Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno più in là del nostro oblio;
non sapran mai che ce ne siamo andati.
Jorge Luis Borges – Le coseLaudato sii, mio Signore, per la nostra sorella morte corporale,
dalla quale nessun uomo che vive può scappare.
San Francesco d’Assisi – Il Cantico delle Creature
Nella quiete di una spiaggia sospesa nel tempo, un bambino si sofferma a contemplare un pesce morto sulla riva. Quest’immagine, intrisa di poesia e malinconia, riflette la nostra relazione con la morte, un passaggio naturale che la nostra civiltà moderna tende a rimuovere e nascondere.
Eppure, la morte è stata un’ossessione costante per l’umanità fin dai tempi più remoti. Nelle antiche culture, essa era celebrata come un rito di passaggio, un’esperienza sacra che segnava il culmine dell’esistenza terrena e l’inizio di un nuovo viaggio spirituale.
I riti funebri erano intrisi di simbolismo e tradizioni ancestrali, volti a onorare i defunti e facilitare la loro transizione verso l’aldilà.
Nel corso dei secoli, la morte ha ispirato capolavori artistici e letterari, divenendo protagonista di affreschi, sculture e poemi epici. Grandi filosofi, da Platone, Fedone, fino a Heidegger.
Artisti come Michelangelo e poeti come John Donne, Dante, Foscolo, Edgard Lee Master, Pessoa e Borges – ma la lista è infinita – hanno esplorato la sua potente simbologia, sfidando la mortalità con la bellezza e l’eloquenza delle loro opere.
Viceversa, nel cosiddetto mondo moderno ci siamo allontanati dai misteri ancestrali, dalla contiguità naturale con la morte in famiglia e nella società, sostituendoli con pratiche “cliniche” e anonime sempre più laicizzati.
I defunti vengono nascosti alla vista, chiusi in bare sigillate e sepolti in cimiteri lontani dagli occhi indiscreti.
Questa rimozione della morte ha radici profonde nella nostra cultura occidentale. Sin dall’Illuminismo, abbiamo abbracciato un’ideologia di progresso e razionalità, che ha messo in discussione le credenze tradizionali sulla vita ultraterrena.
La morte è diventata un tabù, un argomento scomodo da affrontare in una società ossessionata dalla giovinezza, dalla bellezza e dall’eterna ricerca della felicità.
Le conseguenze di questa rimozione sono molteplici e profonde. Abbiamo perso il contatto con i rituali che un tempo ci aiutavano a elaborare il lutto e a dare un senso alla perdita. E ci siamo allontanati dalla saggezza perenne che celebrava la morte come parte integrante del ciclo naturale della vita.
Nonostante i nostri sforzi per nasconderla, la morte rimane un’inesorabile realtà. È un’ombra che accompagna ognuno di noi, una presenza silenziosa che ci ricorda la fragilità dell’esistenza umana.
E forse, è proprio nell’abbracciare questa verità, nel riconoscere la nostra mortalità, che possiamo riscoprire la bellezza e il significato dell’essere umani.
Nell’antichità, i filosofi stoici ci insegnavano a “meditare sulla morte”, a contemplare la nostra caducità come un modo per apprezzare appieno ogni istante della vita.
Questa saggezza potrebbe essere la chiave per connetterci con le nostre radici più profonde, per riscoprire il valore dei rituali e delle tradizioni che un tempo onoravano il passaggio dalla vita alla morte.
Il tabù occidentale della rimozione della morte dalle nostre vite è stata satireggiata in modo efficace dall’industria cinematografica e musicale. Solo alcuni esempi.
Il film ‘Il caro estinto’ del 1965 esplora in modo comico e irriverente l’industria hollywoodiana della morte e dell’eterno dolore, conseguenza di una società consumistica e desacralizzata.
Quasi 30 anni dopo, nel 1992, Robert Zemeckis firma il film ‘La morte ti fa bella’, celebrando, tra il grottesco e il funereo, l’ossessione per l’eterna giovinezza.
Recentemente, con tutt’altro timbro emozionale, la celebre band Depeche Mode ha pubblicato un album intitolato ‘Memento Mori’, un invito a riflettere sulla caducità dell’esistenza.
Cito solo un verso di Ghosts Again:
Heaven’s dreaming
Thoughtless thoughts, my friends
We know we’ll be ghosts again
Forse, nell’immagine iniziale di quel bambino che contempla il pesce morto sulla spiaggia, possiamo intravedere una possibilità di riconciliazione. Un’opportunità per riabbracciare la morte come parte integrante dell’esistenza, per riscoprire la dolorosa potenza che si cela dietro questo misterioso passaggio.
Perché, come ci ricorda Rainer Maria Rilke, la morte
non è che lo strumento implacabile che ci permette di familiarizzare con la parte sconosciuta della nostra esistenza e di farci entrare nella sua intimità.
Solo accettando questa dualità e abbracciando la morte come parte integrante dell’esperienza umana, possiamo riscoprire la pienezza della vita stessa.
Autore Raffaele Mazzei
Da bambino, mia nonna mi raccontava storie straordinarie che mi facevano sentire speciale. Storie che mi hanno insegnato che comunicare è toccare il cuore con un’intenzione pura. Non basta informare. Bisogna creare una connessione autentica con il proprio pubblico, facendogli sentire che fai parte della sua storia, del suo progetto, del suo sogno. Oggi le neuroscienze lo confermano: il coinvolgimento emotivo aumenta l’attività e la recettività cerebrale. Io ne ho fatto la mia professione. Sono Raffaele Mazzei, esperto di comunicazione e copywriter. Con il mio team di professionisti, ti aiuto a creare un messaggio che fa la differenza. Un messaggio che non impone, ma conquista. Che non manipola, ma ispira. Vuoi scoprire come? Visita il mio sito www.raffaelemazzei.it e scopri l’Arte di comunicare.
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