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Nuovomondo – quando i migranti eravamo noi



Sicilia, fine Ottocento inizio Novecento. Salvatore e il suo primogenito stanno scalando una montagna di pietre, sono scalzi, hanno dei sassi in bocca e man mano che camminano, per non farli cadere, stringono sempre più le labbra tanto da ferirsi; giunti in cima ripongono le pietre oramai insanguinate ai piedi di una statua: è la Madonna! I due sono saliti fin lì per chiederle se è giusto che vadano via, che partano per il Nuovomondo.

L’inizio della pellicola di Crialese ha la potenza del minimalismo, l’intensità del silenzio interrotto solo dal rumore delle pietre, il fascino di questa scalata che sembra interminabile in un paesaggio e un’atmosfera che non paiono tanto lontani dal kubrickiano input di ‘2001: odissea nello spazio’, lì con gli scimmioni delle origini alle prese con il monolite, qui con i pastori impauriti da una fede senza i cui “segni” nulla si muove.

Eppure, questo è solo il principio di una storia che simboleggia i drammi vissuti in quel periodo da milioni di italiani che, con il miraggio di un mondo nuovo, dove tutto è più grande e più bello, partivano lasciando patria, affetti e averi.

La storia è quella di Salvatore Mancuso, dei suoi due figli, il più piccolo sordomuto, e dell’anziana madre, l’unica a non voler andare via.

Per prepararsi degnamente alla partenza, il pastore vende tutto quello che possiede, asini e capre, per vestire sé e la sua famiglia con scarpe e mantelli della defunta gente “bene” del paese.

Ad aiutare loro come decine di altre persone di Pratalia organizzandoli, educandoli ed indirizzandoli verso il porto d’imbarco è il curato del posto che, rappresentando degnamente la chiesa cattolica del tempo così come lo stato italiano, incoraggia gli esodi di massa verso la speranza per liberarsi di chi comincia a ribellarsi alla fame e a reclamare diritti e dignità.

Una volta “scesi a mare”, come bestie ammassate e maltrattate, i partenti vengono superficialmente visitati e spinti con i loro fagotti sulla nave, uomini da una parte e donne dall’altra.

Alla famiglia Mancuso si affianca una misteriosa ragazza dai capelli rossi, con abiti da signora e fare distinto confermato dal fatto che indossa il cappello, a quel tempo tra le donne segno di distinzione; è inglese e, durante il viaggio, cominciano a girare voci strane su di lei anche perché la si vede vagare sulla nave accompagnandosi di tanto in tanto ad eleganti passeggeri che qualcuno le propone d’incontrare.

Nonostante le malelingue, tra l’altro non tanto distanti dalla realtà dei fatti, Salvatore resta ammaliato da questa Luce, il suo nome è guarda caso Lucy, e comincia con lei un gioco di sguardi oltre a diventare protettivo nei suoi confronti tenendo a bada i numerosi ammiratori.

Una volta entrati in confidenza, lei gli chiede senza troppi giri di parole di sposarla, appena giunti a destinazione, così da poter essere libera di entrare negli Stati Uniti e Salvatore, incredulo e forse non del tutto conscio, accetta senza batter ciglio.

Finalmente nel Nuovomondo, la massa di migranti è obbligata al passaggio nei famigerati uffici immigrazione di Ellis Island: una volta in fila indiana la moltitudine subisce ispezioni corporali alla ricerca di malattie, imperfezioni, pidocchi, viene sottoposta a test attitudinali assurdi che i funzionari giustificano dicendo “l’ignoranza è contagiosa e il nuovo mondo ha bisogno di gente sana”, vengono in mente altre pratiche del genere che qualche anno dopo daranno vita all’orrore delle selezioni genetiche naziste.

Mentre si consuma il rituale pseudo-barbarico del confronto tra le donne messe “in vetrina”, come Lucy, e gli uomini, compreso il capofamiglia dei Mancuso, che devono scegliere tra queste la propria moglie, a conferma della considerazione nulla che allora si aveva delle donne senza marito, a distanza di pochi metri si decidono i destini di altre persone che stanno per essere rimandate a casa.

Infatti, in seguito ai controlli l’anziana madre di Salvatore ed il suo figlio più piccolo non vengono ammessi al Nuovomondo perché ignorante, la donna, ed handicappato, il ragazzo… non tutti sono “degni” di attraversare la Porta Dorata.

