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Scuola media


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In attuazione dell’articolo 34 della Costituzione, l’istruzione obbligatoria successiva a quella elementare è impartita gratuitamente nella scuola media, che ha la durata di tre anni ed è scuola secondaria di primo grado.

La scuola media concorre a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e favorisce l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva.
Legge 31 dicembre 1962, n. 1859 – Gazzetta Ufficiale

Con questo primo articolo della Legge 1859 veniva approvata il 31 dicembre del 1962 la Scuola media.

Proprio qualche giorno fa si sono ricordati i primi sessant’anni di quella che ora è definita Scuola secondaria di 1° grado, che introduceva un unico percorso scolastico per tutti gli alunni italiani fino a 14 anni. Essa è ancora obbligatoria e merita la focalizzazione didattica che investe l’importante fase evolutiva dei nostri ragazzi.

L’istituzione della scuola media unica è indubbiamente il solo evento concretamente innovativo nella scuola italiana, anzi, la legge n. 1859/62 rappresenta il più significativo intervento di atto riformatorio nel settore scolastico dalla Costituzione in poi.

Da anni possiamo affermare che la scuola media unica ha una pretesa forse troppo ampia: quella di rispondere alle urgenze di una società democratica secondo gli assiomi di un’uguaglianza di occasioni formative per tutti i cittadini.

Essa raffigura, innegabilmente, un progresso non solo per la nostra legislazione scolastica, ma anche per la nostra società, nella misura in cui si concretizza o cerca disperatamente di realizzare quel concetto caratteristicamente moderno della popolarità della scuola e nella sua estensione a quanti più e per più tempo, che è congenito nella pedagogia contemporanea più attenta alle necessità della collettività.

È divenuta una scuola aperta a tutti, per compiere, dopo la scuola elementare, la primaria, l’obbligo di istruzione che la Costituzione aveva identificato per una durata complessiva di almeno otto anni.

Tenendo conto che il fine della scuola media, divenuta obbligatoria e gratuita, era proprio quello di alzare il livello culturale di tutto il popolo italiano, soprattutto nelle zone più povere della penisola che, in quei tempi, non erano poche, si concepì un nuovo modello di scuola, pensato per un preadolescente di allora, ma individuato come una continuazione dell’istruzione elementare con una secondaria ginnasiale, che tra l’altro, ha sempre sofferto a trovare una propria identità particolare.

Per tutti pare chiaro che essa sia stata e sia un fattore fondamentale di cultura nel nostro Paese perché consente, ancora oggi, di offrire l’occasione e i mezzi, l’ideale e il metodo di giudizio per il confronto fra esseri umani, sia esso intellettuale che sociale, istituito, naturalmente, su nozioni e istruzioni distinte, ma anche formativo e civile nel senso più aperto.

Perché la scuola ha un valore sociale che dobbiamo confermare ininterrottamente: quello della quotidiana relazione fra docenti e studenti, della vita in comune, dei legami di cooperazione, delle regole condivise e, in termini più profondi, delle comprensioni che aprono alla conoscenza della vita.

Occorre, quindi, assicurare il successo formativo, cioè il pieno sviluppo della persona umana previsto dall’art. 3 della Costituzione ed inteso come piena formazione della personalità. Ed è necessario che il successo formativo sia garantito a tutti gli alunni, senz’alcuna distinzione.

La scuola media nacque dopo accese discussioni, durate molti anni, sui vari aspetti sociali, culturali e politici della questione e, dopo il confronto tra differenti disegni di legge presentati da più forze politiche, finalmente, nel dicembre 1962, fu approvata dal Parlamento la legge che la istituiva.

Essa allungava l’obbligo al quattordicesimo anno di età e unificava tutte le scuole successive alle elementari – medie, avviamenti professionali – in un’unica scuola.

Nei travagliati dibattiti che portarono a questo risultato, il problema del tipo di struttura, unica e differenziata, da dare alla scuola si era intessuto con quelli inerenti alle finalità educative e di formazione culturale da affidarle.

Ma siamo certi che l’intento di unificazione sia riuscito?

