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Napoli e i suoi giornalisti “ingrati”

Napoli


Masochismo o sciacallaggio?

Che la stampa nazionale non abbia un bel rapporto con Napoli, è noto. Il caso di Giampiero Amandola è recente; non ci pronunciamo, lo hanno fatto già i vertici RAI, ma è nel ricordo di tutti quel servizio che tanto fece parlare.
Come non è passato tanto tempo da un incontro di Coppa Davis disputato allo Stadio del Tennis di Napoli. La telecronaca si apre con una panoramica mozzafiato del lungomare. Noi restiamo senza parole, purtroppo non accade lo stesso al cronista, che invece di restare rapito dallo spettacolo e commentarlo, preferisce soffermarsi sui tanti problemi della città. La monnezza, la camorra, bla bla bla…

Per quanto censurabili, certi atteggiamenti ci sembrano però quasi comprensibili. Fa gioco ed audience dare immagini stereotipate. Gran parte della stampa oggi incoraggia il non pensiero.
Un punto a favore è che però il giornalista non fa come il proverbiale prete, che prescrive dei comportamenti che per primo disattende. Per la serie “fai come dico io, ma non come faccio io”, vecchio e popolare adagio che renderebbe meglio nella nobile e antica lingua napoletana.
No, il giornalista non si sottrae, o meglio, in molti non lo fanno. Il giornalista è il primo a non pensare. Articoli scritti a tavolino, informazioni scopiazzate o semplicemente rimbalzate da altre fonti; errori grammaticali che nemmeno in prima elementare, articoli indeterminativi con l’apostrofo al maschile o senza al femminile, forme verbali confuse con particelle ipotetiche. Si ha quasi l’impressione che il giornalismo nostrano si risolva in una sterile e scomposta ecolalia.
Se ciò non bastasse, si aggiunge la generalizzata tendenza allo sciacallaggio, con cronisti pronti a volare come mosche sul sangue. In questo caso ci si piega semplicemente alle regole dell’audience; viviamo pur sempre in un paese dove si organizzano gite a Cogne od Avetrana.
Alla fine, abituati un po’ a tutto da questo scorcio di terzo millennio, siamo quasi anestetizzati, assuefatti.
Ciò a cui non riusciamo a fare l’abitudine è invece l’auto-sciacallaggio.
Che chi non è napoletano, che non abbia mai vissuto Napoli faccia squallida anti-informazione ci sta. Ci fa sorridere come il Bisio di Benvenuti al Sud, equipaggiato di giubbotto antiproiettili; il livello di pregiudizio è quello.
Quello che invece proprio non ci va giù sono quei giornalisti napoletani, o campani in generale, che avallano i luoghi comuni facendo sciacallaggio sulla propria terra. Piazze definite degradate, quando poi sono vive, anche culturalmente, oltre a vedere la presenza costante delle forze dell’ordine, così come si conviene ad una città delle dimensioni di Napoli. Quartieri o strade popolari dipinti come scenario dei peggiori western.
Ci viene logico chiederci: ma questi… dove vivono?
Napoli la viviamo. La viviamo per lavoro, per altre forme di impegno. Ma soprattutto la viviamo per passione, per il piacere di farlo, di inebriarci dei suoi profumi e sapori.
Ovvio, l’esserne innamorati non ci impedisce di vederne i difetti, le contraddizioni. Ci sono, come possiamo trovarli in ogni grande città, in ogni cultura o società.
Ma non tolleriamo l’acefala riproposizione di immagini da pregiudizio da parte di chi questa realtà la vive. Lanternari parlava di etnocentrismo invertito, di debolezza culturale. Ci si convince che i pregiudizi dell’esterno siano corretti, in questo modo legittimandoli.
Ci chiediamo se si tratti, a questo punto, di masochismo, semplice piacere di chi dà ragione a chi lo mortifica, magari incoraggiandolo ad andare oltre; o se si tratti di sciacallaggio.
Preferiamo il primo caso. Sebbene si possa prefigurare una dinamica patologica, viene almeno fatta salva la buona fede.
Nel secondo caso ci troviamo di fronte a chi svende se stesso. Anzi, svende qualcosa che va oltre se stesso, svende la sua storia, le sue radici, il suo futuro. Lo vediamo grave quasi quanto l’associazione a delinquere che inquina il proprio sottosuolo, la propria aria, l’acqua che beve e il cibo che mangia smaltendo in modo illegale i rifiuti tossici.
Anche perché poi non ci sono proposte, non esiste impegno per la città. Non vengono messi in risalto i lati positivi, che pur ci sono.
Noi, come testata, proviamo a dare un altro volto di Napoli, quello che guarda alla cultura europea, che si candida a città moderna, vivace socialmente e culturalmente. La Napoli che cerca di riscattare se stessa, nelle eccellenze, nell’arte, come nell’imprenditoria e nella formazione.
Non ci appartiene il pensiero debole, tantomeno una cultura debole.
L’ultima domanda è provocatoria. Cari colleghi giornalisti, se Napoli è davvero come la descrivete, perché restate? Non avete paura di beccarvi una pallottola mentre, che ne so, passeggiate a Forcella?
Non ditemi che lo fate per migliorare Napoli. Gli sciacalli non hanno mai migliorato nulla, anzi.
L’ultima esortazione, invece, è seria.

Non ci servite, jatevenne!

Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.

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