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Pentedattilo, la leggenda di mano di pietra

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Pentedattilo


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Fra tutte le vicende che il panorama letterario ci offre, le opere che maggiormente rimangono impresse nella mente dei lettori narrano di amori contrastati come Romeo e Giulietta, Paolo e Francesca, Tristano e Isotta e molti altri.

Alcuni di questi personaggi sono realmente esistiti altri, invece, sono il frutto del genio di grandi scrittori.

Eppure, esistono storie in cui le vittime dei grandi amori ostacolati da famiglie rivali non sono i due amanti, ma gli artefici stessi delle ostilità.

In una leggenda storica intrisa di mistero, superstizione, condizioni umane e sociali difficili, ambientate al tramonto del sec. XVII, due giovani amanti appartenenti a famiglie rivali furono causa di una strage la cui crudeltà riecheggia ancora oggi tra le dita di quella enorme mano di pietra che ha dato il nome al feudo: Pentedattilo, dal greco cinque dita.

Già molto tempo prima che la tragedia si consumasse, un’antica leggenda predisse che la città sarebbe stata un giorno schiacciata da una mano. E così avvenne!

Quella mano, l’unica parte visibile del gigante dormiente, disteso alle falde dell’Aspromonte con il volto rivolto verso la bellissima e inviolata costa che il Mar Ionio abbraccia, prima di congiungersi con il Mar Tirreno. Quella stessa che avrebbe un giorno schiacciato al suo interno tutta la città.

Tra le casette diroccate che ascendono fino alla cima delle grandi dita, Pentedattilo troneggia nei colori mozzafiato che i raggi del sole irradiano nel cielo prima di sorgere o di tuffarsi nel blu del Mar Ionio mentre si prepara ad avvolgere l’aria con il suo manto stellato.

All’orizzonte questa mano troneggia, in ogni condizione atmosferica, sia con il cielo limpido, che tra le burrasche che a volte inondano lo sfondo celeste di lampi e schiaffeggiano case e alberi con i folli venti che soffiano in quella terra posta tra i monti ed il mare.

In quelle notti senza luna, il mistero e l’arcano si insinuano nella mente dei pochi abitanti rimasti, mentre riecheggiano ovunque urla, pianti e lamenti come spettri che rivivono la violenza che subirono in vita.

Ma… cosa accadde effettivamente?

Ricorreva la Pasqua del 1686, quella notte all’interno del castello si consumò una tragedia familiare la cui genesi, secondo la narrazione popolare, risale ad un diniego di convolare a nozze.

Lorenzo Alberti, signore di Pentedattilo nega l’accordo sancito dal defunto padre di concedere la mano della sorella Antonia al barone Bernardino Abenavoli, signore dell’adiacente feudo di Montebello.

Ipotesi credibile, poiché a quel tempo ai sentimenti non veniva attribuito alcun valore, semplicemente i matrimoni erano considerati affari commerciali in cui in gioco non c’erano l’onore e la felicità dei figli, ma il prestigio del casato, l’accumulo di ricchezze e le simpatie dai pater familias verso i più graditi candidati.

Ma la natura umana non può soffocare il desiderio crescente né il disonore subìto!
Quando la fiamma dell’amore divampa, non esistono freni alla passione così come all’ira di fronte all’onta inflitta. Così, quando il barone apprese la notizia che la donna che le era stata promessa in moglie avrebbe dovuto sposare un altro pretendente, accecato dalla rabbia, ne meditò il rapimento.

Nonostante i propositi pacifici e l’avvertimento di non nuocere a nessuno, il nobile non comprese che, seppur affidabili, i mercenari non si accontentavano di un’irruzione ma si abbandonarono a scelleratezze prive di ogni limite.

Fu così che, mentre Bernardino Abenavoli, promesso sposo, ritornava al suo castello portando tra le braccia la bellissima Antonia, gli uomini al seguito, che avrebbero solo dovuto trattenere i familiari per non ostacolare il sequestro della marchesa, non esitarono a massacrare tutti i presenti senza escludere donne e bambini.

Quando l’aristocratico venne a conoscenza dell’esito del rapimento fu troppo tardi, niente poteva più essere salvato! Egli evitò di parlarne subito alla sua amata e si affrettò a sposarla appena fu giorno. Ma il sangue non genera amore, né viene corrisposto e inutili furono le sue premure e attenzioni tra soggiorni clandestini e fughe interminabili.

I due si separarono poco tempo dopo. Antonia trascorse il resto dei suoi giorni chiusa in un convento, mentre al barone non rimase altro che arruolarsi sotto falso nome per sfuggire alla cattura in qualità di unico responsabile di quella efferata strage.

Così narra la leggenda, ma le fonti storiche lo confermano? Solamente in parte.

La promessa di matrimonio del vecchio marchese, padre di Antonia, e il rifiuto da parte del fratello Lorenzo, che succedette poco tempo dopo, risultano attendibili, ma non l’amore corrisposto!

Alla luce di queste testimonianze è lecito supporre che lo sposalizio non rappresentava il coronamento di un sogno d’amore, ma un astuto espediente, per appropriarsi del feudo di Pentedattilo; per concretizzare i desideri amorosi, invece era sufficiente ricorrere al classico “ratto della fanciulla”.

Il rapimento di una giovane donna era da sempre considerato un metodo tradizionale ed efficiente, menzionato anche nei miti greci, per soddisfare un capriccio amoroso.
Un rimedio intrigante e veloce ad una momentanea infatuazione?

Questa ipotesi potrebbe trovare fondamento dall’immediato e documentato abbandono della ragazza in un convento: una rivincita, dal tragico epilogo, alle offese inflitte… chissà?

Non dimentichiamo che la nobiltà non era rappresentata solo dal titolo, ma intorno ad essa ruotavano molteplici meccanismi di onori e privilegi, legati al nome del casato, al legame di parentela con la corona, al grado di nobiltà, le gesta degli antenati…

Al di là di ogni spontanea congettura e dopo un’attenta analisi dei documenti archivistici pervenuti, possiamo convalidare l’ipotesi di un disaccordo tra donna Antonia ed il padre dovuta al rifiuto categorico della ragazza alla proposta di un’unione con il barone di Montebello; testimonianze reali che, da sole, smentiscono clamorosamente l’autenticità della leggenda, ma questa è tutta un’altra storia…

Bernardino Abenavoli e Antonia Pentedattilo - disegni di Daniela La Cava
Bernardino Abenavoli e Antonia Pentedattilo – disegni di Daniela La Cava

Autore Daniela La Cava

Daniela La Cava, scrittrice, costumista, storica del Costume. Autrice di volumi sulla storia del costume dal titolo "Il viaggio della moda nel tempo". Collabora con terronitv raccontando storie e leggende della sua terra, che ha raccolto nel volume "Calabria: Echi e Storie di una Terra tra due Mari".