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Perché l’astensione può davvero ribaltare il sistema

astensione


L’autoemarginazione elettorale dell’analfabeta funzionale come possibilità di riscatto della politica

La forte astensione che sempre di più caratterizza le diverse tornate elettorali un po’ in tutto l’occidente, e in particolare in Italia, ha scatenato una serie di considerazioni.

Come al solito, alcune argomentate, altre meno.

Soprattutto sui social, dove l’imbecille di cui parlava Eco ormai imperversa.

Visto che partendo da studi sociologici dovremmo avere un attimo di cognizione di causa in più rispetto a tanti laureati dell’università della strada, proviamo a dire la nostra, allacciandoci ad una serie di articoli pubblicati qualche anno fa, in cui, analizzando tutte le distorsioni e le degenerazioni della democrazia, eravamo, provocatoriamente, giunti alla conclusione che la cosa migliore sarebbe quella di abolire il suffragio universale.

Rimandiamo a quell’ultimo scritto chi volesse approfondire.

Anche perché, nei 6 anni che sono trascorsi, la situazione si è ulteriormente evoluta.

Volendo dare un’impostazione sociologica, va fatta una prima distinzione.

L’astensionismo ha due comportamenti distinti, anche se riportano agli stessi effetti.

Il primo è quello del non voto. L’avente diritto non si presenta al seggio.

Anche qui va operata una differenziazione.

Ci sono le persone che non votano per scelta e quelle che non ci riescono per qualche impedimento.

Un’astensione del 20% circa viene considerata fisiologica.

Voglio andare a votare, ma mi viene un febbrone da cavallo, mi prende fuoco la casa, vado sotto un tram attraversando la strada e mi ricoverano in coma.

Ovviamente, questi casi non sono da prendere in considerazione nella nostra analisi.

Il secondo comportamento è quello del voto non valido.

Vado nel seggio, ma esprimo un voto nullo o faccio scheda bianca.

Mentre per le bianche è difficile immaginare un meccanismo per cui non si tratti dell’espressione di una precisa volontà, nel caso delle schede nulle va considerata una percentuale di involontarietà.

Persone che sbagliano ad esprimere la preferenza, perché non è associata alla lista giusta o non è intellegibile. Tutte le statistiche, però, indicano chiaramente che si tratta di una percentuale irrisoria, a fronte di quelle relative a chi annulla di proposito la scheda.

Con una grossa X su tutta la scheda, votando tutte le liste, per non far pigliare collera a nessuno, come si dice a Napoli, con un disegnino o una frase oscena.

Avendo fatto diverse volte da presidente di seggio credo di averne viste davvero molte.

E ci sarà sempre qualcuno che racconterà di aver trovato nell’urna avvolta nella scheda una fettina di mortadella con la scritta:

vi siete mangiati tutto, adesso mangiatevi anche questa.

Quasi sicuramente si tratta di una leggenda metropolitana.

Qualche anno fa sarebbe stata superflua una precisazione, ma a fronte meme che stanno girando sui social di recente, purtroppo si rende necessaria.

Ogni calcolo elettorale prende in considerazione i voti validi.

Le percentuali delle liste, con conseguente attribuzione dei seggi, si calcolano sui voti validi.

Per cui, nel migliore dei casi, i calcoli che prendono in considerazione gli aventi diritto possono essere considerati demenziali.

Ma andiamo avanti.

Il passo successivo può essere definire le caratteristiche del votante e dell’astensionista.

Anche in questo caso non ci sono grosse differenze di vedute.

Il livello di istruzione, di reddito, di età.

Nei paesi con una maggiore scolarizzazione e con un reddito pro capite più alto, sistematicamente si assiste a percentuali di votanti maggiori.

Incrociando i dati di astensione delle ultime tornate elettorali dal 2019 al 2022 nei comuni con un’astensione superiore al 60%, risulta che chi si astiene è meno scolarizzato, è disoccupato o, comunque, ha un lavoro nell’agricoltura o nel settore estrattivo, ed è una persona più anziana.

A poco valgono giustificazioni a posteriori, seppur abbastanza complesse.

Anche se non possiamo attribuire una validità scientifica a questo fattore, almeno fino a quando non sarà condotto uno studio sistematico, le giustificazioni fornite sui social da chi dichiara apertamente di non votare, vanno tutte a confermare questi fattori.

Non mi riconosco in nessuno dei partiti.

Oppure

Nessun partito rappresenta il mio ideale.

Una non giustificazione.

