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Me piace ‘o presepio – Parte prima

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presepio


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A suo dire l’umanità si divideva in due grandi gruppi nemici fra loro: i presepisti e gli alberisti.

“È una suddivisione – diceva lo zio – così importante che dovrebbe comparire sui documenti di identità, né più né meno di come appare il sesso e il gruppo sanguigno.

Altrimenti può accadere che un disgraziato scopre, solo a matrimonio avvenuto, di essersi unito ad un essere umano di tendenze natalizie diverse”.
Luciano De Crescenzo 

Il presepe è una delle tradizioni natalizie più amate e diffuse in Italia e nel mondo. Esso raffigura la scena della nascita di Gesù Cristo e ha un significato che va oltre la semplice decorazione natalizia.

La rappresentazione della natività di Gesù è una pratica antichissima, cominciata attraverso disegni stilizzati e poi evolutasi, attraverso i secoli, in una vera e propria espressione artistica da parte di pittori e scultori, che hanno contribuito in modo determinante alla conquista di un posto importante all’interno di chiese, musei e salotti.

Le prime descrizioni del presepe sono apparse nei 180 versetti dei Vangeli di Matteo e di Luca, in cui è riportata, per la prima volta, la nascita di Gesù avvenuta al tempo di re Erode, a Betlemme di Giudea.

La riproduzione figurativa più antica della natività risale al III secolo dopo Cristo e si trova nelle Catacombe di Priscilla, sulla Via Salaria a Roma. Le radici del presepe, per come lo intendiamo oggi, invece, risalgono al Medioevo.

Il primo presepe documentato è attribuito a San Francesco d’Assisi, che nel 1223 a Greccio, in Umbria, organizzò una rappresentazione vivente della nascita del Salvatore per far comprendere meglio al popolo il significato del Natale.

Questo evento è considerato dagli studiosi come il primo presepe vivente della storia e ha avuto un impatto duraturo sulla diffusione di tale tradizione.

Da quel momento, l’usanza si riversò in tutto il mondo cristiano e assunse il nome che ancora adesso possiede: ovvero presepe, dal latino praesaepe, significa, infatti, mangiatoia, il luogo dove fu deposto il neonato.

In seguito, il termine presepio venne usato dall’astronomo e astrologo greco Ipparco verso il 130 a.C. per denominare un grande ammasso stellare composto da circa 75 stelle, nella Costellazione del Cancro, la nebulosa Praesepe.

La rappresentazione plastica della natività di Gesù, allestita soprattutto nelle case e nelle chiese, poteva avere, già da allora, diverse grandezze ed era composta da statue materiali posizionate in maniera realistica. Nel corso dei secoli, si è poi trasformata gradualmente.

Dal Quattrocento in poi, moltissimi grandi maestri della pittura italiana si dedicarono a questo tema, basti pensare a ‘L’Adorazione dei Magi’ di Botticelli e alla ‘Natività’ di Giotto, ma anche a opere di Piero della Francesca e del Correggio, molte delle quali esposte nelle chiese per mostrare alla popolazione analfabeta le scene della vita di Gesù.

Durante il Rinascimento, artisti e artigiani iniziarono a creare statuine in terracotta, legno e altri materiali, dando vita a presepi sempre più elaborati.

Fu in quel periodo che Napoli divenne uno dei centri principali della produzione di presepi, con maestri artigiani che ancora oggi sono rinomati per la loro maestria.

Perché, diciamolo, il presepe non ha solo un significato religioso, ma è anche un’espressione dell’identità culturale locale. Un manifesto dell’anima, il meraviglioso e scandaloso furore del profano e la magistrale incomprensibilità del sacro. Dio e il diavolo che si fondono tra l’equilibrio della follia e la danza fiammeggiante della razionalità.

Fu durante il XV secolo che il presepe raggiunse la città di Napoli e nei decenni successivi, in seguito all’invito che Papa Paolo III rivolse ai fedeli attraverso il Concilio di Trento (1545 – 1563), conquistò un posto nelle case nobiliari, sotto forma di soprammobile o di cappella in miniatura.

Nello stesso periodo, nacque la cultura del presepe popolare grazie a San Gaetano di Thiene, che diede un impulso decisivo all’ammissione nello stesso anche di personaggi secondari.

Sotto il regno di Carlo III, appassionato, colto, artista egli stesso, avvenne la nascita del figurinaio, cioè del creatore di statuette; nel 1600, gli artisti napoletani diedero all’immagine della Natività una nuova veste, introducendo scene di vita quotidiana e nuovi personaggi: i popolani, i venditori di frutta, i mendicanti…

Possiamo affermare che in quel periodo assurgerà al massimo fulgore con scene in cui viene utilizzata l’architettura, la pittura e, soprattutto, la scultura.

L’elemento coreografico si ispira al classicismo, al sapore romantico delle rovine e degli scavi nelle città sepolte dall’eruzione del 79 d.C.. Si inseriscono scene di vita quotidiana con un numero infinito di personaggi: il fabbro, il mangiatore di maccheroni, la contadinella la lavandaia, il cacciatore.

Abbondano botteghe di salumi, frutta, verdura, pane e carne, di cui la popolazione napoletana, si nutriva gli occhi più che lo stomaco, minuterie di stoviglie realizzate nella fabbrica di Capodimonte, anche questa voluta da Carlo di Borbone.

