I nativi digitali sono, oltre a molti nati dalla metà degli anni Ottanta, gli attuali adolescenti, venuti alla luce nel pieno della digitalizzazione, che si distinguono per un alto livello di alfabetizzazione informatica e per un uso intensivo delle nuove tecnologie di comunicazione, dimostrando anche ottime competenze.
L’introduzione di nuove discipline e modalità di divulgazione nelle società umane è sempre stata causa di profondi cambiamenti di comportamento, di abitudini, anche antropologici, che hanno persino determinato modifiche nei cervelli degli individui che possono esserne influenzati, fino a subire una radicale ristrutturazione.
Nella nostra epoca, segnata dalla rivoluzione informatica, sono soprattutto le nuove generazioni ad essere sottoposte agli effetti della tecnologia applicata nel quotidiano e ne abbiamo prove evidenti.
Basti pensare all’appropriata definizione di generazione copy – paste, ovvero copia – incolla, che contraddistingue il comportamento di adolescenti sempre meno avvezzi all’uso di carta e penna.
Chiaro che il loro atteggiamento e l’approccio usato in tale ambito siano ben diversi rispetto a quello dei migranti digitali, vale a dire le generazioni precedenti che, nate in epoche in cui la tecnologia quotidiana era la TV con il tubo catodico a due canali e il telefono con la rotella per i numeri, si sono dovute necessariamente adattare ai nuovi strumenti.
I divari comportamentali si denotano nelle piccole cose, che possono andare dallo stampare una mail prima di leggerla e conservarla su carta, oppure nelle ricerche che, per i secondi possono ancora prevedere l’uso di un’enciclopedia.
Si tratta di due fasce di popolazione completamente diverse. Per comprendere una delle differenze sostanziali possiamo fare riferimento proprio ad un sistema digitale e constatare che quella meno giovane ancora legge il prontuario per capire il funzionamento di un software, mentre la più giovane muove dall’assunto che lo stesso già contenga le istruzioni e si muova da solo, senza bisogno di essere compreso.
I nativi digitali si muovono completamente a loro agio in un mondo virtuale, creato principalmente da migranti digitali, considerati spesso dei mammut estranei a questo loro habitat naturale.
La loro categoria è tutt’altro che omogenea e con elementi caratterizzanti, esclusivamente positivi, da far valere nel prossimo mondo del lavoro e nella società.
In primo luogo, si riscontra un profondo gap in base alle zone di provenienza e alle modalità d’uso. In molte zone del mondo, basti pensare al continente africano e alle classi meno abbienti di popolazione in India o Sudamerica, il ricorso al digitale è meno diffuso e viene considerato principalmente un gioco e non uno strumento di conoscenza e di lavoro.
La maggior parte dei ragazzi si limita ad un livello tecnico abbastanza basilare, meccanico e ripetitivo, per invio di messaggi, uso di chat room, frequentazione passiva dei social network o consultazione di strumenti, quali Wikipedia, in maniera acritica.
Mostrano meno dimestichezza nel produrre contenuti e informazione non potendosi considerare tali i video di balletti, make-up o challenge.
Inoltre, i più giovani sono caratterizzati da una vera e propria ossessione per la popolarità e l’approvazione online da destare non pochi allarmi sull’uso degli strumenti digitali, in particolare dei social, con ripercussioni a livello comportamentale e di interazioni nel mondo reale. Ne avevamo parlato nel precedente articolo, in merito al dramma sui social.
Forse, con un’estrema semplificazione, ma sicuramente non andando lontano anche qui, da una cruda lettura della realtà, possiamo affermare che tra le principali preoccupazioni delle generazioni native digitali ci sono proprio la visibilità e il consenso sul web.
Una prova evidente è data dalla quantità impressionante dello scambio di messaggi che propongono e richiedono il follow reciproco e il retweet.
Autore Gianni Dell'Aiuto
Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.