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Nemico mio

Nemico


Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia.
Sun Tzu 

Il nemico è indispensabile perché ci permette di avere un’identità nazionale, ci rende uniti a dispetto di uno straniero che riteniamo sia diverso da noi.

Colui che vive oltre il nostro orizzonte ha svariati costumi, differenti usanze e ha un tratto che comodamente lo rende individuabile, il colore della sua pelle o la forza del suo pensiero, proprio per questo, è il nemico perfetto.

Diceva Von Clausewitz che quando “scegliamo” il nostro nemico, dobbiamo usare cautela e saggezza. Non bisognerebbe mai prediligerne uno troppo debole, poiché la vittoria su un rivale siffatto ci potrebbe fornire di certo in prima battuta approvazioni e consensi, poi, successivamente, arriverebbe il cosiddetto odio dei “buoni”, vinti dal dignitoso sentimento della “pietas”.

Di sicuro, non necessita sceglierlo troppo forte. Magari diventa interessante che non abbia vizi, difetti e macchie che qualcuno potrebbe trovare anche in noi.

Una delle poche verità che non ci insegnano nel buonismo ideologico collettivo è che abbiamo bisogno tutti di avere un nemico. Necessiterebbe introdurlo nelle discipline scolastiche, così comprenderemmo meglio la strategia, la leadership e il rafforzamento di ogni componente emotiva che ci contraddistingue.

Il sistema di ogni nostro pensiero ruota sempre intorno alla partizione di amico – nemico e al concetto, mai davvero tematizzato, ma centralissimo, di fronte.

Schmitt affermava che il nemico è la messa in questione di noi come figure. Se non ne abbiamo uno non siamo nulla, ci diradiamo nell’aria, dissolvendoci nello spazio assoluto e astratto. Diventiamo un io brillante, ma indebolito, improduttivo, disadatto ad accedere alle beghe quotidiane.

Avere sempre buoni nemici rende uomini, figure, persone, perché costoro si posizionano sul mio stesso piano. Mi devo scontrare con loro per procacciare la mia misura, il mio limite, la mia figura.

Per molti il vero nemico non viene considerato un antagonista assoluto e nemmeno un avversario dell’umanità in generale. Il nemico assoluto è il nemico – o l’amico – dell’umanità in generale, che si manifesta nel pericolo, per così dire, democratico, che non conserva e non può oscurare nessuno.

Deve essere eliminato, ma senza essere soppresso, perché alla fine il nostro opposto acerrimo ci eleva e ci consente di essere più totale.

Per intenderci, quello giusto non è Hitler, Saddam o Bin Laden. Non può essere esposto come un comune criminale e messo alla sbarra, giudicato e giustiziato. È quello che mi permette di trascendere la mia realtà data.

Edificando i propri oppositori, tutte le società, la nostra compresa, compongono il puzzle di se stesse, delineano i propri confini culturali, etici e morali, il proprio valore e coraggio e si definiscono per opposizione: esse sono ciò che egli non è.

Un ruolo fondamentale nel suo processo di identificazione è vissuto dai media, dalla cultura e, nei regimi totalitari, anche dalla scuola e dalla propaganda.

La scelta del nemico scivola agevolmente su chi è altro, diverso: è una selezione più semplice perché in questo modo egli diventa istantaneamente distinguibile, si concretizza e arruola le masse.

Nel ventennio fascista, in Italia, il nemico era la persona antifascista, ebrea, con disabilità fisiche o mentali o aderente a minoranze etniche. Oggi egli è segnalato, a seconda della circostanza e del punto di vista, nella persona immigrata, omosessuale, meridionale…

È un circolo vizioso più volte descritto dalle analisi più classiche come quelle sul razzismo: moltiplicandosi le espressioni e gli atti d’intolleranza e divenendo routinaria la discriminazione, sancita o legittimata dalle norme, si incrementano le immagini negative delle minoranze, già diffuse nella società e consolidate dall’opera svolta dai media.

Tutto ciò, a sua volta, aggrava l’ineguaglianza strutturale delle minoranze e rafforza quindi la xenofobia e il razzismo. Normalmente l’avversario si fabbrica quando una società vive fortemente un momento di crisi, di mancanza di stabilità, in circostanze storiche contrassegnate, ad esempio, dalla scarsità di risorse alimentari, dalla necessità di conquistare nuove terre a seguito di un incremento demografico, oppure ancora in presenza di profonde crisi economiche o sociali per le quali non si riesce a trovare soluzioni credibili. Allora avere a portata un antagonista permette di veicolare le proprie delusioni, preoccupazioni, odi e sgomento.

La sua presenza consente di avere qualcuno contro cui lottare, è qualcuno che si vuole conquistare, è il capro espiatorio di una situazione di crisi che si sta vivendo come popolo e/o come individui.

Più ancora, identificarne uno chiaro e condiviso crea “gruppo”, accresce l’identità di un popolo e lo rende più coeso, governabile, manovrabile. E la politica qualunquista, priva di ordine e di organizzazione, ne approfitta. È una figura che serve, è necessaria.

Dalla fine del XVIII secolo è stato sfruttato come un elemento fondante dell’azione di propaganda per assicurare intesa tra le parti e manipolare il popolo. Scoperto durante la Rivoluzione, il suo uso politico e soprattutto propagandistico, gli aristocratici e la coalizione delle monarchie, è divenuto incredibilmente efficiente quando è stato accostato a una società moderna.

Il Novecento è stato così il secolo aureo del suo uso promozionale. Non solo concede di catalizzare e cementare il consenso, ma permette di spostare l’attenzione. I governi autoritari, oggi quelli populisti, hanno la necessità di direzionare l’interesse dagli argomenti, dai temi scomodi o per i quali non si hanno risposte credibili. Egli è dunque parte essenziale della propaganda iper-semplificata.

Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità, ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurarci rispetto al nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro.
Umberto Eco

Eco identificava la creazione del nemico come la più semplice via per concepire una società aggregata, perché sosteneva che essa ha sempre un urgente bisogno di odiare, in quanto è arduo pensare a costruirne una senza un oppositore: essa necessiterebbe di intelligenza ed eroismo.

Ci sarebbero poi gli altri avversari che ci siamo creati con le nostre mani: la fame, le malattie infettive, l’inquinamento dell’ambiente, la droga, insomma la società umana ad alto rischio alla ricerca di un nuovo ordine.

Sarà questo il nemico vero?

Se sì, perché mai le nazioni più ricche e forti del mondo respingono ostinatamente di rispettare il diritto internazionale, le regole internazionali per salvare il mondo dall’autodistruzione?

Forse perché il nemico vero siamo noi che abbiamo creato e vogliamo difendere il mondo così come è diviso fra chi si può salvare e chi deve affondare.

Di fronte a un ‘altro’ che diviene segno di una minaccia reale o fittizia alla nostra identità, la vera sfida è quella di impedire che ogni forma di inimicizia/disuguaglianza degeneri in una violenza totalitaria che ci impedisca di cogliere il valore dell’umano come terreno su cui fondare un mondo comune e una polis accogliente. In fondo, in ogni nemico c’è, al contempo, un altro e noi stessi.

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.

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