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Narciso del mio tempo

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John William Waterhouse


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Mai epoca fu come questa tanto favorevole ai narcisi e agli esibizionisti. Dove sono i santi? Dovremo accontentarci di morire in odore di pubblicità.
Ennio Flaiano

Narciso è il famoso mito greco di cui Ovidio parla nelle ‘Metamorfosi’. La leggenda racconta che nacque dal dio del fiume Cefiso e della ninfa Liriope. Quest’ultima, angosciata per il futuro del figlio, interrogò l’indovino Tiresia il quale previde che Narciso avrebbe raggiunto la vecchiaia “se non avesse mai conosciuto se stesso”.

Con il tempo, divenne così bello che tutti si innamoravano di lui, ma pensava solo a se stesso e respingeva ogni attenzione. Per questa sua indifferenza verso l’amore altrui, un giorno la dea Nemesi decise di punirlo: fu fatale al ragazzo accucciarsi su di una pozza d’acqua per bere.

Così vide per la prima volta la propria immagine riflessa e si innamorò perdutamente di essa, senza rendersi conto che fosse lui stesso. Comprese dopo poco che l’immagine riflessa non era altro che la sua e che mai avrebbe potuto realizzare quell’amore, così si lasciò morire. Al posto del suo corpo le ninfe trovarono un fiore, al quale poi fu dato il suo nome.

Proprio da questo mito deriva l’aggettivo narcisista, che definisce gli individui molto vanitosi ed innamorati di se stessi. Un amore che, nell’idea di conoscere, nutrire ed ammirare solo il proprio io, è destinato a morire.

Freud affermava che l’amore è l’unico requisito per poter vivere, ergo non c’è alcun dubbio che amare l’altro è, di certo, amare se stessi. Questo amore di sé non è da leggere nell’accezione disinteressata del termine, non è la compiacenza dei propri bisogni o delle proprie ambizioni, non è l’autorealizzazione resa possibile dalla devozione dell’altro.

È solamente ciò che rende immaginabile quel dialogo, che molti schivano, tra la propria parte razionale e la propria parte folle, a cui la nostra natura ci chiama per giungere a una completa manifestazione di sé.

L’amore, infatti, non è una faccenda dell’Io, ossia della nostra parte ragionevole. E questo ognuno lo sa quando, investigato, non sa fornire alcuna soluzione a chi gli chiede ragione della sua passione.

Ma ognuno lo sa anche quando, pur essendo cosciente che quel sentimento è errato, asserisce di non potersene comunque svincolare. Per la stessa ragione nessuno crede fino in fondo all’altro quando dice “Io ti amo”, perché amore non è una faccenda dell’Io, dal momento che, come ci ricorda Freud:

l’Io non è padrone in casa propria

perché non conosce le forze che individuano quelle che l’Io considera sue scelte.

Oggi che mondo è in chiave d’amore proprio?

Credo che possiamo serenamente e non senza una punta di acredine parlare di “cultura del video-narcisismo”.

Il giovane si rifletteva in una sorgente d’acqua, oggi la sorgente è lo schermo di uno smartphone. La nostra crescente “narcisizzazione”, convalidata dalla ricerca sul campo, è in gran parte riconducibile alla modificazione delle strutture della comunicazione e dei rapporti sociali.

Viviamo in un’epoca che agevola lo sviluppo di immagini di sé fragili che si traspongono in paura dei rapporti duraturi, superficializzazione/virtualizzazione delle relazioni, stigma per ciò che è valutato brutto, orrore dell’invecchiamento, rimozione della vulnerabilità, ricerca di apprezzamento a buon mercato, come i like, e presenzialismo iterativo, come i selfie.

Gli schemi comportamentali e cognitivi del narcisismo sono orientati alla difesa dalle cosiddette ‘ferite narcisistiche’ cioè ‘attacchi’ alla propria immagine, considerata eccezionale e grandiosa.

Non che sia un male, un orrore coltivare sé stessi. Il vero problema è se questa ricerca è vissuta con gli altri o a loro discapito. Si vede un indebolirsi dei legami di solidarietà e un rafforzare di egolatrie composte di ossessioni identitarie, economiche, estetico – chirurgiche.

