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Per una Società 5.0

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Le ideologie che hanno guidato i popoli per 200 anni, oggi non sono più efficaci

Con il concetto di Società 5.0 si annuncia un nuovo pensiero filosofico:
l’Umanesimo Tecnologico

Sono membro di un gruppo indipendente di ricercatori che si occupano di Cultura Digitale da molti anni che si è liberamente composto nel tempo aggregando competenze tecnico-scientifiche ed umanistiche e sviluppando esperienze maturate nel corso di due decenni in ambito accademico, pedagogico, professionale, artistico ed anche militare.

Il nostro avvicinamento al tema si basa su riflessioni per la tentata risoluzione di problemi di vita reale, sociale e privata supportati dall’uso del digitale. Il nostro approccio alla loro analisi è multi-inter-disciplinare condotto da esperti e professionisti con diversi background allo scopo di facilitare lo sviluppo di un pensiero diretto alla “gestione adattiva attiva” tesa alla creazione ed elaborazione di innovazione aperta in ambito sociale e imprenditoriale.

Per questo motivo abbiamo elaborato il programma Rebel Alliance Empowering, che, negli anni, si è declinato con lo scopo di sperimentare un sistema culturale, creativo e produttivo organizzato in networking: un sistema di pensiero sperimentale che si rinnova continuamente nella sua operatività ispirandosi a nuovi modelli organizzativi, al fine di sfruttare l’intelligenza collettiva connessa e distribuita al suo interno.

Alcuni di noi hanno iniziato il loro percorso con il programma di ricerca Umanesimo & Tecnologia promosso nel 1995 dalla Università degli Studi di Napoli L’Orientale.

Umanesimo & Tecnologia

I risultati fino ad ora conseguiti ci sollecitano a proseguire nel nostro cammino, a continuare nel promuovere nuove idee, progetti ed iniziative, così come a riflettere con critiche costruttive.

Il titolo di questa rubrica è Società 5.0.
Cosa si intende quando definiamo il concetto di società con la desinenza 5.0? Per aiutarmi nella risposta ti invito a riflettere su ciò che già avvenuto in passato nel corso della storia.

Per rispondere a questa domanda dobbiamo brevemente riflettere su alcuni fatti storici.

Negli ultimi tre secoli la società umana è stata influenzata da significative scoperte scientifiche ed innovazioni tecnologiche. La prima rivoluzione industriale ha caratterizzato la transizione verso nuovi processi produttivi in Europa e negli Stati Uniti, nel periodo che va circa dal 1760 al 1840.

Questa transizione includeva il passaggio dai metodi di produzione manuale alle macchine, nuovi processi di produzione chimica e del ferro, il crescente utilizzo dell’energia a vapore e dell’acqua, lo sviluppo di macchine utensili e l’ascesa del sistema di fabbrica meccanizzato.

La seconda rivoluzione industriale nota anche come rivoluzione tecnologica, fu una fase di rapida standardizzazione e industrializzazione che andò dalla fine del 19° secolo all’inizio del 20°; in questo periodo iniziò l’adozione diffusa di sistemi tecnologici come reti telegrafiche e ferroviarie, la fornitura di gas ed acqua a domicilio e la costruzione di sistemi fognari evoluti, che, in precedenza, erano stati concentrati solo in alcune città.

L’enorme espansione delle linee ferroviarie e telegrafiche dopo il 1870 permise un movimento senza precedenti di persone e idee, culminato nell’avvio del processo di globalizzazione, come anche un aumento senza precedenti del tasso di crescita della popolazione mondiale. Queste innovazioni hanno indotto senza dubbio progresso e benessere sociale, ma anche profondi sconvolgimenti negli assetti sociali e politici dell’umanità.

Non è un caso che in questi periodi si formino pensieri filosofici che culminano nell’ideologia economica classica di Adam Smith e, a seguire circa 100 anni dopo, come risposta ai disagi sociali che si andavano delineando in alcune parti sociali antagoniste a quelle capitaliste, l’ideologia comunista di Marx. Gli scontri sociali dei popoli si rispecchiano in quelli politici delle nazioni che sfociano nelle due guerre mondiali nella prima metà del ‘900 e, per quasi tutta la seconda metà, continuano con la guerra fredda.

Sono trascorsi due secoli e mezzo: siamo punto e a capo!

