Brando è mio e me lo tengo io (cit. Ruddy)
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Siamo in fila alla cassa di un noto centro commerciale. Mia madre compra solo cibo che le piace, senza alcuna considerazione che abbia a che fare con le opportunità economiche o di salute. Sostiene che a più di settant’anni ha la facoltà di scegliere come morire. Tre uomini dall’aria minacciosa si avvicinano, vestiti troppo pesantemente per la stagione.Un vecchietto alle nostre spalle segue lo sguardo preoccupato della moglie e la conforta: “Non ti preoccupa’, tesoro, so’ camorristi no jihadisti”.
Io e mia madre siamo sull’orlo delle lacrime per trattenere le risate: solo qualche anno fa, credo, che un commento del genere avrebbe altrettanto sconvolto la signora. Certamente la nota del marito arrivava a sconfiggere lo stato di ansia della donna con qualcosa che fosse a lei più comprensibile e vicino come un “fatto” di camorra più che un attacco terroristico.
In una frase il sociologo/pensionato aveva riassunto il concetto che per quanto possa essere terribile, tutto quello che è vicino ci spaventa meno di quello che non è cresciuto con noi culturalmente. Il che, poi, è abbastanza, assurdo.
Mi sembra di tornare alla guerra del Golfo quando tutto quello che arrivava in tv e sui giornali ci appariva lontano miglia, fino a che, poi, non è arrivato il povero Cocciolone “scummat”e sangue” a ricordare che c’entravamo anche noi. Ed anche lì: non era cambiato nulla, ma il solo fatto che si trattasse di un connazionale ha armato di borsellino decine di signore anziane, e non solo, che si sono preoccupate di fare la scorta alimentare per timore che la “guerra” le affamasse.
Ricordavano soprattutto questo della guerra a loro più vicina, la Seconda. Le rinunce di oggi sono diverse, hanno a che fare con la scelta di trascorrere le vacanze entro i confini nazionali, nella convinzione che la nostra collocazione nelle controversie armate internazionali ci salvi dalla follia del malato di turno, pronto alla strage.
La cronaca purtroppo ci ricorda che si muore anche per il cornicione staccato dal palazzo storico, anche se a Napoli il must è quello della morte per mano della criminalità organizzata. Quando l’infermiere impazzito di Secondigliano sparò sulla gente in strada tutte le persone di passaggio facevano domande circa l’appartenenza clanistica dello sparante. Perché a noi questa fissazione di essere parte di una famiglia, che già avevamo ben radicata come il mai rimpianto Banfield sottolineò con il concetto del “familismo amorale”, non ce la leva nessuno. Del resto a incrementare l’uso proprio del termine famiglia per riferirsi ad una organizzazione mafiosa fu proprio il film che ne parlò. Si tratta chiaramente de “Il padrino” che compie quest’anno 44 anni.”
“(…) rapporti intercorsi fra Albert Ruddy e lo stato maggiore della mafia americana. Mettiamo da parte, per non dilungarci troppo, i normali attentati all’automobile di Ruddy, le telefonate minacciose, le pressioni ad ogni livello esercitate per impedire che il film venisse fatto. Arriviamo subito all’oceanico incontro spettacolo organizzato da Joseph Colombo per la “Lega dei diritti civili degli italoamericani al quale hanno partecipato Frank Sinatra e Sammy Davis jr. che si sono esibiti di fronte a diciottomila persone , col generoso concorso delle quali si è riusciti a raccogliere la bella somma di 600.000 dollari. Colombo prese questo gruzzolo e andò a sventolarlo sotto il naso di Ruddy dicendo: “Questi serviranno per tagliarvi le gambe. Al che il giovane produttore, ora un po’ impensierito replicò: “Ma cerchiamo di metterci d’accordo. “Se vuoi metterti d’accordo con me” disse Colombo “devi togliere dal film tutti i nomi ed i riferimenti italiani!.” Con tutta la mia buona volontà” replicò Ruddy” questo non è possibile. Cosa ne sarebbe della storia se il “padrino” fosse impersonato da un irlandese ed il suo avvocato fosse un negro?