Trovare un elettore che si identifichi completamente nelle scelte di un partito o movimento è semplicemente impossibile.

A meno di avere un partito proprio e di avere tanti partiti quanti gli aventi diritto, si vota quello al quale ci si sente più vicini.

Fosse valida questa giustificazione voterebbero, forse, i segretari di partito.

Oppure

Sono tutti ladri.

Ci viene in mente il motto qualunquista ‘piove governo ladro’, solo che nell’attuale fronte dell’uomo qualunque non vediamo nemmeno nessun Guglielmo Giannini all’orizzonte.

O ancora

Sono tutti uguali.

In questo caso, i limiti cognitivi del soggetto, incapace di distinguere le differenze, sono proiettati all’esterno.

Per la serie, al buio tutti i gatti sono grigi.

Così come non trova fondamento l’affermazione che un’astensione alta possa essere delegittimante per il potere.

Un Sindaco eletto con un’affluenza del 20% ha le stesse, identiche prerogative di un Sindaco che, per assurdo, ha avuto una partecipazione del 100%.

Posto che, la politica è sempre più personalistica e sempre meno incentrata su contenuti e deontologia.

E che le ideologie sono morte e sepolte da decenni.

Dunque, partendo dal presupposto che la scolarizzazione e le condizioni economiche siano fattori fondamentali, tutti coloro che analizzano in maniera scientifica e rigorosa il fenomeno arrivano ad una contraddizione che, però, a nostro parere, è solo apparente.

Visto i crescenti livelli di scolarizzazione e un progressivo miglioramento economico delle masse, l’astensione dovrebbe essere in calo, non aumentare in maniera così forte.

In realtà, il dato circa l’alfabetizzazione va riconsiderato in maniera più approfondita.

In un precedente articolo avevamo rilevato come ormai il sistema formativo italiano sia una fabbrica di analfabeti funzionali.

Come siano basse le percentuali di diplomati e laureati.

I dati OCSE citati in un altro scritto sono impietosi.

Solo uno studente italiano su venti raggiunge il livello 4 dei test PISA, quello a partire dal quale, cioè, si è in grado di interpretare informazioni in un contesto non familiare.

At level 4, readers can locate and organise several pieces of embedded information. They can also interpret the meaning of nuances of language in a section of text by taking into account the text as a whole. In other interpretative tasks, students demonstrate understanding and application of categories in an unfamiliar context. In addition, students at this level can use formal or public knowledge to hypothesis about or critically evaluate a text. Readers must demonstrate an accurate understanding of long or complex texts whose content or form may be unfamiliar.

Questo significa che solo uno studente italiano su venti riesce a capire qualcosa che non riguarda argomenti di cui ha familiarità.

Non osiamo pensare quale sia la percentuale reale di coloro che hanno familiarità con un bilancio, con indicatori economici, con le politiche sociali, con i fattori di sviluppo di una nazione, con le dinamiche del sistema giudiziario, con l’organizzazione del sistema scolastico, con la politica internazionale.

In definitiva, su tutte quelle che sono le scelte che si trova a compiere un governo, non importa che sia locale o centrale.

E questi sono gli studenti.

Per non parlare di non ha mai avuto accesso ad una formazione superiore, o dei tanti NEET, Not engaged in Education, Employment or Training.

Del resto, i dati di tutti i paesi occidentali rilevano un chiaro calo del QI della popolazione a partire dal secondo dopoguerra e in controtendenza rispetto a quanto era sempre accaduto.

Tanto da far ipotizzare scenari distopici, come quello delineato dal film ‘Idiocracy’.

Per cui, anche il conseguimento del tanto agognato ‘pezzo di carta’ non costituisce vaccino contro l’analfabetismo funzionale.

Soprattutto con tanti diplomifici.

Soprattutto in un sistema scolastico che ormai non seleziona più niente e nessuno.

Soprattutto in un sistema formativo dove si può essere promossi anche dopo aver sparato ad un professore in aula.

Il progressivo ed apparentemente inarrestabile impoverimento cognitivo della popolazione si aggiunge a quella che è la fine del partito inteso nel suo senso classico.

Come soggetti di mediazione tra istituzione ed elettorato, come luogo di formazione di una classe dirigente e di discussione politica.

Come momento di coinvolgimento e di partecipazione diretta.

Ma, soprattutto, come organizzazione capillare del voto.

I partiti del caseggiato, del facsimile e dei normografi.