La causa di questa diseguaglianza si spiega comprendendo il fenomeno cosiddetto Digital Divide: questo concetto solitamente viene ancora inteso nella definizione di Larry Irving, elaborata quando era a capo dell’Agenzia statunitense per l’Informazione e le Telecomunicazioni sotto l’Amministrazione Clinton, come “l’impossibilità per tutti di avere accesso e utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, che, in sostanza, si traduce nell’incapacità di una parte della popolazione di avere accesso a nuove conoscenze attraverso i nuovi media: noi chiamiamo questo fenomeno Digital Divide associando il termine (Infra)strutturale.
Per poter gestire i cambiamenti c’è bisogno di nuovi modelli di pensiero. Nuovi pensieri si creano e si sviluppano solo avendo l’opportunità di acquisire, apprendere ed elaborare nuove conoscenze.

Tra le varie conseguenze della emergenza pandemica in atto è improvvisamente salita alla ribalta anche in Italia la necessita di un uso diffuso del digitale di massa non solo per intrattenersi e socializzare sui social media. Questa esigenza è stata sintetizzata nell’opinione pubblica con l’anglicismo ‘smart’: un concetto, che per molti cittadini stride con la questione Digital Divide.

Ma non è il Digital Divide Infrastrutturale il vero problema che affligge molti Cittadini! Ciò era particolarmente vero 25 anni fa, quando la velocità di connessione a Internet non era uguale dappertutto e il costo di un PC domestico era ancora elevato. Oggi, con una penetrazione globale degli smartphone in oltre il 95% della popolazione globale, il costo delle tecnologie informatiche e di connessione ultraveloce ad Internet crollato di centinaia di punti percentuali, le disuguaglianze in termini di infrastrutture diventano relative. Invece, restano ancora altissime le diseguaglianze tra coloro che hanno più o meno abilità nell’uso efficace ed efficiente delle tecnologie I.C.T. e le nuove tecnologie digitali.

In sociologia la definizione di ‘immigrato digitale e di nato digitale’ può aiutarci a spiegare la dicotomia tra chi È e chi Non È pronto a vivere questi cambiamenti. In sintesi questa diseguaglianza si spiega con il Digital Divide: questo concetto solitamente viene ancora inteso nella definizione di Larry Irving, elaborata quando era a capo dell’Agenzia statunitense per l’Informazione e le Telecomunicazioni sotto l’Amministrazione Clinton, come “l’impossibilità per tutti di avere accesso e utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, che, in sostanza, si traduce nell’incapacità di una parte della popolazione di avere accesso a nuove conoscenze attraverso i nuovi media.

Per poter gestire i cambiamenti c’è bisogno di nuovi modelli di pensiero. Nuovi pensieri si creano e si sviluppano, avendo l’opportunità di acquisire, apprendere ed elaborare nuove conoscenze.

Tra le varie conseguenze della pandemia è improvvisamente salito alla ribalta anche in Italia l’uso diffuso del digitale, sintetizzato nell’opinione pubblica con l’anglicismo ‘smart’, concetto, che, contemporaneamente stride con la questione Digital Divide.

Ma è davvero quest’ultima il vero problema? Ciò era particolarmente vero 25 anni fa, quando la velocità di connessione a Internet non era uguale dappertutto e il costo di un PC domestico era ancora elevato. Oggi, con una penetrazione globale degli smartphone in oltre il 95% della popolazione globale, il costo delle tecnologie informatiche e di connessione ultraveloce ad Internet crollato di centinaia di punti percentuali, le disuguaglianze in termini di infrastrutture diventano relative, mentre restano ancora altissime le diseguaglianze tra coloro che hanno più o meno abilità nell’uso efficace ed efficiente delle tecnologie ICT e digitali.

L’ostacolo allo sviluppo massiccio nella popolazione della nozione ‘smart’ sta nell’analfabetismo informatico, che diventa fattore di incremento di quell’analfabetismo funzionale che affligge gran parte della popolazione italiana over 55.

Secondo una recente ricerca PIAAC, Programme for International Assessment of Adult Competencies, un programma dell’OCSE che valuta le competenze della popolazione, il 28% dei cittadini italiani presenta ‘low skills’, basse competenze. Questa condizione definisce l’analfabetismo funzionale. Significa che questa percentuale di popolazione è in grado di leggere, scrivere e far di conto, ma incontra difficoltà a comprendere testi semplici ed appare priva di molte competenze utili nella vita quotidiana e nel lavoro.

