A sessanta anni dalle leggi razziali italiane del 1938
Paolo Grossi (1998)
Lo storico è un cercatore di segni: non dovrà mai smettere di osservare attentamente tra i vari contesti storici che conosce, alla ricerca di quei segni che per il loro carattere evocativo, gli consentano di arrivare ad una maggiore comprensione. Nella determinazione di un corpus giuridico non sono coinvolti solo maestri e teorici, ma anche giudici, avvocati, notai, cioè coloro che applicano, con le loro percezioni ed interpretazioni. Il giudice è ancora “bocca della legge”? È sicuramente questo il problema centrale per un giurista che non si limiti ad osservare pigramente i testi normativi, il rapporto fra legge ed interpretazione/applicazione. Quest’ultima va letta non come propaggine esterna ed estranea ad un diritto che è già tutto formato e definito nella norma, ma come parte integrante di esso; l’interpretazione/applicazione è la stessa norma che si proietta nella vita e diventa vita, storia di una società nel tempo e nello spazio. Si deve tornare alla coscienza che il “giuridico” ha una sua complessità, crescente via via che la società si inoltra nel post-moderno, e che è inutile e soffocante tentare di leggerla con le semplici griglie di ieri; una complessità a partire dalla quale l’interpretazione/applicazione è la dimensione e componente primaria. La legge è solo un testo autoritario, uno scritto inerte capace di diventare diritto, cioè esperienza giuridica, cioè vita quotidiana nella sua espressione giuridica, solo grazie all’interpretazione/applicazione. Dunque, non possiamo parlare di un fattore estrinseco da congiungere alla norma, ma come qualcosa di intrinseco ad essa e che ne diventa condizione di vitalità. Il diritto non può essere inteso come qualcosa di autoritario e di statico e non c’è da stupirsi se ancora oggi esso sia avvertito dal comune cittadino, come qualcosa di alieno, incomprensibile, rischioso. Si è smarrita la tranquilla visione che coglie la dimensione giuridica strettamente collegata alla nostra quotidianità sociale, appartenente alla normalità di questa. È in forza delle “profonde trasformazioni dell’esperienza giuridica” che il rapporto tra diritto ed equità si pone in termini del tutto nuovi. Riemerge la sopita coscienza della complessità dell’universo giuridico e riemerge l’esigenza di un giudice dei principi e dei valori; ciò accade a seguito della pressante pretesa di quella realtà di oggi e di domani che è il mercato, da intendere principalmente nella sua forma sostanziale di “ordine giuridico”. Il diritto, universo complesso, non è più comprimibile oggi negli asfissianti confini della legge. Vi è la necessità di aprire un cammino che ci conduca a riscoprire tutta la complessità del diritto, a recuperarne tutta la ricchezza, mettendosi alle spalle un patrimonio di credenze presentate come assolute da una visione resa cristallizzata da un eccesso di ideologia. Nel riappropriarsi di questa dimensione di complessità vi è anche spazio per un recupero al diritto della oltraggiata equità. Le leggi che sono state etichettate come relative alla tutela della razza, di cui ricorre il sessantennio, sono ancora oggi leggi formali dello Stato italiano, anche se possono essere accusate di essere connotate da un contenuto iniquo e non compatibile con la comune coscienza etica.
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.