Torrone, anime pezzentelle, il culto dei morti a Napoli non si racchiude nei soli pochi giorni di inizio novembre, ma è qualcosa di vivo, che si respira continuamente in una città dove tutto non si ferma alla semplice apparenza.
Ogni cosa ha un significato profondo, quasi nascosto a coloro che non pongono attenzione, ma che si perpetua e tramanda nei secoli.
Dopo anni d’oblio, esattamente il 5 aprile del 2019, grazie all’associazione Respiriamo Arte, ritorna in luce la chiesa di Santa Lucianella, chiusa a causa del terremoto del 1980, il cui ipogeo racchiude, oltre all’affresco del XVIII secolo della deposizione di Cristo rinvenuto coperto da quello delle anime purganti, una singolare scoperta: un teschio con le orecchie.
Nel cuore pulsante del centro storico troviamo un vico che collega San Biagio dei Librai a San Gregorio Armeno che, nella Napoli greco – romana, si distingueva come Vicus Cornalianus.
All’epoca di Roberto d’Angiò, un suo giureconsulto di nome Bartolomeo di Capua, nel 1327, fonda la Chiesa di Santa Lucianella in pieno stile gotico, che, in seguito verrà indicata come la Cappella dell’Arte dei Mulinari, una confraternita che raggruppava mugnai e tutti coloro che lavoravano presso mulini.
Le trasformazioni non hanno sosta, nel 1508 diverrà il luogo di culto di una delle più potenti e importanti arciconfraternite partenopee: la segreta Corporazione dei mastri pipernieri, tagliamonti e fabbricatori.
A loro si devono innumerevoli opere, tra le quali la maestosa facciata bugnata della chiesa del Gesù Nuovo, sulla quale, ancora oggi, circolano diverse leggende intrise di mistero ed esoterismo.
Come ben si immagina, lavorando la pietra vulcanica con scalpello e martello, erano esposti alle ferite che le pietre appuntite infliggevano alla pelle, poca cosa nei confronti di una scheggia che si conficca in un occhio, provocando la cecità.
Ecco che nasce il culto della santa protettrice della vista, Lucia, i cui simboli sono tuttora presenti all’interno della cappella, mentre, sul portale d’ingresso in piperno, ai due lati, è ben visibile lo stemma della Corporazione.
Durante il XVIII secolo, come quasi tutte le chiese, viene rimaneggiata, risentendo fortemente dello stile Barocco, restando, in ogni caso, la sede dell’arciconfraternita dell’Immacolata Concezione SS. Gioacchino e Carlo Borromeo dei Pipernieri.
Coloro che ne facevano parte, quando dovevano seppellire i defunti, usavano indossare dei sai bianchi completi di cappuccio con due fori per gli occhi, a cui si sovrapponeva una mantellina azzurra bordata di rosso.
Nella chiesa inferiore ritroviamo, oltre la terra santa, i famosi scolatoi, una specie di nicchia dove venivano poggiate le salme, secondo l’antica pratica della doppia sepoltura. Vi era l’usanza di far in modo che i corpi perdessero tutti gli umori, essiccandosi, prima di seppellirli, per poi riportarli in luce, completato il processo di decomposizione, per deporre le ossa nei famosi ossari.
Qui la gente veniva a scegliere il teschio o il femore da curare, una vera e propria adozione e adorazione nella speranza di un’intercessione per le proprie richieste o il desiderio di esorcizzare la paura della morte, che diviene l’altra faccia della vita, una realtà che non si rifiuta, anzi, si accetta, effettuando una sorta di patto, un’alleanza, quasi per trarne vantaggio.
In quest’antico luogo di culto, però, come dicevamo, c’è una caratteristica che la gente del luogo, malgrado la chiusura da oltre un trentennio, ricorda con meraviglia e timore reverenziale, un esemplare davvero unico conosciuto già dal 1600: il teschio con orecchie ossee.
Una particolare conformazione, o meglio, malformazione, che ne conserva in maniera visibile due sporgenze assimilabili ai padiglioni auricolari. Questa specificità ha alimentato la credenza di maggiori poteri nell’ascolto delle richieste che venivano rivolte.
Non ne sappiamo molto, ma, tra le varie ipotesi, si fa strada quella che attribuisce la mummificazione della parte come tipico rito esoterico praticato, coincidenza vuole, proprio da mastri scalpellini.
Questa teoria potrebbe trovare conferma nel piccolo mosaico proveniente da una Officina Coriariorum, vecchia conceria di Pompei, comunemente noto come Memento Mori, custodito nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, nel cui centro vi è sospeso un teschio con le orecchie che sorride.
Il disegno, dal fondo verde azzurro, però, è molto più articolato, poiché, al di sopra di esso, c’è una livella da cui parte il filo a piombo che lo regge, poggiandosi su di una leggerissima farfalla adagiata su di una ruota con sei raggi.
Come un pilastro, a destra, rinveniamo il bordone del viaggiatore con la sacca e il manto di vello, a sinistra, invece, una lancia aulica rovesciata con un’infula, una benda adoperata anticamente per peculiari riti, e un manto di porpora.
Lo stesso, però, contiene, ben celate, anche due lettere una A, l’Alfa, e una O, l’Omega, l’inizio e la fine, la prima mimetizzata nell’archipendolo, la seconda occultata nella ruota.
Questo mosaico è considerato il più antico e completo simbolo esoterico neapolitano poiché racchiude, concentrate e sapientemente mescolate, simbologie magiche ed esoteriche con richiami a quello che in seguito diventerà il codice massonico.
Memorie di un vecchio libro un po’ consunto, poggiato sul comodino di mio padre, ruvide pagine ingiallite dal tempo intervallate da tanti foglietti che sporgevano a mo’ di segnalibro con appunti e richiami. Strani disegni che, nella fantasia di una bimba, richiamano storie fantastiche divenute con il tempo chiare rivelazioni di un’incessante ricerca condivisa.
Foto Rosy Gustafierro
Autore Rosy Guastafierro
Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.