La ricerca ha messo in luce che solo il 10% degli analfabeti funzionali è disoccupato o svolge lavori manuali, poco più della metà è rappresentata da uomini ed un terzo ha un’età superiore ai 55 anni. Il 60% si concentra tra Sud e Nord Ovest del Paese. L’aumento della percentuale di ‘low skilled’ cresce con l’età, passando dal 20% nella fascia 16-24 anni ad oltre il 40% negli over 55.

La causa di questo drammatico problema la abbiamo intuita e sintetizzata 25 anni fa con il concetto di Digital Divide sostituendo il termine Infrastrutturale con ‘Culturale’. Èquesto è il gap da colmare!

 

Per gestire quest’emergenza sanitaria, il governo ha creato una task force composta da esperti per individuare i cambiamenti in atto in materia economica e sociale e per elaborare soluzioni per rilanciare il Paese, al termine dell’epidemia, “nei diversi settori delle attività sociali, economiche e produttive, anche attraverso l’individuazione di nuovi modelli organizzativi e relazionali”.

Questi nuovi paradigmi organizzativi e relazionali sono tutti inevitabilmente guidati in qualche modo da applicazioni o tecnologie digitali. Solo colmando il gap può essere facilitata la penetrazione e lo sviluppo della Cultura Digitale in tutte le fasce della popolazione, soprattutto in quella ancora attiva e in quella decisionale e creativa.

Nel 2015 viene pubblicata e divulgata con enfasi la ricerca ‘Lavoro 2025. Come evolverà il lavoro nel prossimo decennio’ finanziata con fondi parlamentari, circa 57.000 euro.

Nel gennaio 2017, durante il convegno di presentazione nell’aula magna del Palazzo dei Gruppi Parlamentari si introduce l’esito della ricerca con il seguente contenuto:

La società industriale, centrata sulla produzione di beni materiali come le auto e i frigoriferi, è nata nella metà del Settecento e si è esaurita nella metà del Novecento. Ralf Dahrendorf avverte che solo nella metà dell’Ottocento, cioè cento anni dopo la sua nascita, la “società industriale” fu così definita da Lorenz V. Stein. Qualcosa di analogo sta succedendo oggi con l’avvento postindustriale. Dopo la seconda Guerra Mondiale, grazie a una serie di fattori come il progresso tecnologico, la globalizzazione, la diffusione dei media e la scolarizzazione di massa, la società industriale ha ceduto il passo a una società profondamente diversa – che per comodità chiamiamo “postindustriale” – centrata sulla produzione di beni immateriali come i servizi, le informazioni, i simboli, i valori, l’estetica. Questo passaggio epocale non è stato ancora metabolizzato e teorizzato compiutamente dagli economisti, dai sociologi e dai politologi per cui la nuova realtà viene interpretata e gestita in base ai vecchi criteri, generando quello stato di disorientamento che gli antropologi chiamano cultural gap per cui la nuova realtà è gestita secondo vecchie regole. (…) La questione lavoro: Uno dei settori maggiormente toccati da questo passaggio epocale e che più ne soffre gli effetti, è il lavoro (…) Prevedere per programmare L’essenza stessa della società postindustriale risiede nella progettazione di futuro, ma non è possibile progettare il futuro senza prevederlo (…)

Nel discorso d’insediamento del suo secondo governo, il Presidente del Consiglio cita testualmente

c’è bisogno di un nuovo Umanesimo…

Vent’anni fa affrontammo questi argomenti nel già citato programma di ricerca universitario. A questo programma non a caso gli demmo il nome: Umanesimo & Tecnologia. Perché ‘immaginavamo un futuro, (im)possibile’ a determinate condizioni. Presentammo un progetto con l’Università e il Comune di Napoli in Europa in collaborazione con altre municipalità europee. Lo scopo del progetto era teso ad implementare il concetto di Digital Divide coniato da Irving usando il termine (concetto) Culturale invece che strutturale.

Perché? Perché avemmo cura di prevedere sulla scorta della nostra ricerca empirica cosa molto probabilmente sarebbe successo anche nel mondo del lavoro.

Il Rateo di cambiamento delle Tecnologia è più grande del rateo di cambiamento della Società e delle Imprese che a sua volta è più grande del rateo di cambiamento dell’Educazione e la Formazione.

