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Mors mea

Mors mea


La morte è un tema centrale in molte filosofie e religioni.

Per gli antichi greci, Socrate la vedeva come una liberazione dell’anima dal corpo, un’opportunità per l’anima di raggiungere una più alta forma di conoscenza. Platone parlava dell’immortalità dell’anima e della sua esistenza in un mondo delle idee.

In Oriente, il Buddismo la ritiene una parte del ciclo di nascita e rinascita, o Samsara, e il raggiungimento del Nirvana come la liberazione da questo ciclo. L’Induismo ha concetti simili con il Samsara e il Moksha, la liberazione finale.

Nel Cristianesimo, è spesso vista come una transizione verso la vita eterna, sia in paradiso che all’inferno, basata sulle azioni in vita. Per l’Islam, è l’inizio della vita dopo il trapasso terreno, con una residenza eterna in paradiso o inferno.

Nella filosofia moderna è trattata da vari punti di vista. Heidegger la considera una parte centrale dell’esistenza umana, definendo la vita come un essere-per-la-morte. Camus, invece, parla dell’assurdità della vita e della morte, sostenendo che la consapevolezza di quest’ultima rende la vita più preziosa e significativa.

Sebbene ampiamente discussa nell’ambito dell’etica biomedica, della sociologia, della storia e della letteratura, all’alba del terzo millennio la morte è oggetto di un tabù che è stato sintetizzato dall’espressione “pornografia della morte”.

Le pratiche pubbliche e il discorso sulla morte non sono più collegati alle esperienze e ai sentimenti “privati” di coloro che spirano sono in lutto. Dopo aver occupato un posto di rilievo per migliaia di anni nel cuore stesso della cultura umana, la morte è scomparsa dalle comunicazioni quotidiane e la società occidentale contemporanea tende persino a sopprimere tutto ciò che la richiama alla mente.

È diventato raro vedere qualcuno ‘passare oltre’. Le persone non esalano più l’ultimo respiro a casa, ma in ospedale; i deceduti sono, in un certo senso, esclusi dalla comunità dei vivi.

Quanto alla sepoltura, è stata mascherata per non ricordare troppo esplicitamente la vittoria della morte che attende tutti, come se l’importante fosse camuffare o mascherare quella vittoria.

La meditazione sulla morte viene evitata come la peste, perché preferiamo occuparci di cose meno lugubri e meno oscene. È argomento che fa rabbrividire chi ne parla e prova un disagio misto a paura della propria morte o di quella di una persona cara; vi si fa accenno solo in termini velati.

Poiché gli uomini non sono capaci di lottare contro la morte, la miseria, l’ignoranza, si sono messi in testa, per essere felici, di non pensarci affatto.
Blaise Pascal

Noi [uomini e donne contemporanei] [abbiamo] mostrato una tendenza inequivocabile a mettere da parte la morte, a eliminarla dalla vita. Abbiamo cercato di metterla a tacere.
Sigmund Freud

Così l’essere umano è privato della sua morte. Mentiamo costantemente a noi stessi, dicendo che è sempre qualcun altro a morire, ma mai noi stessi.

L’individuo si accontenta di vivere giorno per giorno in quella che Heidegger chiama inautenticità, in un riconoscimento che ‘si muore’ che non viene mai preso personalmente ma è invariabilmente percepito come affare di qualcun altro.

Questa nozione che ‘si muore’ domina la vita quotidiana ed esprime

un qualcosa di indefinito che, soprattutto, deve arrivare regolarmente da qualche parte o dall’altro, ma che prossimamente non è ancora presente a portata di mano per se stessi, e quindi non è una minaccia.

Le cerimonie e il simbolismo intorno alla morte variano ampiamente attraverso le culture e le epoche, ma condividono un filo conduttore: dare significato e conforto durante il lutto.

In Giappone, il rituale del Butsudan, una piccola altare domestico, permette alle famiglie di onorare i loro antenati con offerte di cibo, bevande e preghiere quotidiane. Durante il festival di Obon, le lanterne galleggianti guidano gli spiriti dei defunti verso l’aldilà.

Nelle culture africane, il funerale è spesso una celebrazione della vita, con danze, canti e narrazioni delle imprese del defunto. Il simbolismo degli Ancestral Shrines in molte tribù africane rappresenta la connessione continua tra i vivi e i morti.

Nell’antico Egitto, la morte era vista come un passaggio a un’altra forma di esistenza. I riti di mummificazione e le tombe monumentali come le piramidi simboleggiavano la preparazione per la vita eterna. Gli oggetti funerari sepolti con i defunti, come il cibo e i tesori, erano destinati a essere utilizzati nell’aldilà.

Il Día de los Muertos in Messico mescola il cattolicesimo con tradizioni indigene, creando altari chiamati ofrendas, decorati con foto dei defunti, cibo, bevande e candele. Le calaveras, teschi di zucchero, e i fiori di cempasúchil rimandano alla bellezza e la fragilità della vita.

