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Per un formaggio buono e sano ci vuole un prato naturale e biodiverso

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Cheese -ph Alessandro Vargiu


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Il focus di Cheese 2021: in Italia prati in calo a causa dell’abbandono delle campagne e del consumo di suolo

Riceviamo e pubblichiamo.

In tutta Europa occupano una superficie equivalente alla Francia e quelli più floridi si trovano in Irlanda, Spagna e Portogallo.

Sono fondamentali per mantenere la biodiversità, sia vegetale che animale, per l’alimentazione degli animali che se ne nutrono e di conseguenza per il loro benessere, e naturalmente per la produzione dei formaggi sani e buoni, ricchi di complessità aromatiche e gustative.

Eppure in Italia stanno via via scomparendo a causa dell’abbandono delle campagne, del consumo di suolo e dell’intensificazione dell’attività agricola.

È questo il quadro disegnato oggi a Cheese in occasione della conferenza Se scompaiono i prati naturali. I cosiddetti prati stabili, meglio definiti come prati permanenti seminaturali, sono terreni creati nel corso di migliaia di anni dall’uomo grazie al pascolamento degli animali. Per il loro mantenimento, l’attività antropica attraverso l’allevamento di erbivori è un servizio fondamentale.

Ha detto Giampiero Lombardi, docente di alpicoltura, presso l’Università di Torino:

In Italia, la superficie occupata dai prati naturali è pari a 32mila chilometri quadrati, ma negli ultimi 40 anni abbiamo perso un quarto del totale.

Le cause? Nelle zone di pianura principalmente l’urbanizzazione e l’industrializzazione dell’agricoltura, mentre in collina e montagna è stato il fenomeno opposto: l’abbandono, la fine dell’attività antropica, e così gli erbivori non pascolano più i prati e la natura si riprende i propri spazi.

Il Piemonte ospita il 30% dei prati del nord Italia, anche grazie a un ritorno alla praticoltura negli ultimi anni. Altrove la situazione è meno positiva: è ancora recuperabile, ma ci sono campanelli d’allarme importanti.

I prati stabili garantiscono biodiversità vegetale, e di conseguenza animale, sottolinea Irene Piccini, ricercatrice presso il Dipartimento di scienze della vita e biologia dei sistemi presso l’Università di Torino:

La caratteristica principale dei prati stabili è che richiamano moltissimi insetti, fondamentali per l’impollinazione, che a loro volta attirano altri animali, come ad esempio gli uccelli e tutti gli altri predatori.

Ma qual è la differenza tra un formaggio da prati stabili e uno prodotto con latte di animali che si nutrono di insilati, cioè di derivati vegetali stoccati in silos?

Ce lo spiega Giampaolo Gaiarin, tecnologo alimentare e collaboratore della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus:

Il formaggio è la sintesi della biodiversità. In media, una vacca alimentata con insilati di mais riesce a sostenere un parto e mezzo, contro i sette, otto, anche dieci, di un animale delle vallate alpine, perché l’alimentazione ha un influsso notevole sullo stato di salute degli animali.

E poi, ancora, la questione della maggiore complessità aromatica e gustativa e l’aspetto legato alla salubrità: i formaggi alimentati al prato ha un minore contenuto di grassi saturi, mentre aumentano gli Omega 3.

Alla conferenza, ospitata presso Casa della Biodiversità, hanno preso parte Claudia Masera, produttrice di Cascina Roseleto a Villastellone, in provincia di Torino, e Diego Remelli, allevatore e membro del Consiglio di Amministrazione della Latteria San Pietro di Goito, nel mantovano. L’azienda piemontese ha ricominciato a seminare prati nel 2013.

Ha raccontato Claudia:

L’abbiamo fatto per migliorare la qualità del latte e per non dipendere dall’esterno. Noi alleviamo vacche di razza frisona che abbiamo riconvertito al pascolo e il risultato è che la nostra mascotte ha 19 anni ed è in formissima.

Non è vero che le frisone non possono adattarsi a un’alimentazione poco “spinta”, le nostre vacche stanno benissimo. Usiamo il latte per i nostri formaggi ma abbiamo anche una fattoria didattica.

Ha concluso Diego:

La nostra latteria ha 26 soci e produce 70 mila forme di Grana Padano all’anno. Allevo 150 vacche e sono stato tra i primi ad abbandonare gli insilati di mais e avviare una parte della produzione basata esclusivamente sui prati stabili che ancora esistono nella vallata del Mincio, all’interno del parco naturale.

Che cosa succede se scompaiono i prati stabili? Che un giovane come me perde un’opportunità che invece il prato stabile ci assicura, oltre a sapore, tradizione e qualità.

Foto Alessandro Vargiu