Questo assunto – che sintetizzammo con la formula: [d/dT (tecnologia) > d/dT (società ed imprese) > d/dT (educazione e formazione), in cui con d/dT si identifica il rateo di cambiamento rispetto al tempo]- fondava il progetto ‘L.I.N.K.E.D.’ che presentammo nel 1998 alla Commissione DGX dell’Unione Europea.

Qui esponevamo, ante litteram, tematiche e proposte che ancora con 20 anni di ritardo dominano l’odierno dibattito sia pubblico che politico.

Riporto questo ricordo non per una sterile polemica (cioè per rimarcare che in Italia l’effetto aureola è efficace anche nei confronti di alcuni accademici con cui ci relazionavamo), ma per introdurre un’altra importante barriera all’Innovazione: la ‘burocrazia amministrativa’, che spesso viene regolata dall’ideologia politica di gruppi che sono in grado di usarla per i propri fini ostacolando lo sviluppo del pensiero innovativo elaborato dai newcomers.

Se coloro preposti alle decisioni avessero valutato con più attenzione e senza pregiudizi gli esiti della nostra ricerca – come anche quelle di tanti altri previdenti, ma sconosciuti, che come noi erano impegnati nel trattare in anticipo il problema, nel perseguimento di un ‘vantaggio competitivo’ – argomenti quali l’Umanesimo tecnologico, il Tecnorealismo, il Knowledge management oppure l’Empowering del Capitale umano, avrebbero contribuito ad impattare per tempo le decisioni della politica affinché il nostro Paese non si trovasse nella svantaggiata situazione attuale.

A dover rincorrere una competitività del Sistema paese perduta a causa del gap culturale che, finalmente, oggi viene riconosciuto dai tanti esperti governativi riuniti in una task force, tra cui non è difficile trovare anche qualcuno che 20 anni fa era sordo alle nostre sollecitazioni, perché forse affetto da qualche forma di overconfidenza.

L.I.N.K.E.D. Comune di Napoli

 

In altre nazioni hanno avviato per tempo e perseguito politiche culturali tese al contrasto del Digital Divide Culturale, noi ci abbiamo provato, purtroppo ci siamo, (o ci hanno?), fermati…

PromoDigiCult

Gli Stati membri delle Nazioni Unite firmatari nel 2015 L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile hanno approntato piani decennali di sviluppo, chiamate ‘Visioni…’, tutti orientati al perseguimento degli obiettivi definiti in questa Agenda che fornisce “un modello condiviso per la pace e la prosperità per le persone e il pianeta, ora e nel futuro”.

L’Italia è un Paese di anziani che individua nel cluster demografico degli over 55 un’alta percentuale di analfabeti funzionali.
Quale nazione, che è demograficamente simile al Belpaese promuove un modello di sviluppo innovativo in coerenza con gli obiettivi dell’Agenda 2030? Il Giappone! Questa è la nazione al mondo con la più alta percentuale di anziani, il 28,4% della popolazione, seguita dall’Italia con il 23%, e il Portogallo con 22,4%.

Tuttavia, in Giappone sempre più over 65 hanno un impiego, il 13% della forza lavoro. Come mai?

Uno studio del 2010 The digital divide as cultural practice: A cognitive anthropological exploration of Japan as an information society spiega che in Giappone hanno iniziato a risolvere il gap culturale con

misure politiche per far fronte al divario digitale composte da due diversi tipi di iniziative: quella che riguarda lo sviluppo delle infrastrutture a livello nazionale ‘per correggere il divario (infrastrutturale) delle telecomunicazioni’ l’altra è l’iniziativa per facilitare l’uso delle nuove tecnologie tra anziani e disabili.

Benché sia ritenuto uno dei Paesi leader per diffusione della Cultura Digitale e l’impiego delle nuove tecnologie per l’innovazione industriale, ad esempio è secondo solo alla Corea per densità d’impiego dei robot industriali, i cittadini giapponesi di alcune zone, soprattutto quelle rurali, ancora soffrono un significativo gap culturale.

Di conseguenza, possiamo intuire quale sia la situazione del Belpaese, laddove gli indici riportano il Sistema Italia tra gli ultimi posti della classifiche mondiali.

Quanto ho riportato fino ad ora, dovrebbe essere stato utile per validare un concetto.

Nella Società dell’Informazione che caratterizza l’Era della Conoscenza, il Sapere è finalmente condiviso alla portata di tutti bisogna solo avere le competenze culturali per essere in grado di come e dove andare a cercarlo.

