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‘O pertuso de’ creature: Real Santa Casa dell’Annunziata

Real Casa dell'Annunziata di Napoli - ph Rosy Guastafierro


Il popolo napoletano, da sempre afflitto dalla miseria, non ha mai perso il suo cuore grande; in particolare donne e uomini di un certo rango, in qualche modo, hanno donato alla città dei rifugi per i diseredati, i malati, i dimenticati, nella speranza di un possibile futuro migliore.

Nel 1304, Nicolò e Jacopo Scondito, due gentiluomini partenopei, costruirono nel quartiere Pendino, nel centro storico della città, vicino Forcella, dalla caratteristica area triangolare derivante dal tracciato dell’antica via chiamata Soprammuro, praticamente la sua cinta muraria, una casa, dedicandola all’Annunciazione della Vergine, dando così vita alla Congregazione della Santissima Annunziata.

Nel 1318 chiesero al Re Roberto d’Angiò, detto il Saggio, di poter espropriare un piccolo fondo in modo da poterla ampliare. Furono concessi privilegi e donazioni grazie all’intervento della Regina Sancha di Maiorca, seconda moglie del sovrano.

Nel 1343, divenuta reggente a causa della morte del monarca, fece in modo che il nuovo complesso contenesse una chiesa con il campanile, un convento, un orfanotrofio, un ritrovo per le ragazze diseredate con annesso conservatorio e, finanche, un ospedale di “pronto soccorso” ottenendo, così, dai due fratelli il diritto di patronato.

Nel 1344, costretta a lasciare la corte a causa dell’ascesa al trono di Giovanna I, si ritirò nel monastero di Santa Maria della Croce prendendo i voti e il nome di suor Chiara di Santa Croce, dove morì, l’anno dopo, con il pregio di aver fondato il primo orfanotrofio d’Europa.

Nel 1433 la Regina Giovanna II lo ampliò ulteriormente. L’opera così congegnata continuò a ricevere cospicue donazioni, tanto che nel 1577 diede vita al banco dell’Ave Gratia Plena, che in futuro diverrà il Banco di Napoli.

Questo Istituto è stato sempre amministrato da un governo laico proveniente prevalentemente dalla Compagnia dei Bianchi della Misericordia, accrescendo sempre più la sua importanza, tanto da non essere stato mai sottoposto alla giurisdizione della diocesi, fino alla sua chiusura avvenuta nel 1980.

Nel Medioevo l’abbandono dei neonati era un fenomeno molto frequente, addirittura, in alcune zone, veniva tollerato l’infanticidio se questo avveniva prima che il neonato fosse nutrito. La superstizione dilagava, i bimbi deformi o in cattiva salute venivano facilmente lasciati a loro stessi, poiché si riteneva fossero stati concepiti mentre la donna aveva il ciclo mestruale, stesse allattando oppure durante il periodo della Quaresima.

Per la comune morale i parti gemellari, invece, si attribuivano all’adulterio e la madre veniva costretta, seppur innocente, a liberarsi di uno dei due per la sua stessa sopravvivenza e quella del figlio scelto.

Il fenomeno crebbe ulteriormente nel XIII secolo, come conseguenza della proibizione ai preti di potersi sposare. L’incesto, la gelosia e la carestia alimentarono la vendita o l’abbandono di questi sfortunati che venivano così “esposti” davanti alle chiese o ai conventi e che, troppo spesso, a causa delle avverse condizioni atmosferiche, venivano rinvenuti morti.

Per porre fine a ciò, fu inventata la cosiddetta “ruota dei gittarelli”, una bussola girevole di legno dalla particolare forma cilindrica, divisa in due parti da uno sportello con doppio battente, uno che poteva aprirsi solo dall’esterno, l’altro, invece, solo dall’interno, in modo da consentire l’anonimato di chi deponeva.

Anche la Real Santa Casa dell’Annunziata ne era da sempre provvista.

All’esterno un puttino contrassegnava l’imbocco con una scritta che ammoniva:

O padre e madre che qui ne gettate
Alle vostre limosine siamo raccomandati.

All’interno, invece, una campanella avvertiva della nuova presenza, le balie poste di guardia intervenivano prontamente lavando ‘o creature nella vasca accanto, che aveva il duplice compito di pulire e, contemporaneamente, battezzare il nuovo ospite.

Al suo collo veniva immediatamente posta una placchetta di piombo con il numero di matricola da un lato e l’immagine della Madonna de Repentiti o Mamma Chiatta dall’altra.

Si annotavano accuratamente sul registro numerato il giorno e l’ora, i panni nei quali veniva posto e qualsiasi indizio che, un giorno, potesse fare in modo di farlo riconoscere, ma dato l’analfabetismo dilagante, spesso, invece, si trovavano carte da gioco divise a metà, una medaglietta d’oro o d’argento.

Tutti all’interno di questo brefotrofio diventavano i “figli della Madonna”, “figli d’a Nunziata” o “esposti”, perché i genitori li offrivano alla misericordia di Maria. La Sacra Ruota degli Esposti ha dato vita al più noto e diffuso cognome di Napoli: Esposito.

Era una delle più note in tutta Italia, purtroppo, però, a causa della crescente povertà, nel suo interno venivano introdotti anche adolescenti, che, per la postura assunta nella maniera di muli capeteati, ovvero con la testa in avanti, si riducevano con danni permanenti; chi riusciva, invece, a passarvi indenne era definito un predestinato.

Fu definitivamente chiusa il 22 giugno 1875, ma l’istituto continuò la sua funzione per circa un secolo ancora.

Dalle sue balie, attraverso gli anni e fino al 1980, si sono formate intere generazioni di speciali infermiere per bambini, ovvero le puericultrici, figura ormai sostituita per legge, ma che hanno assistito, durante il corso triennale, alternandosi di giorno e di notte, i moderni “gittarelli”.

Il più illustre ospite è stato l’immenso artista Vincenzo Gemito, che, adottato nella seconda metà dell’Ottocento da una famiglia di modesti falegnami, già a nove anni dimostrò il suo precoce talento per la scultura, la pittura, l’arte orafa, regalando al mondo le sue sublimi creazioni.

Non ho mai saputo perché il cognome della mia mamma fosse Vittorina, ma mi piace pensare che contenesse la sua vittoria contro una sorte avversa, che la portò poi in adozione in una famiglia caritatevole che, malgrado il periodo storico non facile della II Guerra Mondiale, l’ha allevata con amore, contribuendo a farla diventare una donna, una moglie, una mamma e una nonna esemplare.

Foto Rosy Guastafierro

Autore Rosy Guastafierro

Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.

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