Il regista Emanuele Crialese, dopo aver sbancato Cannes con il suo bellissimo ‘Respiro’, è riuscito nel difficile compito di affrontare un tema toccante e storicamente complicato come quello dell’emigrazione di massa degli italiani in America di inizio Novecento, senza banalizzarlo o estremizzarlo in emozioni quali rabbia e commozione che potevano tranquillamente e a ragione prendere il sopravvento per una storia tanto importante quanto tragica e stranamente poco narrata dalla cinematografia.

La scelta narrativa è originale oltre che geniale, a partire dai sottotitoli che lasciano spazio alla lingua siciliana e alla sua genuinità, alla forza del suo dolore, al realismo che viene messo in scena.

Eccezionali i frammenti onirici che si alternano agli avvenimenti reali: tra le immagini più significative del cinema italiano degli ultimi anni rientrano senz’altro i corpi dei migranti che emergono  da un mare lattiginoso in un’armonia da danza classica e le allucinazioni di Salvatore che, oramai colpito da eccitazione delirante per il viaggio della speranza da intraprendere, vede quello che in America si augura di trovare, frutta ed animali giganteschi.

Le interpretazioni sono tutte al di sopra della media e coinvolgenti nella loro semplicità: su tutti Vincenzo Amato che, come già in ‘Respiro’, alterna all’imperiosa fisicità un’espressività ed un trasporto emotivo non solito tra gli attori nostrani contemporanei.

Come nel film precedente, ad affiancarlo egregiamente sono Francesco Casisa e Filippo Pupillo nella parte dei due figli; discorso a parte merita Charlotte Gainsbourg, per una prova difficile che ha scelto di interpretare in italiano con buoni risultati e conferendo al personaggio di Lucy un alone di mistero anche quando pare ormai chiaro il suo intento, il suo ruolo nella storia.

Eppure, proprio il personaggio di Lucy riveste un valore simbolico in ‘Nuovomondo’: la donna inglese non è altro che la Luce per cui si perde la testa, la speranza verso cui ci si imbarca lasciando tutto e tutti, quell’affascinante mistero la cui apparente meraviglia può essere fatale, può portare sofferenza, l’oggetto di malelingue che in realtà altro non cerca che la salvezza, la libertà da raggiungere con ogni mezzo sfruttando chiunque possa essere utile al suo fine; Lucy è il ‘Nuovomondo’. 

Nuovomondo’ ha ricevuto alla Mostra del Cinema di Venezia il Leone d’Argento come rivelazione del festival, ma, stranamente, alla sua uscita non è stato considerato come meritava dall’opinione pubblica italiana, troppo occupata a cercare e a combattere i “mostri” immigrati piuttosto che ricordare che tra l’800 e il ‘900 quei “mostri” eravamo noi italiani.

A tal proposito vorrei consigliare una lettura su quest’argomento, ‘L’orda’ di Gian Antonio Stella, e lo consiglierei principalmente a chi non ha le idee ben chiare sugli italiani del ‘900 e sul come venivano considerati da tutto il resto del cosiddetto mondo civile, quello stesso mondo di cui ora ci vantiamo di far parte.

Autore Paco De Renzis

Nato tra le braccia di Partenope e cresciuto alle falde del Vesuvio, inguaribile cinefilo dalla tenera età… per "colpa" delle visioni premature de 'Il Padrino' e della 'Trilogia del Dollaro' di Sergio Leone. Indole e animo partenopeo lo rendono fiero conterraneo di Totò e Troisi come di Francesco Rosi e Paolo Sorrentino. L’unico film che ancora detiene il record per averlo fatto addormentare al cinema è 'Il Signore degli Anelli', ma Tolkien comparendogli in sogno lo ha già perdonato dicendogli che per sua fortuna lui è morto molto tempo prima di vederlo. Da quando scrive della Settima Arte ha come missione la diffusione dei film del passato e "spingere" la gente ad andare al Cinema stimolandone la curiosità attraverso i suoi articoli… ma visto i dati sconfortanti degli incassi negli ultimi anni pare il suo impegno stia avendo esattamente l’effetto contrario. Incurante della povertà dei botteghini, vagamente preoccupato per le sue tasche vuote, imperterrito continua la missione da giornalista pubblicista.

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