Il contrasto agli impedimenti di uno sviluppo sostenibile non ha più necessariamente bisogno di ‘luminari’, che spesso si attivano per ‘calare dall’alto’ soluzioni solo quando comprendono che non sono più in condizione di difendere le proprie rendite di posizione.

A volte, gli esperti sono essi stessi degli impedimenti, mentre il Sapere è democraticamente distribuito e le competenze si possono connettere per diventare intelligenze collettive per risolvere i problemi con iniziative che spesso provengono anche dal basso, semplicemente coordinate dall’alto.

Ciò è quanto assume il Governo giapponese nell’ambito del 5° programma base ‘Scienza e Tecnologia per una Società Futura’. Il concetto giapponese di Società 5.0 si rivolge soprattutto ai suoi cittadini promuovendo l’idea di una Società Smart, che nasca dal basso, facendo appello alla creatività di tutta la popolazione, sia nell’elaborazione creativa delle soluzioni da parte delle imprese private, che nell’uso intelligente e consapevole da parte degli utilizzatori.

L’obiettivo è quello di

creare una Società in cui chiunque possa creare valore sempre e ovunque, in sicurezza e in armonia con la natura, e libero da vari vincoli attualmente esistenti e nel rispetto delle future strategie sostenibili elaborate con i 17 obiettivi delle Nazioni Unite.

Society 5.0

Nell’articolo Alla ricerca della Felicità del Cittadino con Società 5.0 introduco l’obiettivo del governo giapponese che:

aspira a creare una società basata sulla centralità dell’Uomo, che cerchi di bilanciare il progresso economico con la risoluzione dei problemi sociali tramite un Sistema elaborato per integrare senza soluzione di continuità il Cyberspazio con lo Spazio Fisico.

cercando soluzioni capaci di contrastare i 5 principali impedimenti che sono stati individuati per lo sviluppo di questo nuovo modello di Società tra cui:

gli Impedimenti all’accesso di Conoscenze e di nuove Conoscenze in tema di digitalizzazione, gli Impedimenti alla forza lavoro e… gli Impedimenti dovuti all’accettazione dell’Innovazione da parte della Popolazione.

È facile desumere che questi ostacoli sono conseguenza di una sostanziale carenza di conoscenze e di capacità individuali in grado di:

consentire all’uomo di porsi con un approccio creativo nei confronti delle nuove tecnologie allo scopo di essere in grado di creare una Società centrata sulle esigenze di ogni singola persona, contrastando, invece, un futuro che non sia controllato e monitorato dalla Intelligenza Artificiale e dai Robot (…) liberando gli esseri umani dal lavoro e dai compiti ingombranti di tutti i giorni in cui non sono particolarmente bravi e, attraverso la creazione di nuovo valore, consentire di produrre e fornire solo quei prodotti e servizi necessari alle persone che ne hanno bisogno nel momento in cui sono necessari, ottimizzando in tal modo l’intero sistema sociale ed organizzativo.

Come dichiara il Giappone:

La società 5.0 può prendere forma solo attraverso collaborazioni concertate tra concorrenti intra-settoriali, tra settori separati, tra università ed istituti di ricerca, e le comunità locali insieme ad una vasta gamma di altre parti interessate, tutte unite in una visione comune di innovazione aperta: l’Open Innovation.

Se la storia ci ha insegnato che la causa degli impedimenti allo sviluppo di nuovi paradigmi nella gestione di cambiamenti epocali è stato un diffuso problema cognitivo nella popolazione al quale si associa quello burocratico amministrativo che ritarda l’innovazione, come agire?

Il problema cognitivo può essere risolto solo con un approccio creativo flessibile ai cambiamenti, facilitato applicando nuove forme di apprendimento per l’acquisizione delle nuove conoscenze capaci di indurre lo sviluppo di nuovi modelli di pensiero, dunque di nuove filosofie di vita!

Per risolvere il problema burocratico amministrativo diventa ancora più indispensabile l’azione di contrasto al gap culturale, una volta che abbiamo assunto piena consapevolezza che sussiste un conflitto generazionale tra gli Immigrati digitali – cioè coloro che sono nati e hanno ricevuto una formazione pedagogica, civica e culturale al vivere personale, sociale e lavorativo elaborata con un pensiero analogico – e i Nati digitali che si ritrovano, per lo più, ancora ai livelli inferiori delle piramidi decisionali sociali, politiche, lavorative italiane.

