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Parole iniziatiche e illusione della conoscenza

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Parole


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Dedicato a Rémi Boyer ed alla sua prodigiosa capacità di riscrivere le parole della tradizione iniziatica.

Siamo portati a pensare che essa, in un primo tempo, non è ritrovata che simbolicamente, in una forma velata, restando il suo significato profondo sempre nell’ambito dell’incomunicabile.
Irène Mainguy

Hiram va alla ricerca della Parola Perduta di cui ha un presentimento. Diventa Christian Rosenkreutz all’apertura della sua tomba, tenendo in mano il Libro T, complemento al Libro del mondo.

Christian Rosenkreutz conosce la Parola ma solo attraverso il suo Simbolo. Ha una sensazione. Questa è la seconda morte, la morte al mondo sacro condizionato. Si apre quindi una terza tomba, vuota. Il cercatore, attraverso il matrimonio divino, diventa Cristo. Egli è la Parola Libera.

Possiamo anche pensare in tutt’altro modo a questo processo che porta a un non-processo. L’essere umano è bloccato nel “conformismo”, che deve essere inteso non nel senso corrente ma come una qualsiasi identificazione e aderenza alla forma. Sotto l’impulso del Sé, l’essere umano si ribella all’alienazione. Questa rivolta lo porterà a entrare nel dissenso. Distinguiamo il dissenso personale, orizzontale, dal dissenso iniziatico, verticale.
Rémi Boyer

È che ci attacchiamo troppo alle parole. Parole di guardia. Parole magre o grassottelle. Parole pompose o gratificanti. Appigli e appunti mnemonici scritti o vocalizzati per ritenere o simulare (a se stessi) di aver capito. Parole sanscrite o ebraiche. Suoni gutturali. Membra di Purusha. Pezzi di sguardi sonori.

Diciamo “ho capito” e non abbiamo capito niente. Glifi, segni razionali e razionalizzazioni sensienti. L’odore del mare nella parola ma-re. L’abbraccio di una madre nella parola mam-ma. La possanza della roccia nella parola mon-ta-gna. Il legno dei ceppi e le piaghe delle catene nel nome Ca-glio-stro.

La mistica rosa di Paracelso è appassita. Dove sono gli infiniti mondi di Bruno? A malapena ne conosciamo uno solo. E nemmeno quello.

Anche i muti potranno parlare. Mentre i sordi già lo fanno.

Non usiamo per più di 3 volte la stessa parola! Dharma, karma, vipassana. Samadhi, avidya, zazen, koan. Adwaita. Adwaita? Ed invece siamo qui, sprofondati a mezza gamba nel duale. O appena svegli, ma impastati di sonno, nella foresta di Camelot, sporchi d’amore dopo una notte con Ginevra. Ebbri di vino templare dopo la battaglia di Montgisard. Senza mani e senza piedi. Ma con la lingua lunga.

Parole, parole, parole, teorie che si cristallizzano a furia di pronunciarle. E perdono il suono – sostanza. Il significato. Oh l’amore, l’amore. Cos’è l’amore? Prendi una parola qualsiasi, prova a ripeterla venti, trenta, trecento volte e non significherà più niente. Cruciverba e sciarade di sensi doppi e ritorni di fiamma. Razionalità. Vocalizzi, Gutturali.

Parole fonti di malintesi. Parole di passo. Parole di sasso. Sordità e mutismo. Parole di canzoni. Siamo drogati di vecchie parole. Assuefatti a una finta verità. Non usiamo per di più di 5 volte la stessa parole!

Hermes ci invita al silenzio mentre chiacchiera e ride come un matto. Divertiti! Parla e getta le tue vecchie parole – lamette nel sacco della differenziata. Ricordiamoci ogni tanto di svuotare la mente.

Ti ho visto scottarti il culo nel camino, orrenda befana. Ho annusato il tuo sacco di juta ammuffito, leccando rimasugli di carbone e pezzi di cioccolata bianca. Anche lei è stata giovane, sappilo. Come la tua primavera che si conta nei tuoi 32 denti scintillanti di madreperla. Tu che profumi d’erba e bevi sorsi di vino di Shiraz. E scendi dal triclinio per accarezzarmi i pensieri. Scuoti il sacco delle buone proposizioni e butta via le vecchie parole. Hai un tocco magico.

Il piglio evoluzionario di un ardente e furioso iconoclasta del verbo: cadono i vecchi insegnamenti, si sciolgono i caratteri di piombo di Gutenberg e si alzano stelline luminose. Come farfalle di luna. Dalla pietra alla carta e poi un fluire di bit nelle vene. Universi virtuali (o reali?) sempre meno densi, sempre più aerei e sottili.

Cadono, cedono parole abusate: Venerabile, Carissimo, Illustrissimo, Serenissimo, Cavaliere, Elettissimo, Architetto, Sublime. Esoterismo. Non significano più nulla. Non usare la stessa parola per più di 7 volte!

Il nome non è il nome. È solo un guscio. Un’allusione. Come il dito e la luna. Il Nome è liberazione. È intenzione. La pronuncia è creazione. Basta con le vecchie metafore sdrucite. Suona, canta parole nuove. Ama. Parla ancora con la voce del Silenzio.

Autore Hermes

Sono un iniziato qualsiasi. Orgogliosamente collocato alla base della Piramide. Ogni tanto mi alzo verso il vertice per sgranchirmi le gambe. E mi vengono in mente delle riflessioni, delle meditazioni, dei pensieri che poi fermo sul foglio.