Anche in Occidente, nonostante la morte sia spesso nascosta, ci sono rituali comele esequie religiose, le veglie funebri e le lapidi cimiteriali, che servono da memoriali duraturi.

Ognuna di queste tradizioni ci mostra come la morte, pur essendo universale, sia vissuta e interpretata in modi profondamente unici e ricchi di significato culturale.

Se guardiamo alla sfera esoterica, possiamo dire che il simbolismo della morte è ricco e profondo, spesso rappresentato attraverso vari simboli e rituali che trasmettono significati più ampi sulla vita e la trasformazione.

Nella tradizione dei tarocchi, la carta della Morte rappresenta il Tristo Mietitore, uno scheletro che cavalca un cavallo bianco, ed indica la fine di un ciclo e l’inizio di un altro, la trasformazione e il rinnovamento. La falce del Tristo Mietitore rappresenta la separazione e la fine, ma anche la necessaria distruzione per permettere nuovi inizi.

Abbiamo il memento mori: questo concetto latino, che significa “ricordati di morire”, è un invito a riflettere sulla fugacità della vita e sull’inevitabilità della morte. Nell’ambito esoterico, esso viene utilizzato come strumento di consapevolezza, per vivere pienamente ogni momento e apprezzare la bellezza dei presenti.

La fenice, invece, è immagine universale di rinascita e trasformazione. Secondo la leggenda, l’uccello mitologico risorge dalle sue ceneri, rappresentando la fine di un ciclo e l’inizio di uno nuovo. Questo simbolo è spesso associato alla morte e alla rinascita spirituale.

Nell’antico Egitto, la morte era vista come un passaggio a un’altra forma di esistenza. I simboli come l’ankh, la vita, e lo scarabeo, la rinascita, erano comunemente associati alla morte e alla vita dopo questa.

Per i cristiani, il crocifisso è un simbolo centrale del Cristianesimo, rappresentando la morte e la resurrezione di Gesù Cristo, un promemoria della possibilità di vita eterna attraverso la fede.

Questi simboli esoterici offrono una prospettiva diversa sulla morte, enfatizzando la trasformazione, il rinnovamento e la continuità della vita.

Oggi la morte è, soprattutto, una festa importata, Halloween, che ha radici antiche e affascinanti. Le sue origini risalgono al festival celtico di Samhain, celebrato il 31 ottobre, quando si credeva che i confini tra il mondo dei vivi e quello dei morti si confondessero.

Gli antichi Celti accendevano falò e indossavano costumi per spaventare gli spiriti. Oltre a causare problemi e danneggiare i raccolti, essi pensavano che la presenza degli spiriti ultraterreni rendesse più facile per i Druidi, o sacerdoti celtici, fare previsioni sul futuro.

Per un popolo interamente dipendente dal volatile mondo naturale, queste profezie erano un’importante fonte di conforto durante il lungo e buio inverno. Per commemorare l’evento, i druidi costruivano enormi falò sacri, attorno ai quali la gente si riuniva per bruciare raccolti e animali come sacrifici alle divinità.

Durante la celebrazione, i celti indossavano costumi, solitamente costituiti da teste e pelli di animali, e cercavano di predire il futuro a vicenda. Una volta terminato il rito, riaccendevano i fuochi del focolare, spenti quella sera stessa, dal fuoco sacro, per proteggersi durante l’inverno imminente.

Con l’avvento del Cristianesimo, il 1º novembre divenne la festa di Ognissanti, e la notte prima, conosciuta come Ognissanti o Halloween, incorporò alcune tradizioni di Samhain. Con il tempo, Halloween è evoluto in una festa caratterizzata da attività come il “dolcetto o scherzetto”, l’intaglio di zucche e le feste in costume.

Halloween è celebrato in modi diversi in tutto il mondo! Negli Stati Uniti, è una grande festa con decorazioni elaborate, feste in costume e il famoso “dolcetto o scherzetto”. In Irlanda, da dove ha avuto origine, si festeggia con falò, racconti spaventosi e giochi tradizionali come il “snap-apple”.

In Messico, il Día de los Muertos, pur non essendo Halloween, è una celebrazione che onora i defunti con altari, cibo, musica e danze. In Giappone, Halloween è diventato popolare negli ultimi anni, con sfilate in costume e eventi nei parchi a tema, anche se non c’è la tradizione del “dolcetto o scherzetto”.

Insomma, la morte si fa bella e si allontana, almeno concettualmente, da quello schema di inconsolabile perdita, sconfiggendo ogni separazione, allontanando il nefasto colorito doloroso, creando un ponte con un aldilà che, almeno ipoteticamente, diventa un nuovo paradigma virtuale.

Ci stiamo preparando alla scesa in campo non dell’immortalità ma della possibilità di una vita 2.0 senza carne né ossa.

Vita mea, mors mea.

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.

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