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Massoneria: un fraterno sufico amore

1709
Jacques de Molay


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Mi interrogo con sempre più forza e volontà sulla nostra funzione di costruttori e di portatori di valori tradizionali quali la tolleranza, la fratellanza e la libertà.

Oggi mi proietto nel martoriato Islam e penso alla dottrina sufica che sento fraterna.

Qualcuno ha letto a suo tempo ‘Il Feroce Saladino’ di Pietrangelo Buttafuoco, lo scrittore e giornalista siciliano convertitosi all’Islam in cui ci fa capire quanto una parte dell’Islam, ridotto a mera ideologia, sia attraversato da una caotica fase di Kali Yuga?

Nel libro, Buttafuoco, a un certo punto cita la Siria e Bosra, la città dove aveva eremo Bahira, il monaco cristiano che, per primo nella storia, riconobbe il Sigillo della Profezia in Maometto ancora bambino.

Proteggetelo – raccomandò Bahira ai mercanti in viaggio lungo quella rotta – affinché non venga perseguitato come Gesù.

Questo Bahira, venerato da slavi e ortodossi con il nome di Sandro è stato cassato dal novero dei santi cristiani d’Occidente probabilmente per lo scandalo di aver definito nel VI secolo islam e cristianesimo “come raggi della stessa luce”.

Penso a quel venerdì 13 del 1307 in cui Jacques de Molay e tutti i suoi dignitari residenti in terra di Francia furono arrestati da Filippo il Bello, l’usurpatore dell’imbelle Autorità Spirituale del Papa. E ai danni collaterali che ancora paghiamo.

Oggi ci vorrebbero dei nuovi Templari, iniziati, e portatori di dialogo. Di giorno sul campo di battaglia, oggi e in futuro speriamo solo in senso figurato, e di notte in tenda a bere tè alla menta e dialogare con i sapienti dell’Islam. Da cui allora probabilmente furono felicemente contaminati.

Come si può rimanere insensibili alla grandezza della poesia Sufi? Sì, i Sufi. A qualcuno forse non sarà sfuggito che negli ultimi anni gli attacchi terroristici dell’Islam estremista abbiano provocato centinaia di morti tra le comunità Sufi.

Cito, tra tutte, una crudele persecuzione in Siria del 2015 riferita dagli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani. Insegnanti di filosofia e seguaci della setta Sufi sono finiti nel mirino dello pseudo stato islamico che li ha accusati di essere “blasfemi”, obbligandoli a seguire un corso di sharia. Agli appartenenti alle tre categorie è stato intimato di seguire lezioni di diritto islamico nella moschea annunciando punizioni in caso di rifiuto.

Nei corsi, tenuti presso la moschea al-Rawda, si spiega che il sufismo è una “dottrina corrotta” e che i suoi seguaci sono politeisti. Un esponente dell’Is presente in moschea ha punito un seguace del Sufi che tentava di difendere la propria dottrina.

Per capire perché l’Is perseguita così tenacemente i Sufi basterebbe leggere qualche frammento poetico tratto dalle sterminate raccolte sapienziali del movimento, che vanta molte Comunità suddivise in apprendisti, compagni, maestri:

Il mio cuore è ormai capace di qualunque forma / chiostro per il monaco, tempio per gli idoli / pascolo per le gazzelle, Ka’ba dei fedeli / tavole della Thora, Corano / L’amore è il credo che sostengo e ovunque giri la sua cavalcatura / l’Amore è sempre la mia religione e la mia fede (Ibn Al-Arabi).

In quest’epoca di dissoluzione dei valori spirituali, da Oriente ad Occidente, ogni luogo, ogni dottrina, ogni istituzione, ogni “chiesa” rischia di diventare un rifugio per psicotici e nevrotici che possono alterarne la natura. Il limite salta quando l’ideologia tenta di diventare pratica costituente, pseudo Istituzione, contratto sociale.

Come se, ad esempio, gli orchi-pedofili che spesso teorizzano il loro diritto a concupire i bambini, riuscissero a passare dalla già immonda pedofilia “culturale” alla creazione di uno Stato dove si consenta, anzi, si incoraggi l’utilizzo di piccole creature da abusare e insozzare.

Siamo una società in catalessi. La memoria storica è la prima vittima della rimozione collettiva. Il nostro mondo solo da poche centinaia di anni si è allontanato da quegli errori ed orrori che oggi giustamente condanniamo.

Di fronte a certo “fanatismo democratico” dilagante un buon antidoto è pensare che la pena di morte nella Città del Vaticano, pur se mai applicata negli ultimi anni, giuridicamente è stata definitivamente cancellata solo il 12 febbraio 2001.

Del resto, senza scomodare le crociate e i massacri catari e albigesi, basterebbe ricordare che lo Stato Pontificio, tra il 1796 e il 1870, anno dell’ultima decapitazione, quella di tal Agatino Bellomo, era arrivato al record di 527 esecuzioni, un vero primato per Mastro Titta, famoso boia di Roma.

Per “consolarci” riflettiamo più laicamente, sul fatto che la legge sul delitto d’onore è stata abrogata nel 1981. E che solo pochi anni prima, nel 1945, in Italia era stato concesso il suffragio universale alle donne. Meglio fermarsi qui. E cominciare a riflettere.

Per fortuna, chissà, c’è sempre Francesco, un Papa solo apparentemente “buono” e “buonista”, un gesuita “nuovo” ma fortemente intriso di valori tradizionali, anche se odiato dalle correnti lefebvriane, nel 1999 membro onorario del Rotary Club di Buenos Aires che nel 2005 lo elesse “uomo dell’anno”.

Francesco, amico, come altri papi del B’nai B’rith International, organizzazione “comunicante”, come la Compagnia di Gesù, con larghe frange internazionali della Massoneria.

Un successore di Pietro particolarmente amato, già al suo esordio, da Gustavo Raffi, ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia che, nel 2013, in un’allocuzione disse profeticamente:

Con Papa Francesco nulla sarà più come prima. Chiara la scelta di fraternità per una Chiesa del dialogo, non contaminata dalle logiche e dalle tentazioni del potere temporale.

Parole “sante”.

Autore Hermes

Sono un iniziato qualsiasi. Orgogliosamente collocato alla base della Piramide. Ogni tanto mi alzo verso il vertice per sgranchirmi le gambe. E mi vengono in mente delle riflessioni, delle meditazioni, dei pensieri che poi fermo sul foglio.