Site icon ExPartibus

Mi manda papà

Figlio di papà


Ciò che i genitori m’hanno detto d’essere in principio, questo io sono: e nient’altro. E nelle istruzioni dei genitori sono contenute le istruzioni dei genitori dei genitori alla loro volta tramandate di genitore in genitore in un’interminabile catena d’obbedienza.
Italo Calvino

Le nuove generazioni appaiono sperdute tanto quanto i loro genitori, che non vogliono smettere di essere giovani, mentre i loro figli annaspano in un tempo senza orizzonte.

Il padre dei nostri giorni non ha più certezze, né verità da indicare ed imporre. È chiamato, come uomo ipermoderno, ad orientarsi nel buio e senza bussola.

Per questo, è diverso dal padre del passato che, grazie ad una fede incrollabile nelle proprie certezze, era in grado di dettare legge ed imporsi.

L’evaporazione di questa figura non ne implica, però, la scomparsa, non ne disperde l’essenza, non interessa la sua natura più intima e atomica, cioè indistruttibile, che resta appunto.

Cosa resta?

Resta per, e del padre la possibilità di mostrare ai figli l’alleanza tra desiderio e legge, la necessità di sostenere la loro vocazione, indicando loro, attraverso una testimonianza quotidiana, che si può vivere la vita, nonostante le difficoltà e l’insensatezza che la caratterizza.

Certamente, nel corso degli anni, la funzione della figura paterna è cambiata molto, se pensiamo al modello del “padre – padrone”, secondo il quale tutti i rapporti del sistema familiare erano caratterizzati da una rigida asimmetria.

L’uomo era il detentore unico e indiscusso dell’autorità e del potere sulla moglie, che si trovava così a dover sottostare alle facoltà decisionali e al dominio del marito; egli disponeva, inoltre, del completo potere decisionale sulla vita familiare, sulle regole da seguire in casa e sulle mansioni che ognuno avrebbe dovuto rivestire.

Il ‘vecchio’ padre era pertanto una figura dominante, regolatrice, poco o per nulla dedita all’espressione dei propri sentimenti e bisogni, spesso assente nella vita affettiva e relazionale dei figli ed impegnata nell’esercizio della legge.

A seguito di eventi importanti, come l’industrializzazione e l’emancipazione della donna, è andata, perciò, man mano decadendo l’organizzazione familiare basata sulla divisione delle mansioni: scompare l’immagine della madre – casalinga, che si occupa della casa e dei figli, e del padre – lavoratore distante dalla vita familiare.

Il fatto che entrambi i coniugi lavorino comporta la necessità di una collaborazione nelle incombenze domestiche e, soprattutto, nella cura della progenie.

È così che il padre ha iniziato ad avvicinarsi ai figli, investendo sempre maggior tempo nel creare una relazione con loro e sperimentando un sentimento paterno sconosciuto alle generazioni precedenti.

Dar per scontato che il genitore rappresenti il dovere e la razionalità e il figlio il piacere e l’impulsività è un modo stereotipato di descrivere i compiti familiari e, in generale, la funzione educativa.

La generazione attuale, se confrontata con quelle passate in realtà, non si caratterizza per una maggiore ribellione.

Piuttosto, il problema dei figli di oggi è di tendere a prolungare la loro dipendenza dai genitori, sia per la necessità di percorsi formativi prolungati che a causa delle difficoltà a diventare economicamente autonomi.

Tuttavia, proprio la costrizione di questo legame, in alcuni casi, può essere fonte di tensioni. In generale, lo stile educativo dei genitori attuali non è particolarmente rigido e autoritario e i figli non hanno una grande necessità di ribellarsi.

La prima cosa da fare è di sforzarsi di capire di che cosa questi comportamenti sono l’espressione, le motivazioni e le intenzioni che ne sono alla base.

I problemi di comportamento, infatti, sono normalmente il segnale di qualcosa che non va nel rapporto tra bisogni evolutivi e contesto di sviluppo, a parte situazioni in cui sono la manifestazione di gravi disturbi mentali.

Ma essere un buon padre significa anche essere capace di trasmettere l’etica, l’educazione e l’impegno di sapere stare al mondo? Non è sempre così. Spesso si confonde il buon padre con la figura dello yes-man. Colui che non sa dire di no e che accontenta, a prescindere ogni desiderio della sua prole, per vari motivi: noia, per scongiurare crisi domestiche, per abitudine, per riscatto sociale, per mancanza di carattere.

