ideologie negli stadi, le quali possono turbare il sereno svolgimento dell’evento sportivo.

Non aggiungiamo altro.

La situazione precipita ulteriormente quando a de Magistris, che, oltre ogni possibile considerazione politica o amministrativa, ha sempre difeso la città, a volte anche con foga eccessiva, si avvicenda alla guida della metropoli partenopea il buon sindaco Manfredi.

Che, con tutte le cose che ci sarebbero da fare a Napoli si fa notare la prima volta per un’ordinanza sui fuochi d’artificio.

Non sono accettabili considerazioni su quanto sia civile o meno come usanza, o le tiritere sui feriti e sui morti, non ci interessa entrare nel merito, sarebbe come guardare il dito di chi indica la luna.

Di contro, l’amministrazione può vantarsi dell’assoluta riuscita dell’operazione, i napoletani, quell’anno, hanno fatto a meno dei tradizionali fuochi.

Poi è la volta dei panni stesi. Sì, quelli che per De Crescenzo erano un atto di amore. Stavolta qualche anima buona fa abortire l’intenzione prima di un altro parto infelice.

Il successo precedente poteva bastare.

Cosa c’entra con il calcio?

Tutto, se tra presidente e istituzioni si scatena una forsennata corsa alla cancellazione dell’identità di una città.

Il tifo di Napoli è famoso per il suo calore, per le sue coreografie?

Impediamogli di portare allo stadio striscioni, tamburi, sciarpe, bandiere.

Che magari sono invogliati a comprare quelle che lo stesso presidente vende all’interno dello stadio.

La risposta ufficiale è che basta chiedere l’autorizzazione alla società.

Ci chiediamo in quale stadio al mondo sia necessario fare istanza con tanto di documento di identità per poter portare con sé una bandiera formato A3.

In cui si faccia sul serio, a prescindere che sia previsto o meno.

Il comitato di cancellazione della memoria rincara di volta in volta la dose.

La statua di D10S fuori dallo stadio?

Non era autorizzata, va rimossa!

Quante città esistono al mondo che vedono la presenza di artisti di strada?

Poche, se vogliamo vedere quelle che ne fanno una caratteristica.

Parigi.

New York.

Napoli.

Però, da noi, non vanno bene nemmeno quelli, devono usare un’app per prenotare le performance.

A New York non serve nessun permesso per suonare nelle strade, nei parchi, in generale all’aperto.

Questo dagli anni 80, quando fu abolito un vecchio regolamento che lo proibiva. Perché se ne capirono i benefici sociali ed economici.

Prima o poi ci aspettiamo ordinanze contro il cielo azzurro, contro il sole, contro il mare.

Non andiamo oltre, qualche amministratore illuminato potrebbe prendere veramente spunto.

Due scale dipinte di azzurro?

L’nvito a non deturpare i monumenti. Si sa, i napoletani non sono abituati all’arte, la conoscono solo per vandalizzarla.

In tutto il mondo le tifoserie si riversano in strada dopo aver vinto anche la coppa del nonno?

A Napoli festa con le piazze a numero chiuso, ovviamente previa esibizione del pedigree.

Qualcuno risponde che non conta il presidente, che le società passano, che per il tifoso conta la maglia.

Dimenticando che è stata colonizzata anche quella. Che ormai è solo un po’ di azzurro che si intravede tra gli sponsor, quando non diventa l’ennesima cafonata da commercializzare per San Valentino, o per non si sa cosa.

Probabilmente ci daranno dei complottisti.

Fa niente, ci siamo abituati, salvo verificare, a distanza di anni, che avevamo ragione.

Ma ci sembra chiaro come i pezzi del puzzle stiano andando al loro posto.

I TG che citano Napoli solo per eventi negativi o presunti tali. Da sempre. Tacendo sulle cose positive, apprezzate all’estero ma ignorate in Italia.

Record di turisti, eccellenze, quelle fanno notizia solo al nord.

Ma al nord bisogna almeno riconoscere la capacità di difendere la propria terra.

Non troviamo nessun accenno di facciamoschifismo.

