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Pastiera e casatiello: la trasmutazione di un obolo

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Casatiello e pastiera - foto Rosy Guastafierro


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Ci siamo, da poco l’equinozio di primavera ci ha salutati e ci troviamo in quel periodo dell’anno in cui il sacro e il profano si mescolano con la rievocazione di riti pagani trasformati con il passare dei secoli e l’avvento del Cristianesimo.

Il fervente cristiano attende la Pasqua e con essa tutto ciò che di ludico e pantagruelico ci reca. E sì, lasciando da parte quanto di trascendentale ci possa essere nella settimana santa in tutte le case della Campania, ed in particolare in quelle di Napoli, si dà il via a quella kermesse che ci porterà, tra Pasqua e Lunedì in Albis, ad assaporare, tra dolce e salato, pietanze che la tradizione tramanda attraverso la figura simbolica della Mamma, unica detentrice delle ricette, segreti familiari, che sono arrivati a noi per via orale.

Evocare la parola Mamma ci porta indietro nel tempo e, in una città come quella di Napoli, dove si sono susseguite varie culture e crocevia del sapere iniziatico esoterico, i culti della Grande Madre Cibele e della Madre Terra erano praticati in quelle grotte platamonie che poi si trasformeranno ed accoglieranno altre divinità, ma questa è un’altra storia.

In verità, un tempio dedicato a Demetra lo possiamo collocare nel centro della città, nei dintorni di piazza San Gaetano, dove duemila anni or sono, avremmo trovato il Macellum ovvero il mercato principale di Neapolis.

Nella zona di san Gregorio Armeno, la strada dei pastori, è stato rinvenuto un bassorilievo di una canefora, come venivano chiamate le sacerdotesse dedite al culto, con nella mano destra un canestro e nella sinistra una fiaccola. Segno indiscusso della presenza del collegio delle sacerdotesse e del sacello, esclusivamente di origine greca, che, per la loro potenza e devozione, venivano richieste come officianti a Roma.

In una città come Napoli, con una naturale inclinazione verso il mistero e l’occulto, verso quel qualcosa che esiste ed è vissuto, ma non ci è dato di svelare, con antichi culti risalenti a quella conoscenza sacra al femminile, il culto di Demetra, dea dell’agricoltura, della morte e della rinascita, si diffonde e radicalizza. Il suo mito è legato, a doppio filo, alla nascita stessa della città.

Kore, sua figlia, viene rapita da Ade mentre coglie fiori insieme alle sue compagne; secondo una delle versioni, Demetra le accusa di non aver fatto nulla per impedirne il rapimento e le trasforma in sirene affinché possano cercarla; una di queste è proprio Partenope.

Ma ritorniamo al culto di Demetra e alle offerte che venivano effettuate proprio per officiarla nel periodo dell’anno in cui la terra tutta rinasce in un trionfo di fiori e di frutti. Il suo culto aveva origine ad Eleusi, tramite una cerimonia di iniziazione così segreta da non conoscerne, a tutt’oggi i dettagli, ma che sicuramente aveva nel suo interno un’iniziazione ed un mito agreste che andavano ben oltre la semplice lode della natura e dei suoi frutti.

Siamo di fronte a riti che richiamano la fertilità da tutti i punti di vista, dove il mortaio e il pestello non erano semplici mezzi per macinare il grano; il seme che deve morire per rinascere ci fa affiorare alla mente la trasmutazione della materia.

Per onorare la Dea in primavera, periodo in cui ritroviamo la Pasqua, venivano effettuate sontuose processioni che, come offerte, recavano doni alimentari quali farro o grano, latte, uova e formaggio fresco, oltre a due tipi di focacce, chiamate in greco plakountes, una rotonda a forma di disco e l’altra, invece, sempre rotonda ma con un buco al centro: i progenitori della pastiera e del casatiello.

Abitudine alimentare dei greci era preparare dei pani contenenti ingredienti vari tra cui uova, carne, formaggio, frutta secca o olive. Se mettiamo insieme farina, uova, formaggio e carne sotto sale insieme al grasso animale, lo strutto, cosa ci viene in mente?

Il casatiello, che negli anni, con le trasformazioni causate dall’avvento del cristianesimo e il periodo di astinenza prescritto dalla quaresima, ha portato i napoletani a dare il benvenuto alla Pasqua condensando, in un unico prodotto, tutti quegli alimenti banditi dalla tavola! L’antica caseata placenta con l’aggiunta di uova intere in superficie tenute da due strisce di pasta messe a croce in modo da evocare il tormento subito da Gesù Cristo nella passione.

Tra le leggende che si tramandano, il buco centrale del casatiello, oltre a rievocare un omphalos, si azzarda dovesse richiamare alla mente la corona di spine, forse l’idea di alleviarne la tortura ha trasformato i napoletani in blasfemi mangiatori di casatiello!

L’altra focaccia, a forma rotonda, sempre portata in offerta alla Dea insieme ai prodotti che la componevano, aveva una vistosa peculiarità: il grano in essa contenuto doveva essere assolutamente intero, non macinato. Questo elemento, ricorrente, pare trovi la sua origine proprio nel rispetto del lutto di Demetra devastata dalla perdita della figlia, Kore/Persefone. Macinare il grano era una prerogativa delle donne che evitavano di assolvere al loro dovere in quei giorni particolari per non offendere la Madre.

Ecco che negli anni, attraverso varie trasformazioni e l’inventiva delle monache del convento di San Gregorio Armeno dalla torta di frumento siamo giunti alla pastiera dei giorni nostri, che, insieme a frutta candita, ricotta, uova, essenze profumate, continua a contenere, come da tradizione, il grano in chicchi ammollato.

A questo punto è d’obbligo un piccolo inciso, nei vari conventi napoletani tra il XVII e XVIII secolo vi era una vera e propria gara di specializzazione tra vari manicaretti da offrire ad alti prelati o benefattori che visitavano il convento. Coincidenza, il primato della pastiera era detenuto proprio da quel convento di suore Basiliane costruito sui resti del tempio dedicato a Demetra come si può facilmente ancora oggi riscontrare entrando nel chiostro del Monastero dove troviamo, oltre a numerosi capitelli, vari mortai di puro marmo bianco rinvenuti riscalpellando capitelli corinzi.

Da pochi anni si alimentano storie affascinanti che non trovano riscontro in nessuna fonte attendibile, sulla guarnizione della pastiera, sette strisce di pasta messe ad incrocio, tre in orizzontale, decumani, e quattro in verticale, cardi, con l’insinuante domanda: “semplice caso o l’offerta alla dea, che a volte si sovrapponeva a Partenope, conteneva una tacita richiesta di protezione di Neapolis?”

La mappa ippodamea della città si sviluppa sicuramente su tre decumani, ma con una serie di cardi, tra l’altro anche irregolari, che non collimano con quanto si tenta di far credere.

Il maggior emblema della Pasqua resta però sicuramente l’uovo, anche se all’uopo trasformato in dolce di cioccolato; la sua forma ed essenza non si discostano dall’idea primordiale, riscontrata in tutte le culture, di immagine stessa della vita, della nascita o della rinascita, che, a Napoli, assume un significato più profondo, un amuleto esoterico al quale viene legata la sorte della stessa città ed il nome del Castello che lo contiene e custodisce, senza tralasciare la forma ovoidale delle stesse sirene che si sono librate in volo nella ricerca di colei che da Kore è divenuta Persefone.

Foto Rosy Guastafierro

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Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.