Che dalle liste elettorali controllavano chi non avesse votato e lo andavano a chiamare a casa.

Un’affluenza alle urne che, però, non si può leggere come una maggiore consapevolezza politica.

Quali possono essere i criteri di scelta per una persona che deve aiutarsi con un normografo per esprimere una preferenza?

O dei tanti elettori ai quali si diceva solo di mettere una croce su un simbolo riconoscibile?

Quante volte abbiamo sentito dire, almeno noi più anziani

devi solo mettere la croce su… sulla croce, su falce e martello, sulla fiamma, sul garofano.

Così come erano popolari le narrazioni ideologiche rivolte alle masse.

Da una parte, i leader si dedicavano ad esercizi di abilità oratoria e si lanciavano in alti discorsi ideologici.

Dall’altra, l’italiano medio votava perché Don Camillo, nella predica domenicale, gli aveva detto che i comunisti mangiavano i bambini.

O perché Peppone prometteva l’abolizione della povertà.

Dubitiamo che qualcuno abbia mai votato DC perché affascinato dal discorso sulle convergenze parallele di Aldo Moro.

Gennarino Esposito, netturbino, non avrebbe mai saputo dire in modo preciso cosa significa convergente, figuriamoci andare oltre.

Ieri Gennarino aveva chi lo andava a prendere a casa e lo portava a votare.

Oggi resta a casa.

Ieri Gennarino faceva meno danni, perché gli portavano a votare Almirante, De Gasperi o Berlinguer.

Oggi Gennarino se va a votare rischia di votare il Grillino del momento.

Oggi ci sono tanti più Gennarino, a prescindere da qualche titolo vuoto.

La situazione che vediamo è quella in cui, paradossalmente, l’astensione è un segnale positivo.

Che può portare fuori da quella che abbiamo definito la dittatura degli imbecilli.

Posto che, attualmente, il voto degli imbecilli crea un circolo vizioso.

Anzi, diabolico.

Da un lato, come nel monologo sulla democrazia di un geniale Giorgio Gaber, di fronte a delle masse sempre più deficitarie dal punto di vista cognitivo, la politica è costretta ad abbassare sempre di più l’asticella.

Di convergenze parallele, ormai, non parlano nemmeno più i leader.

La svolta elettorale verso un maggioritario fasullo, figlia di una scellerata stagione referendaria, ha indubbiamente spostato gli equilibri dalla qualità alla quantità.

Decidendo la morte dei partiti.

Con la fine dei meccanismi di cui parlavamo.

Troppi simboli da ricordare, sempre più alieni, tanto che si deve ricorrere a ricordare i nomi dei leader o presunti tali.

Per Pinco Pallo Sindaco.

Con Tizio Presidente.

Una cosa del genere nella vituperata Prima Repubblica sarebbe stata impensabile.

Non ci dilunghiamo su questo concetto, ne avevamo parlato in un precedente articolo, a cui rimandiamo chi dovesse essere interessato.

Abbassare l’asticella per il politico è comodo.

L’analfabeta funzionale è l’elettore ideale.

Un algoritmo social da cui estrapolare le tendenze su cui creare slogan acefali.

Sì, perché si tratta di un elettorato da prendere di pancia, non per una testa priva di pensiero critico.

A cui puoi propugnare falsi nemici e false battaglie.

A cui puoi dire un giorno una cosa e quello successivo l’esatto opposto, senza che se ne renda conto.

Questo smonta l’ultima è più insensata motivazione dell’astensionista.

Se non vai a votare metti in crisi il sistema.

Hanno bisogno di consenso.

Non è esattamente così.

Anzi.

Il Sindaco eletto con un’affluenza del 20% non ha nessuna limitazione nel suo operato rispetto al Sindaco eletto con una partecipazione molto più ampia.

Le prerogative e lo stipendio di un Deputato, nazionale o europeo, non cambiano al cambiare dall’affluenza alle urne.

Ci sembra puerile, per non essere più cattivi, che la stessa persona possa dire di non andare a votare perché la politica non tiene in considerazione la volontà degli elettori e che, allo stesso tempo, sia giusto non votare perché così il sistema è danneggiato da una mancanza di consenso.

L’astensione può avere, piuttosto, due effetti.

Uno che può essere a favore del sistema nelle piccole realtà locali.

Facciamo un esempio.

Pietro Riccio è il capomafia di Vattelappesca, ridente paesino di un migliaio di anime sul cucuzzolo del monte Daqualcheparte.