Qualcosa è mutato in noi, molto più profondamente di quello che sappiamo. È avvenuto un tramonto: quello dell’uomo economico e l’avvento di un nuovo tipo di persona, proprio il narcisista.

L’individuo di oggi appartiene ad una epoca della fine dell’etica del lavoro e della fiducia nel progresso sociale. Il narcisista, che esce da questa nostra epoca, non è un mero egoista in preda a uno stato mentale per cui il mondo non è altro che lo specchio dell’Io, ma un essere perseguitato dall’ansia, tutt’altro che pago di sé.

Egli esige una gratificazione immediata e vive, perciò, in uno stato di inquietudine e di insoddisfazione perenne. Superficialmente tollerante, è in realtà privo di ogni solidarietà e vede in ciascuno un rivale con cui competere. Si ritiene affrancato dai tabù e non ha tuttavia alcuna serenità sessuale. Loda il rispetto delle norme e dei regolamenti, ma nella segreta convinzione che non si applichino nei suoi confronti.

Non ha interesse per il futuro e nemmeno per il passato, che gli appare come un insieme di modelli superati, con mode e atteggiamenti antiquati.

Vive, così, in un mondo dell’eterno presente, che rispecchia pienamente la miseria della sua vita interiore, un mondo che fa della nostalgia un prodotto commerciale del mercato culturale e che rifiuta immediatamente l’idea che in passato la vita fosse, per certi aspetti rilevanti, migliore di quella d’oggi.

L’uomo tragico è proprio il narcisista del nostro tempo, incapace di mobilitare le capacità adattive e le risorse necessarie a far fronte alla transazione sociale e culturale della nostra era; inconsapevolmente paralizzato dalla certezza che le fondamenta della nostra società consumistica, in cui è stata esasperata la funzione dell’immagine, sinonimo di benessere, stiano rovinosamente per cedere sotto il peso dell’inadeguatezza del proprio operato.

L’uomo economico dell’etica del lavoro è stato insomma sostituito da un tipo d’uomo che presenta tutti i tratti di un narcisismo patologico, un narcisismo che permea a tal punto la società contemporanea che l’unica speranza sembrerebbe quella di riuscire a sopravvivere al suo crollo.

La volontà di costruire un mondo migliore non è affatto estinta. Continua a sussistere insieme a sopravvivenze di tradizioni locali e iniziative collettive che hanno solo bisogno della prospettiva di una nuova società decente, per riconquistare nuovo vigore.

Dal punto di vista socio – culturale, la diffusione dei tratti identitari narcisistici sono sicuramente imputabili alla frammentazione istituzionale della società occidentale, che, a partire dalle conflittualità intrinseche ai complessi di ruoli che si vengono a rivestire e alla separazione tra abitazione e luoghi di lavoro, causano una parcellizzazione dell’esistenza.

Il relativismo è poi strettamente congiunto all’individualismo: l’essere umano, non trovando orizzonti condivisi di senso, si ripiega su se stesso, assumendo il proprio Io come unico punto di riferimento.

Imparare a vivere è imparare ad essere persona e l’essere «persona» necessita di un reciproco riconoscimento. In questo senso, il riconoscimento non è certamente quella affannosa ricerca di conferme che nutre l’ansia del narcisista.

È il mondo e noi che pretendiamo di indossare maschere che offuschino la verità della nostra anima: il narcisista non è in grado di ridimensionare la propria voracità e onnipotenza senza andare incontro al completo fallimento esistenziale.

È allora che subentrano sentimenti di profonda ed intollerabile umiliazione fino all’emergere devastante della realtà che condanna ogni menzogna, ogni nostra illusione e tutte quelle paure che sono sogni e bisogni di chi ancora si specchia e vede un eterno infinito.

Non sono narcisista né egocentrico; se fossi vissuto nell’antica Grecia non sarei stato Narciso. E chi saresti stato? Giove.
Woody Allen 

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Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.