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‘Nunzio’ al Positano Teatro Festival

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'Nunzio'


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In scena il 2 agosto nella Piazzetta della Chiesa Nuova

Riceviamo e pubblichiamo dall’Ufficio Stampa del Positano Teatro Festival.

Mercoledì 2 agosto, alle 21:00, nella Piazzetta della Chiesa Nuova di Positno (SA), in scena la poetica, divertente e visionaria scrittura di Spiro Scimone e Francesco Sframeli che ritornano a Positano con lo spettacolo ‘Nunzio’, per la regia di Carlo Cecchi, con cui hanno partecipato, nel 2002, alla prima edizione del Festival. Spiro Scimone, nel 2011, ha ricevuto il Premio Annibale Ruccello.
Compagnia Scimone Sframeli Francesco Sframeli e Spiro Scimone in ‘Nunzio’ di Spiro Scimone, regia Carlo Cecchi. Scena e costumi Sergio Tramonti, disegno luci Domenico Maggiotti, regista assistente Valerio Binasco.

Due solitudini che convivono, due uomini ai margini della vita. Si ritrovano chiusi nello spazio di una cucina, attorno al tavolo che domina al centro di quell’unico ambiente che è casa, rifugio, tana dove entrambi si nascondono: a sé, al mondo.

Entrambi incapaci di decidere del proprio destino, l’uno sempre in giro, per misteriosi incarichi, forse un killer, costretto a ubbidire agli ordini di un invisibile mandante, l’altro ad affidarsi alle pasticche e al lumicino acceso davanti all’immagine del Sacro Cuore, nel rifiuto di ammettere la malattia che lo sta uccidendo.

‘Nunzio’, il testo di Spiro Scimone, mi ha prima di tutto interessato, perché è stato scritto, in siciliano, da un giovane attore che lo avrebbe recitato con un altro giovane attore con il quale da anni lavora.

È un testo che nasce da dentro l’esperienza teatrale che due giovani attori da anni condividono. Ciò era per me di grande interesse, perché forse si trattava di una cosa che aveva una sua reale necessità.

Il lavoro che, con Valerio Binasco, mio assistente per questa regia, stiamo facendo con Spiro Scimone e Francesco Sframeli, mi ha confermato che si tratta di qualcosa di molto serio: il teatro è per loro fondamentale.

C’è un conflitto dentro il teatro di ‘Nunzio’ fra un contenuto veristico ottocentesco, aggiornato anche secondo cliché cinematografico-televisivi, e l’intermittente esperienza della sua impossibilità; ossia fra la pretesa del “come se” della convenzione realistico-naturalistica e la coscienza, se pur baluginante, della sua ormai sclerotizzata alienazione.

Questo conflitto, che fa capolino qua e là nel testo, mi è sembrata la cosa più interessante e più produttiva da affrontare e approfondire.

E poiché esso tocca i temi più problematici della recitazione, come per esempio il rapporto fra l’identificazione e il suo opposto, il lavoro con gli attori durante le prove, è la regia.
Carlo Cecchi