Solo in questo modo si potrà facilitare l’impiego e lo sviluppo di nuove tecnologie a misura d’uomo, cercando di contrastare gli inevitabili problemi che l’innovazione crea quando induce cambiamenti a vantaggio di alcuni e a svantaggio di altri: la causa delle diseguaglianze e dei disordini sociali.

La Cultura Digitale non è più un Futuro che non ci appartiene.

Nel corso di questa emergenza i due problemi si manifestano finalmente in tutta la loro drammaticità. Nuove parole e concetti entrano forzatamente nell’opinione pubblica, quando l’intera nazione viene obbligata a sperimentare una vita privata e sociale, lavorativa e pubblica nella traccia di quella che, per molti, è ancora una cultura sconosciuta nei suoi principi, norme e riti.

Norme e principi che regolano anche le nuove forme di apprendimento…

La nuova frontiera dell’apprendimento è un’efficace gestione della Conoscenza: i concetti che sono alla base delle Teorie sulla Connettività aprono la strada a nuove teorie dell’apprendimento e conseguentemente alla definizione di nuovi paradigmi per la formazione e la gestione della Conoscenza in maniera distribuita.

Solo una Cultura Digitale equamente diffusa nella popolazione garantisce a Tutti il famoso diritto di cittadinanza digitale, gettando finalmente le basi per lo sviluppo di un’intelligenza distribuita tra tutti le persone per lo sviluppo condiviso di un nuovo sistema sociale: la Società 5.0

L’Intelligenza Distribuita

Nei sistemi sociali è la disponibilità, ovunque vi sia presenza umana, di competenze mobilitabili e valorizzabili in modo coordinato per dar vita ad una Intelligenza Collettiva. Nei sistemi tecnologici, è la distribuzione di funzioni e di capacità elaborative tra più dispositivi, connessi in rete, per svolgere compiti complessi.

Per comprendere il fenomeno dobbiamo assumere propedeuticamente il concetto di ‘Connessionismo’: un approccio teorico nel campo delle scienze cognitive che auspica di spiegare i fenomeni mentali usando le reti neurali artificiali.

Il ‘Connessionismo’ è il tema di ricerca interdisciplinare che studia i processi cognitivi (umani e animali) attraverso l’elaborazione di modelli astratti e, soprattutto, di programmi implementabili su calcolatori elettronici che, essendo dotati di una struttura analoga a quella delle reti neurali, sono in grado di simulare il funzionamento del sistema nervoso; la disciplina integra dunque elementi che afferiscono ai campi dell’Intelligenza Artificiale, le Neuroscienze, la Psicologia Cognitiva e la Filosofia della Mente.

La teoria del Connessionismo suggerisce che i fenomeni cognitivi possono essere spiegati sulla base di un insieme di principi generali attinenti all’elaborazione delle informazioni, noti come Parallel Distributed Processing.
Rumelhart, Hinton e McClelland, 1986

Da un punto di vista metodologico, il connessionismo è un quadro per lo studio dei fenomeni cognitivi utilizzando le architetture di unità di elaborazione semplici, che sono interconnesse tramite connessioni ponderate.

Il Connessionismo considera la percezione, la memoria, l’apprendimento e tutti i fenomeni ritenuti peculiari del comportamento intelligente come attività di un ‘Sistema costituito da un insieme di unità elementari’ (organizzate a loro volta in unità più complesse e ordinate gerarchicamente a vari livelli), collegate tra loro da un grande numero di connessioni, le quali sono attivate simultaneamente nei processi di elaborazione e trattamento delle informazioni

Marvin Minsky teorizzò la ‘Concezione Distribuita dell’Intelligenza’ secondo cui

un comportamento intelligente è il prodotto dell’interazione di un elevato numero di Agenti intelligenti, piuttosto che il risultato di un unico processo operante in modo globale.

L”Intelligenza distribuita’ prende anche il nome di ‘Intelligenza di Sciame’ mutuando il concetto di auto-organizzazione osservato nelle scienze naturali (cioè i ‘comportamenti collettivi’ propri di alcune specie animali come le formiche o le api).

Gli organismi con ‘Intelligenza di Sciame’ sono caratterizzati dalla loro capacità di eseguire azioni come se fossero un tutto intero con un obiettivo comune da servire. Gli individui che cercano vantaggi e il desiderio di successo personale sono estranei all’intelligenza dello sciame.

