In una traversa poco lontana dall’Università Federico II di Napoli, esattamente in via Giuseppina Guacci Nobile, adiacente Piazza Portanova, vi è una chiesa dimenticata, Santa Caterina, risalente al XIV secolo e costruita con le offerte raccolte tra i nobili del Sedile del Nilo.
Questa zona, tra il XIII e il XVI secolo, era soprannominata della Giudecca perché ospitava una comunità ebraica, tanto è vero che, per un periodo, fu adibita a sinagoga.
Riconsacrata, fu restaurata, nel 1623, come riporta un’epigrafe in alto a destra dell’ingresso. Questo luogo sacro ha più di un soprannome, uno dei quali caduto in disuso, dei Trinettari perché in quella strada si concentrava il commercio delle trine o nastri.
L’altro, invece, che ancora oggi ritroviamo, è della Spina Corona, poiché si dice sin dal tempo degli Angioini, che custodisse una spina della corona di Cristo. Dal 1621 fu sede dell’Arciconfraternita della purificazione fino al 1968.
Nell’edificio accanto alla chiesa vi era un convento di suore benedettine con relativo conservatorio S. Caterina monistero fatto alla Giudecca de’ Giudei fatti Cristiani.
Nell’Ottocento subì un ulteriore rifacimento, che azzerò quasi del tutto la struttura originaria, lasciando però immutato il portale di marmo medioevale.
Nella seconda metà del Novecento venne sconsacrata, diventando addirittura una tipografia, per finire, oggigiorno, come deposito parrocchiale.
Sul muro perimetrale ritroviamo quella fontana che fa da sfondo ad una tela, La venditrice di agrumi, conservata al Museo Civico di Castel Nuovo.
Nel dipinto Vincenzo Caprile, pittore napoletano di fine ‘800, esponente della Scuola di Resina, ritrae uno spaccato delle abitudini di mercanteggiare per strada dei napoletani prima che il Risanamento, attuato nella seconda metà dell’Ottocento in seguito alla terribile epidemia di colera, cambiasse totalmente il volto di tutta la zona. Parliamo della fontana della Spina Corona o, come per secoli è stata affettuosamente ribattezzata dal volgo, delle Zizze, le mammelle.
Rintracciare le origini di questo monumento non è semplice. Carlo Celano le fa risalire al 1139; un ulteriore indizio ci viene suggerito dalla Platea delle Acque che afferma che, nel 1498, in quel luogo vi fosse una cannula che attingeva direttamente dal pozzo di San Marcellino alimentato dall’acquedotto del Sebeto.
Certo è che la struttura attuale la si deve a Don Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga che, dal 1532 al 1553, fu Viceré a Napoli per conto di Carlo V d’Asburgo.
Nel 1540 viene dato mandato probabilmente a Giovanni Merliano da Nola di impreziosire il preesistente monumento, il Somma-Vesuvio con al di sopra il nume tutelare della città nell’iconografia originale greca con ali e zampe da rapace.
In perfetto stile barocco viene aggiunta la vasca rettangolare su cui sono posti sia lo stemma nobiliare degli Álvarez sia quello di Napoli.
Ai lati, invece, altre due lastre di marmo sulle quali, al centro delle colonne di Ercole, spicca lo stemma dell’Imperatore.
Nel 1884 viene spostata, per riprendere il suo posto nel 1920, dopo il restauro effettuato dal Cerino, ma non ha tregua; nel 1925 viene nuovamente rimossa per essere collocata definitivamente nel Museo di San Martino, mentre, al suo posto, verrà installata, nel 1931, una copia dello scultore Achille d’Orsi.
Il complesso racchiude in sé la rappresentazione della città con annesso messaggio nascosto. Un’antica scritta scomparsa, ma citata da varie fonti, riportava Dum Vesevi Syrena Incendia Mulcet ovvero Mentre la Sirena placa il fuoco del Vesuvio.
A ben guardare, ci troviamo di fronte ad un vulcano in piena eruzione, che non parte dalla cima, bensì dai lati del cono, creando due versanti. Questo particolare delle colate laterali ha dato forza all’idea che il blocco centrale risalga al Medioevo, come la cornice dell’ingresso dell’antica chiesa.
Il suo impeto viene placato dal lusinghiero latte-acqua che i perfetti seni, sorretti dalle mani di questo archetipo della bellezza femminile, generosamente secernano.
Sul lato destro vi è adagiato un violino, che evoca il canto della sinuosa ammaliatrice; inoltre, lo strumento rappresenta la perfetta misura delle cose, senza tralasciare che le sue quattro corde ci ricordano gli elementi della natura connessi ai sentimenti umani.
Nel corso del tempo, numerosi depositi di ferro, rame e calcare l’hanno danneggiata e le superfici marmoree ormai decoese, hanno reso necessario un intervento di restauro, rientrante nell’ambito del progetto Monumentando. Il 13 luglio 2015 la fontana è stata finalmente restituita alla città, tornando al suo antico splendore.
Piccola curiosità.
Proprio per omaggiarla e riportarla all’attenzione di cittadini e turisti, nel settembre 2017 l’Amministrazione comunale ha promosso la prima edizione del Festival Spinacorona – Passeggiate Musicali Napoletane, da un’idea del maestro Michele Campanella, che ne ha curato la direzione artistica, e il supporto organizzativo della Fondazione Festival Pucciniano.
24 concerti ad ingresso libero fino ad esaurimento posti, in luoghi suggestivi ed insoliti dell’immenso patrimonio storico – architettonico del centro antico, tra cui il Museo Diocesano di Donnaregina, il Succorpo Vanvitelliano dell’Annunziata, la Chiesa di San Giovanni a Carbonara, la Sacrestia della Chiesa di San Severo al Pendino, la Chiesa di San Giovanni a Mare, la Chiesa del Pio Monte della Misericordia, la Chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini, proposti da prestigiosi esecutori del panorama internazionale.
Lo straordinario successo si è ripetuto nei due anni successivi, mentre l’edizione del 2020, Special Spinacorona: Beethoven in Reggia, a causa dell’emergenza sanitaria, è stata trasmessa gratuitamente online il 23 dicembre direttamente dall’incantevole Reggia di Portici, registrando un altissimo consenso di pubblico.
L’evento è stato possibile grazie ai contributi del Centro Musa – Musei delle Scienze Agraria, della Fondazione Santa Maria del Pozzo e di Francesco Pedoja, con il patrocinio della Città Metropolitana di Napoli e del Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.
La sirena della fontana è lì, immota; potrebbe spiccare il volo, con le sue ali di uccello, ma resta ferma, perché la sua anima non può esimersi dal difendere il popolo con la stessa forza di una madre che, attraverso il nutrimento per eccellenza, cerca di placare le ribellioni violente, come le esplosioni del Vesuvio.
Con il gesto di offrire il frutto del suo seno gonfio, riesce a trasmettere serenità e, contemporaneamente, l’auspicio di benessere, prosperità e salute, malgrado la sua funzione di ristoro sia oggi esaurita.
Autore Rosy Guastafierro
Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.