E, soprattutto in certi ambienti dove la ricchezza e l’agio domina, si può pretendere ed ottenere senza il minimo sforzo. Privilegiati e viziati.

Gli studi convenzionali di solito confrontano la ricchezza dei figli con quella dei padri e ne misurano l’elasticità con un indice che va da 0, nessuna eredità, a 1, la ricchezza del padre passa interamente al figlio.

Questo valore cambia radicalmente da un Paese all’altro: in Nord Europa si aggira su 0,2 mentre negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Italia si assesta attorno allo 0,5.

Se guardiamo in casa nostra, egli ultimi anni la devianza minorile ha subito profonde trasformazioni. Il disagio minorile si sta manifestando in forme nuove, adeguandosi a tempi e contesti. I recenti episodi di violenza non hanno più un movente riconducibile a furti, rapine o sono legati ad organizzazioni di stampo criminale e mafioso.

Ora la situazione, già di per sé critica, sta avendo anche la sua devianza che sta cambiando veste, si inserendo e trasformando anche nei quartieri meno disagiati e sta diventando ben vestita.

Ragazzi senza nessun precedente penale, con una buona collocazione nel tessuto sociale e una situazione economica stabile o agiata, tanti soldi in tasca, che spendono in giro per le città, in tecnologia e droga e un enorme vuoto interiore da colmare.

Questo aspetto ha portato anche ad una presenza di una cospicua componente femminile coinvolta in questi comportamenti. L’assenza di no, di paletti, di regole di vita alimenta l’onnipotenza di questi ragazzi, che non si sentono amati, contenuti, che rischiano di sviluppare una personalità con i confini labili, non in grado di percepire il rischio per se stessi e per gli altri e le conseguenze delle proprie azioni.

I genitori hanno rinunciato all’autorevolezza del ruolo, a quella sorta di potere, soprattutto decisionale, di influenza sul comportamento dei figli, per non sentirsi odiati, per illudersi di aver creato una famiglia unita, almeno per forma, agli occhi degli altri.

Si pompano i figli per egoismo personale, per competizione con gli altri. Sono vittime di una società del benessere, individualista, che ha favorito una generazione di adolescenti narcisisti, tanto arroganti, quanto insicuri e fragili.

Quando il problema supera la normale conflittualità tra i ruoli, è probabile che sia in gioco qualcosa di più e di diverso da quello che appare a prima vista.

Ci troviamo di fronte a soggetti che sono uno nessuno e centomila: manipolano e si fanno manipolare, magari inconsciamente. Manipolare significa plasmare l’altro come fosse materia malleabile. L’educazione non può essere ridotta a manipolazione, neppure se esercitata con le migliori intenzioni.

Penso che la migliore educazione, paradossalmente, sia una non-educazione e la migliore autorità una non-autorità, cioè un uso non manipolatorio del ruolo educativo.

Sono uomini e donne già fatte ma dentro hanno vissuto solo ozio e onnipotenza. In un delirio che non si può spegnere con “è colpa dei genitori” o “alla fine è un ragazzo”.

Sono lo specchio dei poveri valori che hanno ereditato, sono contemporanei al clamore cristallizzato del loro potere, sedotti dall’ambigua convinzione che “io so io e voi non siete un…”

Li senti e li leggi i convincimenti dati in pasto all’opinione pubblica per fare scudo: quell’urlare che i figli non sono viziati e che, anzi, partiranno dall’ultimo gradino dell’azienda che un giorno erediteranno fa già ridere di suo.

Comunque vada, Tizio saprà sempre quale è il finale che lo attende, mentre Caio ha voglia di sentirsi per un giorno il suo collega, deve ricordarsi che lui in quel posto non è di passaggio. Il suo finale dipenderà sempre dalle sue forze, dal suo sudore e dalla fortuna. Che spesso non bacia i belli e gli audaci, bacia chi ha un cognome che vale un biglietto di ingresso alla vita social e mondana che tutti i figli di papà oggi non solo pretendono ma attuano senza alcuna vergogna.

Il problema non sono loro, ma sono quei genitori che dovrebbero cercare di far capire come sono belli il rispetto di ogni idea, l’eleganza del silenzio e la pazienza di stare in fila.

I genitori possono solo dare buoni consigli o metterli sulla giusta strada, ma la formazione finale del carattere di una persona giace nelle sue stesse mani.
Anna Frank

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.

Exit mobile version