Ispirandosi al concetto di intelligenza distribuita ed altri pensieri o teorie introdotti in passato da filosofi o scienziati, tra cui de Condorcet, Marx, Durkheim, Engelbart, il filosofo francese Pierre Lèvy ha codificato il concetto di ‘intelligenza collettiva’, che può essere studiato come esempio particolare di manifestazione di comportamento emergente che ha luogo nei sistemi dinamici non lineari, come ad esempio gli stormi di uccelli, i sistemi frattali, o le colonie di api, che sono esempi in natura di intelligenze collettive.

‘L’Intelligenza Collettiva’ rappresenta l’estensione della nostra intelligenza come singoli individui che si realizza in uno spazio di soggetti collettivi non predeterminato, ma in continua costruzione mediante processi comunicativi a formare una ‘Mente Globale’.

Assumendo per veri questi concetti, ecco che Internet viene riconosciuto come lo strumento che è stato capace di attivare questa Mente Globale.

È lo scienziato Derrick de Kerckhove, direttore del dipartimento Cultura & Tecnologia del programma McLuhan di Toronto, che ci introduce l’argomento:

L’Intelligenza Connettiva della Rete è la comunicazione dinamica attraverso processi informali simili per certi versi ai rapporti interpersonali.
La Connettività è questo: trovare dei metodi che facciano procedere insieme i pensieri in tempo reale, che facciano pensare più rapidamente in gruppo.
La Tecnologia consente ormai scambi interpersonali in tempo reale e in tutti i campi: la connettività è una delle risorse più potenti del genere umano ed è una condizione oggi indispensabile per la crescita della produzione intellettuale umana.

Il Connettivismo non si basa solo sulla nozione di connessionismo mutuato dall’informatica, ma anche sul concetto che descrive il cosiddetto ‘apprendimento situato’, questo afferma che:

La Conoscenza non è un insieme di nozioni teoriche apprese, ma il frutto di un processo dinamico, cioè della partecipazione attiva di un soggetto all’interno di un contesto, data l’interazione con gli altri membri, e la situazione circostante. Pertanto la Conoscenza non si verifica solo nella mente degli individui, piuttosto è sopra le menti individuali, è trans-individuale ed esiste all’interno e tra i gruppi. È da qui che prende meglio forma il concetto di ‘Intelligenza collettiva: che spiega come attraverso l’uso di tecnologie collaborative gli Individui possono svolgere un compito come se il gruppo fosse un singolo organismo, piuttosto che essere scomposto tra agenti individuali.

Tale visione qualifica la ‘Conoscenza collettiva’ come una

Sapienza che caratterizza un gruppo di persone e che può essere maggiore della Conoscenza di ogni singolo individuo che lo compone’ (…) la Conoscenza di gruppo (collettiva) non è Conoscenza simbolica, teorica o poetica

poiché questa può essere definita come:

l’insieme di connessioni formate dall’azione o dall’esperienza dei membri del gruppo, in sostanza è Conoscenza Pragmatica per cui la sua funzione fondamentale, attraverso lo ‘sviluppo connesso dell’intelligenza collettiva’, potremmo qualificarla come ‘strumentale’, cioè capace ‘di consentire una conoscenza obiettiva della Realtà al fine di realizzare un’efficace azione su di essa’

Il principio fondamentale del successo di sistemi a Intelligenza Collettiva è l’Auto Organizzazione:

l’insieme di meccanismi dinamici nei quali compaiono strutture a livello globale, in seguito alle interazioni tra le componenti di livello inferiore.

Lo studio di questi fenomeni è alla base dell’attuale ricerca scientifica anche nel campo del “management delle nuove organizzazioni” come ad esempio i Sistemi Olonici.

Autore Vittorio Alberto Dublino

Vittorio Alberto Dublino, giornalista pubblicista, educatore socio-pedagogico lavora nel Marketing e nel Cinema come produttore effetti visivi digitali. Con il programma Umanesimo & Tecnologia inizia a fare ricerca sui fenomeni connessi alla Cultura digitale applicata all’Entertainment e sugli effetti del Digital Divide Culturale negli Immigrati Digitali. Con Rebel Alliance Empowering viene candidato più volte ai David di Donatello vincendo nel 2011 il premio per i Migliori Effetti Visivi Digitali. Introducendo il concetto di "Mediatore della Cultura Digitale" è stato incaricato docente in master-post laurea.