A volte si tende a pensare che le disuguaglianze sociali le abbia invece man mano ingigantite e abbiamo, quindi, progressivamente assistito allo svuotamento e all’impoverimento delle finalità ugualitarie della Legge 1859 del 1962, considerata l’unica vera grande riforma strutturale della scuola realizzata in Italia nel dopoguerra.

Il rischio era quello di non contribuire a dare un rigido e schematico approccio alle discipline nel iter spezzettato; essa, probabilmente, non è riuscita a fornire una funzione orientativa ma, invece, ha implementato un’attività selettiva, aumentando insuccessi e abbandoni scolastici.

Con il tempo sono emerse sempre più chiaramente le impervie difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi esposti e attesi. Eppure, quello che immaginiamo è un’istituzione che dal passato assorbe l’arte dell’ascolto, cioè la capacità di assimilare dall’autorità dell’insegnante e del libro, che cresce sul silenzio degli scolari, sull’apprendimento mnemonico, mentre quella nuova sull’attività, ovvero sulla collaborazione tra docente e allievi e tra alunno e alunno, sull’abitudine al confronto, sullo sviluppo del senso critico, perché l’anima di questa istituzione imprescindibile non potrà fare a meno comunque mai della sua missione, da traguardare tenendo conto del cambiamento dei tempi: la trasmissione di regole e diritti, di esperienza e cultura, di cognizione del passato e addestramento al futuro.

Ed invece di errori ci sono stati e ci sono ancora.

Partiamo dal presupposto che il nome è cambiato solo sulla carta e nei documenti ufficiali, ma per molti è rimasta la vecchia scuola media. Servirebbe con urgenza delineare efficaci piani individuali di consolidamento di conoscenze e competenze, sia scolastiche che socio-emotive, per lavorare sul recupero delle fragilità ed assecondare i talenti e le inclinazioni naturali di ognuno.

Invece, sappiamo che la maggior parte dei giovani che escono dalla scuola e dall’università oggi sono sostanzialmente privi delle più elementari conoscenze e capacità che un tempo la scuola forniva.

Non hanno perso solo la capacità di esprimersi correttamente per iscritto, capacità di fare un discorso articolato, comprensibile, che accresca le conoscenze di chi ascolta, di concentrarsi, soffrire su un problema difficile.

Fanno continuamente errori logici e semantici, perché credono che i concetti siano vaghi e intercambiabili. Semplificano tutto quello che non riescono a capire, spesso incapaci di autovalutazione.

Nelle società di tipo occidentale, poi, c’è una tendenza generale ad eliminare ogni forma di autorità e di vincolo esterno sugli individui e, quando questa investe i ragazzi, il risultato è che sono sempre meno disposti ad imparare dagli adulti, perché rappresentano un’autorità esterna. Lo stesso passato costituisce per loro un’autorità, qualcosa che debbono assumere senza che su di esso possano intervenire.

Non è solo colpa della scuola media ovviamente, ma del sistema forse nato male e che continua a vivere sulle spalle di un metodo superato, banalizzato da giochi interni, occultato da continue definizioni della politica in primis e poi della società civile poi.

Sono tre anni di purgatorio che vediamo come un salto inutile a quello che poi sarà il cuore pulsante del nostro modello di vita: le superiori. Non stiamo leggendo il futuro perché ancora legati ad un fariseo modo di interpretare il divenire con fatiscente elaborazione metodica e con privo senso del presente.

A breve se ci sarà una sorta di tregua, tra pandemia e guerra, sarà importante restituire la secondaria di I grado al centro dell’attenzione pubblica per farle ritrovare una missione che assicuri validità ed equità: permettere a tutti gli studenti di procacciarsi apprendimenti di qualità, farli studiare in autonomia, orientare a scelte più consapevoli degli studi successivi.

Se si vuole che la democrazia prima si faccia e poi si mantenga e si perfezioni, si può dire che la scuola a lungo andare è più importante del Parlamento e della Magistratura e della Corte costituzionale.
Piero Calamandrei

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.