Nella nostra città, invece, qualsiasi imbecille si sente in dovere di prendere le distanze.

Da qualsiasi cosa.

Di esprimere la propria vergogna per qualcosa.

A parte il fatto che, di solito, a prendere le distanze sono persone che rappresentano qualcosa, persone pubbliche, leader.

Con tutto il rispetto, ma chi se ne fotte della presa di posizione del Gennarino Esposito di turno?

Ma si sa, i social hanno dato la parola a schiere di imbecilli, che si sentono in dovere di commentare tutto, di dire la loro su qualsiasi cosa, senza averne nessuna competenza.

Ma il discorso è, soprattutto un altro.

Ma se davvero prendete distanza, se davvero vi vergognate, se state sui social a lamentarvi della metro, delle strade, della monnezza, del tempo, piove governo ladro, della delinquenza, dell’ignoranza, perché restate ancora a Napoli?

Lo fate perché volete entrare pure voi politica?

L’esortazione è sempre quella: jatevenne, nun ce servite!

Vi fa schifo la sfogliatella, odiate la pizza, siete allergici al mare?

Emigrate.

Ma torniamo a noi.

Mettiamo su questo bel complotto, l’ennesimo.

2004, per debiti irrilevanti rispetto a quello che capita oggi normalmente e diversamente da altre società che si sono viste gli stessi spalmate in comode rate cinquantennali o che sono state guidate fuori dal guado in maniera molto più soft, il Napoli viene fatto fallire.

Chi era allora il presidente della lega?

A quale istituto bancario era legato?

Forse quello del famoso prestito al romano?

Chissà.

Gli insulti alla città.

Napoli ha solo il calcio, e grazie al salvatore della patria, che ha speso i soldi di… del Napoli per comprare un pezzo di carta con annessa milionata di tifosi e con un bacino di utenza tale da garantire diritti milionari.

Perché non ha preso, che ne so, la Carditese, che pure in quel periodo era fallita?

Ne avevano tanto bisogno anche da quelle parti.

E poi via i simboli del passato.

Poi un sindaco che non fa più cenno sugli affitti arretrati per lo stadio.

Via le bandiere, via le coreografie, via gli striscioni.

Se la bandiera la compri dentro lo stadio, naturalmente non hai bisogno di nessuna domanda in carta da bollo.

Via i fuochi d’artificio, via i panni stesi, via gli artisti di strada.

E non deturpate la città con le bandiere o con la vernice.

E tanti colonizzati a scandalizzarsi per qualche scala dipinta.

Magari preferiscono una realtà in bianco e nero come chi hanno eletto.

E no, non puoi festeggiare in strada, è cafone.

Come sono cafoni i soldi che finiscono nelle tasche sbagliate.

Contesti tutto questo?

Non sei tifoso. Sei drogato, delinquente.

E chi non riesce a capire quando si usano h e accenti che ti chiama ignorante e ti fa la morale.

Ma tanto hanno frequentato l’università della strada.

A proposito, ritorna il dubbio: il romano, che scuole ha fatto?

La squadra di chi offende la mia città non è la mia squadra.

Lo stadio dove non posso entrare con una bandiera più grande di un francobollo non è il mio stadio, anche se si chiama Maradona.

E il paradosso di una tifoseria, quella tanto screditata e bistrattata ma che, intanto, supporta la squadra ovunque, che si può esprimere e può incantare solo in trasferta.

Quasi quasi converrebbe chiedere una deroga per giocare solo fuori casa.

Non è mia una maglia di cui viene sfruttato ogni millimetro perché denaro, questo non cafone, vada nelle tasche di chi ha il compenso di CDA più alto d’Italia.

Non partecipo ad una festa che dovrebbe essere popolare ma per la quale devo mettermi in fila; una bella fila di pecore.

Non festeggio il terzo scudetto, perché per me non è il terzo del Napoli, che per me è morto nel 2004, ma semplicemente il primo della squadra che è venuta dopo e che non suscita in me nessun senso di appartenenza.

Lo faccio anche per i tifosi di quello che non ha più nulla del Napoli, così c’è un biglietto in più per le piazze.

Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.