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Microfusilli

2017
Magnolia grandiflora frutto


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Secondo notizie storiche, si deve al giardiniere capo dell’Orto Botanico di Napoli Friedrich Dehnhardt (Bühle, 1787 – Napoli, 1870) l’introduzione del gusto dell’esotico, con la messa in dimora di specie vegetali provenienti da tutto il mondo nel Parco di Capodimonte che ancora conserva l’impostazione da lui concepita, dopo quella originale della prima metà del ‘700 a firma del progettista Ferdinando Sanfelice.

È a Dehnhardt che si deve, ad esempio, la presenza della Magnolia grandiflora, specie nordamericana rappresentata oggi da numerosi individui anche nel resto della città, come in tutta Europa.

Le magnolie sono piante antiche: c’erano già un’ottantina di milioni di anni fa, quando il Tyrannosaurus rex era una riuscitissima forma evolutiva imperante ma del tutto ignara della gloria mediatica che avrebbe guadagnato più tardi.

Questi arcaici alberi, arrivati immutati fino a noi, producono grandi fiori cerosi con un diametro fino a una ventina di centimetri, bianchi, bellissimi, che danno origine a specie di pigne dalle quali, a maturità, fanno capolino stupefacenti semi, come piccoli fagioli laccati di un rosso sfavillante.

Un bel giorno d’autunno di qualche anno fa passando per piazza Amedeo, dove c’è un bell’esemplare, ammiravo questi semi rutilanti e fermai più del solito l’attenzione sul fatto che, pur essendo ormai completamente liberi dalla struttura nella quale si erano sviluppati, non cadevano a terra perché un sottile e candido filo li tratteneva, penduli.
Prendendone delicatamente uno tra le dita, osservai che il filo non era coerente, ma si sfaldava in un fascio di sottilissimi fili bianchi che, quando tesi dalla gravità e appressati, appaiono come un filo unico.

In quel periodo praticavo intensivamente la macrofotografia, così mi venne la curiosità di dare un’occhiata più da vicino: raccolsi una “pigna” ben ricca di semi e me la portai a casa con propositi esplorativi.

Mi concentrai dunque sul “funicolo”, come lo chiamano i botanici, e le immagini ingrandite che ottenni mi meravigliarono alquanto. È composto infatti da tanti fili, o per meglio dire vasi (secondo la mia misura ognuno è spesso circa 5 millesimi di millimetro), perché portano il nutrimento al seme in crescita; tali vasi liberati dal peso rivelano un andamento a spirale, come lunghissimi cavatappi; il fascio intero a sua volta ha un andamento a spirale che conferisce al tutto un movimento molto elegante.

Non conosco i motivi, se sono noti a qualcuno, di questo complesso e multiplo avvitamento (forse una maggiore resistenza elastica?), ma  anche il solo vedere mi riempì di meraviglia e mi richiamò qualcosa che non afferrai subito.

Più tardi mi venne in mente: il cordone, o funicolo, ombelicale umano segue pur’esso un andamento a spirale e la cosa mi sembrò curiosamente allusiva: il funicolo del seme di magnolia ha una funzione analoga, perché permette l’accrescimento dell’ovulo fino al distacco del nuovo organismo in embrione, nucleo iniziale e perpetuato di una delle più antiche forme di vita ancora presenti.

Homo sapiens invece è una delle più recenti, ma la spirale (che anche il DNA, architettura vitale per eccellenza, celebra, per non parlare dei napoletani fusilli) si mostra ancora nel funicolo che gli è proprio: mi viene da chiedermi se Homo permetterà a se stesso, come è stato concesso all’antico albero, una simile prolungata presenza su questo sperduto pianeta ai margini della galassia.

Autore Giuseppe Starita

Giuseppe Starita nacque a Napoli e la cosa lo colpì moltissimo: ancora oggi e ogni volta, la parmigiana di melenzane lo commuove. Ottenne la maturità scientifica per il rotto della cuffia, frequentò per un po’ l’università, poi diventò lavoratore autonomo e il suo lavoro gli piace. Tiene diverse fissazioni tra cui: le Isole Ebridi, gli artropodi, Johann Sebastian Bach, l’Odissea, le lampade frontali: queste le usa prevalentemente per pulire la cassetta dei gatti e per fare le iniezioni. È piuttosto magro e pesa 70 chilogrammi.