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Nel mio Infinito

Infinito


Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Giacomo Leopardi – L’infinito

Quanto di quell’Infinito l’Uomo possiede? Non è forse già un errore inoltrarsi in un suo possesso, sia esso materiale o spirituale? Quali limiti potrebbe apporre l’Uomo, con tutte quante le sue miserie, ad un concetto di estensione talmente vasto e inesorabile che permea l’Essenza di Dio?

Nessun limite, nessuna recinzione; ma soltanto uno squarcio di visione umana nel velo mistico dell’Immensità. All’Uomo è concesso avere degli strumenti che possono consentirgli un viaggio verso se stesso, finalizzato a indugiare su una piattaforma di tale portata e vastità, che soltanto attraverso la sua esperienza umana, coniugata a una profonda e abissale e feconda spiritualità, può tentare di saggiare una goccia infinitesimale di quell’infinito leopardiano che assume caratteristiche di immanenza e trascendenza.

Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura.
Giacomo Leopardi – L’infinito 

Il pensiero umano, se illuminato, si origina dalla Luce dell’Intuizione e bucando la membrana del Silenzio, rende viva la parola che lo esprime. Nell’oscurità della propria e personale solitudine interiore, l’Uomo riconosce la sua natura solinga e ne apprezza il dono del limite umano; partendo da questo corollario, discende nel mare della sua feconda spiritualità, entrando naturalmente in contatto con i mondi sottili e ne avverte la straordinaria grandezza.

Egli si accorge di essere obbediente alla Legge Aurea: “il piccolo sta al grande, come il grande sta al Tutto”, e riconoscendone il profumo di immenso, si ravvede sul proprio senso esistenziale e ritrova in sé, l’originaria missione.

E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei.
Giacomo Leopardi – L’infinito 

Il vento è un altro strumento dell’Uomo, che gli consente di intuire, attraverso la sua illimitatezza e la sua impercettibile immaterialità, che il Tempo possiede una struttura conica e certamente non lineare; ogni evento esiste e si perpetua contemporaneamente insieme a tutti gli infiniti altri; insieme a tutti gli infiniti mondi, di bruniana riscoperta.

Il vento che percepisce la materia umana, attraversa l’interiorità del corpo e si dipana e si effonde nel mare dello Spirito sottile, che lo accoglie e lo amplifica con emozioni e sensazioni che soltanto l’Uomo sensibile e recettivo sa riconoscere e decodificare.

Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
Giacomo Leopardi – L’infinito 

E così l’Uomo, attraverso il silenzio e il vento, passando in una cruna di dolore e sofferenza, intuisce la vastità dell’immenso Infinito e non potendolo contenere, se non in una sua goccia infinitesimale sgorgante dentro di sé, si immerge e si abbandona nel suo mare, naufragando come un viaggiatore senza meta, se non quella di sentirsi vivo nella sua Vita e preparandosi per il passaggio ulteriore all’altra dimensione.

Eppure, in questo percorso così intimo e personale, è certamente dovere dell’Uomo, assumere la sua reale connotazione identitaria e aver chiara la sua missione in questo mondo, in questa dimensione, in questa puntuale Vita.

Il dono gli verrà concesso dall’Infinito, soltanto se sarà capace e in grado di cercarlo, nonostante cada, nonostante si smarrisca, nonostante si perda una, dieci, cento o mille volte dentro se stesso.

Perché è nel mio infinito che riconosco la sua vastità e immensità, e la sua umana e divina appartenenza ad Esso.

Autore Antonio Masullo

Antonio Masullo, giornalista pubblicista, avvocato penalista ed esperto in telecomunicazioni, vive e lavora a Napoli. Autore di quattro romanzi, "Solo di passaggio", "Namastè", "Il diario di Alma" e "Shoah - La cintura del Male".

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