Sentiamo un’altra proposta. “Allora ” concluse deciso Colombo ” devi almeno togliere dal film tutte le parole come “mafia”, “Cosa Nostra” e simili. D’accordo?”
(intervista a Albert Ruddy di Giacomo R. Carioti per IL DRAMMA, mensile, luglio/agosto 1972).
Sul film gli aneddoti si sprecano dal momento che è una delle opere miliari del cinema di tutti i tempi, ma quello che io preferisco ha a che fare ancora con il suo produttore: il simpatico e geniale pazzo Albert Ruddy. Quest’uomo fece fare un provino incognito a Marlon Brando! Lo fece perché agli Studios del Brandone non ne volevano sapere e Marlon
ci teneva molto al ruolo. Ruddy inizialmente cercò di demotivarlo, dicendogli che il ruolo non era alla sua altezza, ma poi dovette dirgli la verità. Ruddy accettò di fargli fare un provino come uno sconosciuto qualunque, nel film ce n’erano già tanti che poi sarebbero diventati mostri del cinema (basti la Keaton tanto per fare un esempio). Dunque Ruddy fece buon viso a cattivo gioco e lo fece entrare dalla porta di servizio. Tutto questo, oltre al fatto che Brando resta un magnifico attore del quale difficilmente si fa a meno, anche perché Ruddy, diciamola tutta e tanto per rimanere negli ambiti della famiglia, proprio al padre di Marlon Brando, Marlon Brando senjor, doveva il suo lavoro come produttore per il film del 1965 “Seed Wild”, diretto da Brian G. Hutton.
Insomma Brando si impomatò i capelli col lucido per le scarpe e si truccò autonomamente recitando la parte di un boss mafioso, risultato? Il provino finito nel calderone di tutti i provini piacque molto al presidente della Paramount. Ruddy gongolava nel rivelare il nome dello sconosciuto attore che aveva provocato ineguagliati entusiasmi, il presidente della Paramount un po’ meno. In ogni caso, dopo aver incassato la scoperta che non trattavasi di sconosciuto ma del celeberrimo Brando se ne uscì con: “La persona che io ho scelto quale protagonista del film non ha nome: è per me un meraviglioso sconosciuto, voi soli sapete che si tratta di Marlon Brando. Facciamo finta che non me lo abbiate rivelato”.
Insomma in perfetta linea con il testo la produzione del film cominciava con un atto omertoso.
Anche ai giorni nostri la leggenda vuole che ci siano state intimidazioni e lotte per la produzione della serie “Gomorra”… resta solo da capire se anche questa rimarrà nella storia degli audiovisivi come “Il Padrino”… Qualcuno ha già la risposta?
Autore Barbara Napolitano
Barbara Napolitano, nata a Napoli nel dicembre del 1971, si avvicina fin da ragazza allo studio dell’antropologia per districare il suo complicato albero genealogico, che vede protagonisti, tra l’altro, un nonno filippino ed una bisnonna sudamericana. Completati gli studi universitari si occupa di Antropologia Visuale, pubblicando articoli e saggi nel merito, e lavorando sempre più spesso nell’ambito del filmato documentaristico. Come regista il suo lavoro più conosciuto è legato alle dirette televisive dedicate a opere teatrali e liriche. Come regista teatrale e autrice mette in scena ‘Le metamorfosi di Nanni’, con protagonisti Lello Arena e Giovanni Block. Per la narrativa pubblica ‘Zaro. Avventure di un visionauta’ (2003), ‘Il mercante di favole su misura’ (2007), ‘Allora sono cretina’ (2013), ‘Pazienti inGattiviti’ (2016) ‘Le metamorfosi di Nanni’ (2019). Il libro ‘Produzione televisiva’ (2014), invece, è dedicato al mondo della TV. Ha tenuto i blog ‘iltempoelafotografia’ ed ‘il niminchialista cinematografico’ dedicati alla multimedialità.