A Vattelappesca ci sono 1.000 aventi diritto.

Se vanno a votare tutti e Pietro vuole esprimere il Sindaco dovrà fare in modo di fargli avere 501 voti.

Se va a votare il 50% gliene basteranno 251.

Se va a votare il 20%, come è capitato in qualche amministrativa, gliene basteranno 101.

La famiglia di Pietro, del suo luogotenente Peppe ‘o Criminale, e del suo guardaspalle Ciruzzo ‘o Malamente.

E visto che ci sta, Pietro farà eleggere per un pugno di voti Giggino ‘o Chimico, che come scioglie lui la gente nell’acido mai nessuno.

Purtroppo per Pietro, però, questi meccanismi non sono validi su un contesto più ampio.

Non sono dinamiche che lo potranno portare a fare il Consigliere regionale o l’Eurodeputato.

Arriviamo all’effetto dell’astensionismo politiche che guardano ai grandi numeri.

Molto facile, come dicevamo, analizzare le tendenze sui social.

Incredibilmente capillari e stratificate.

L’analfabeta funzionale medio segue ciecamente questo influencer.

Candidato!

Non condivide la guerra contro i marziani.

I marziani sono nostri fratelli.

Il giorno dopo cambia idea?

L’analfabeta funzionale è come la donna del Rigoletto di Verdi: mobile, muto d’accento e di pensiero.

Nessun problema, i marziani sono dei criminali che dobbiamo sterminare.

Orwell, fammi un baffo!

L’invito di andare a votare, che l’astensionista interpreta come la paura di perdere legittimazione, in realtà, è il terrore di perdere un elettorato facile da ingannare.

Ad una persona mediamente intelligente un Giuseppe Conte non può raccontare che la preoccupazione espressa chiaramente da un’agenzia di rating per un buco creato da un suo provvedimento sia colpa del governo attuale.

Rischierebbe di essere preso a fischi e pernacchie.

Anche abbastanza giustamente, diremmo.

Se il sistema viene messo in crisi, dunque, non è per i motivi che sono addotti a giustificazione dagli astensionisti.

Poniamo, per assurdo, che tutti gli analfabeti funzionali smettano di andare a votare.

Tutti.

Questo significherebbe un’affluenza alle urne attorno al 25%.

Tolto un 70% di analfabeti funzionali, secondo dati internazionali, resta un 30%.

Fatta salva l’astensione fisiologica, capita anche alle persone in grado di sviluppare un pensiero critico di ammalarsi, arriviamo, quindi, al 25%.

A questo punto la politica non potrebbe più permettersi di abbassare l’asticella.

Anzi.

Non potrai mai giustificare di aver manganellato qualcuno perché credi di essere dalla parte giusta della storia.

Quale parte?

Ma soprattutto, quale storia?

Per cui l’asticella dovrà alzarsi.

La kalýterocrazia che auspicavamo si sarà realizzata naturalmente.

Nell’unico modo possibile.

Perché appare impensabile che una forza politica possa introdurre una simile riforma.

Il paradosso è che in qualche il partito del non voto avrà portato ad un crollo del sistema, anche se per motivi diametralmente opposti a quelli indicati.

Una sola cosa potrebbe far crollare tutto.

La minaccia degli astensionisti di tornare alle urne quando le cose cambieranno.

Il circolo vizioso si innescherebbe nuovamente.

Gli imbecilli di Eco sono tanti e troppo facilmente influenzabili perché qualcuno non pensi di approfittarne.

La speranza è riposta in due possibili sviluppi.

Quello auspicabile, in cui la nuova classe politica introduce degli sbarramenti al diritto di voto, di fatto superando, per legge, l’aberrazione del suffragio universale.

Andando a sancire, finalmente, che uno non vale uno, come abbiamo scritto in precedenza.

Oppure, ma è la strada che ci piace meno, si potrebbe fornire un’altra motivazione per cui astenersi dal voto.

La faccia positiva della medaglia è che questa giustificazione non dovrebbe essere piuttosto articolata.

Anzi, più sarà stupida più avrà possibilità di fare presa. Basterà farla veicolare da qualche influencer del momento o creare un meme con la faccia di qualche pensatore famoso anche senza attribuire direttamente la citazione.

La faccia negativa è che questa soluzione non sarebbe definitiva.

Per motivi imponderabili qualche analfabeta funzionale potrebbe cominciare a credere di essere cognitivamente in grado di decidere in questioni politiche.

E tutto comincerebbe da capo.

Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.

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