E poi, ancora, le scene orientali, i Magi, i cavalli, i cammelli e il loro seguito di moretti. Il paesaggio si anima di ruderi, di case, villaggi in lontananza, il tutto costruito con veri coppi, tegole, mattoncini.

Il sughero, non soggetto alla corrosione dei tarli e non facile ad incendiarsi, è un materiale utile nel rimandare a rocce, dirupi viuzze e ancora case e ruderi.

Un’invenzione del presepe è l’inserimento di giochi di specchio che modificano spazi e prospettive, rendendo profondità e mistero in fondo alle grotte o all’incrocio dei viottoli.

Pastori di filo di ferro, imbottiti di stoppa, con occhi di vetro, testina in terracotta, mani e piedi di legno, riccamente vestiti ed adornati, cominciarono a comparire nelle case dei nobili, insieme a nature morte, animali in terracotta, cera e avorio e strumenti musicali perfettamente miniaturizzati in legno ed intarsi d’oro. La terracotta veniva trattata con una tinta speciale per creare toni e dare vita particolarmente ai volti.

Gli artigiani locali cominciarono, quindi, a sbizzarrirsi, dando vita a figure di vario tipo fino a raggiungere l’apice nel 1700: il presepe napoletano che oggi realizziamo in prossimità delle feste natalizie è ambientato proprio in tale periodo.

Raggiungendo livelli espressivi originali e ricercatissimi, il presepe divenne motivo di vanto per le famiglie che facevano a gara per avere quello più sfarzoso: i nobili non badavano a spese e commissionavano ai loro scultori di fiducia lavori imponenti, realizzati con materiali sempre più preziosi, e gli dedicavano intere stanze delle loro residenze per farne sfoggio durante i ricevimenti e le feste private.

Fu allora che venne istituita a Bologna la Fiera di Santa Lucia, un mercato annuale ancora esistente, in cui venivano esposte le statuine realizzate dagli artigiani locali alle quali si accompagna un primo simbolismo arcaico ma reale e vivo, fatto di interpretazioni e tradizioni che surclassano il divenire e non si confondono mai.

I primi sono i pastori che hanno il significato simbolico del nomade, che è passeggero come l’anima nel mondo. La loro funzione è quella del vigilare, per cui vegliano su tutto e vedono con la contemplazione spirituale.

Poi c’è Benino, il pastore dormiente: il personaggio che induce alla spiritualità, che testimonia il risveglio della cristianità sul paganesimo, è colui che sarà svegliato dagli Angeli per portare la buona novella della nascita.

Bellissimo è il volo degli Angeli che salgono verso il Cielo.

Ed, infine, la Natività che si ripara sotto le rovine di un tempio pagano, a testimoniare che il mondo sta cambiando, nascendo a nuova vita.

Alle sue spalle il bue e l’asinello, che hanno diverse interpretazioni simboliche: il buono e il cattivo, le forze positive e negative che sovrastano il mondo, il Nuovo e l’Antico testamento.

In particolare, il bue è forte e paziente, simboleggia tutti coloro che lavorano nel ‘campo di Dio’ e ne divulgano la Parola. L’asinello esprime le forze malefiche cavalcate da Cristo, dominandole.

In alcuni presepi, Gesù nasce in una mangiatoia, in altri, è una grotta, che lo accoglie. Quest’ultima, simbolo del cosmo in cui è entrata la luce del mondo, buia e fredda, accoglie gli stanchi Maria e Giuseppe, e si riempie di Luce con la nascita del Bambino.

Tornando al presepe napoletano, nella sua vastità e complessità è articolato in tante scene di vita quotidiana, ma con riferimenti all’Oriente, ad Erode che invia i Magi a scoprire chi sia questo Nuovo Re.

Il sacro ed il pagano si intrecciano in uno scenario armonico, ricco di colori e di atmosfera, di passione di amore per l’Evento che ha cambiato il mondo.

Non dimentichiamo che computiamo gli anni dalla nascita di Cristo, che, però, secondo studi recenti, nacque sul finire del 747 e non nel 754, 7 anni dopo, quindi, per un calcolo errato, nel computo iniziato verso il 540 ad opera di Dionigi il Piccolo.

Non potendo citare tutti i presepi napoletani, mi riferirò in particolare al presepe Cuciniello, inaugurato il 28 dicembre 1879 nel Museo Nazionale di San Martino allogato nella omonima Certosa Napoletana, e quello dei SS. Cosma e Damiano a Roma, nella cui Basilica, ai tempi di Cristo, aveva luogo l’archivio imperiale o ufficio statistico della antica Roma.

Da questo luogo partì l’ordine di eseguire il censimento in Palestina, ragione per cui Giuseppe e Maria furono costretti a lasciare Nazareth ed incamminarsi verso Betlemme.

Betlemme ovvero Casa del Pane, il cui nome deriva, forse, dal fatto che anticamente la cittadina fosse un grande granaio, ma che in arabo significa anche Casa della Carne.

Ecco spiegato, forse, il perché il Cristo disse:

Chi mangerà di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.

Gesù, come fonte di vita e di rinascita. Come il giorno dopo la notte, il Cristo che muore e che ritorna, la Luce dopo ogni tenebra.

Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!
Eduardo De Filippo, in ‘Natale in casa Cupiello’

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.