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Massoneria e silenzio iniziatico

Arpocrate


L’argomento del silenzio è molto dibattuto e richiamato in Massoneria.

Spesso durante i lavori rituali si ascolta la lettura di relazioni, quelle che vengono più propriamente definite tavole, che riflettono su questo argomento, che però è ben lungi dall’essere esaurito e quasi mai esce dalle considerazioni che riguardano il grado di apprendista.

All’esterno dell’Istituzione, invece, pochi “profani” conoscono la regola del Silenzio; inoltre, delle molte fonti reperibili anche in rete, poche sono veramente attendibili.

Può essere, dunque, utile, provare ad affrontare l’argomento, in un discorso che ne delinei i punti fondamentali, pur partendo dal presupposto che questo non possa essere esaustivo.

Innanzitutto, che origine ha il silenzio iniziatico?

Molte tradizioni esoteriche hanno come tratto comune quello del silenzio riservato ai neo iniziati.

Le prime tracce di questa consuetudine sono molto antiche e possono essere collegate alla Scuola Pitagorica, ai cui neofiti non era concessa la parola per due anni.

La stessa Schola Italica, sembra far derivare questa regola dai misteri Orfici-Eleusini.

In questi due anni, i neopitagorici, attraverso il silenzio, perseguivano due finalità.

Innanzitutto, erano costretti ad ascoltare i confratelli in possesso dello jus loquendi; in secondo luogo, imparavano ad esercitare l’autocontrollo.

Tra le tradizioni iniziatiche cui la Massoneria fa riferimento, vi è indubbiamente quella pitagorica.

Anche in Massoneria gli Apprendisti Liberi Muratori, sono tenuti al Silenzio Rituale.

Possiamo, però, individuare due differenze rispetto alla scuola crotoniate.

Innanzitutto, in Massoneria il ruolo dei Maestri è molto diverso. Il Maestro Massone abbandona il pronunciamento ex cathedra, non insegna, non è un docente, ma funge da esempio, dà i segni. Lo stesso Maestro Venerabile è sostanzialmente un punto di riferimento.

Il silenzio dell’apprendista, inoltre, ha una funzione metamorfica.

Le fasi dell’iniziazione riproducono quelle del processo cosmogonico; una tale analogia, basantesi direttamente su quella del microcosmo e del macrocosmo, permette meglio di ogni altra considerazione di chiarire la questione. Infatti si può dire che le attitudini o possibilità incluse nella natura individuale non sono in un primo momento in se stesse che una materia prima, vale a dire una pura potenzialità, in cui non v’è niente di sviluppato o di differenziato; è quindi lo stato caotico e tenebroso, che il simbolismo iniziatico fa corrispondere precisamente al mondo profano, e nel quale si trova l’essere non ancora pervenuto alla seconda nascita. Perché questo Caos possa cominciare a prendere forma ed a organizzarsi, è necessario che gli sia comunicata una vibrazione iniziale dalle potenze spirituali che la Genesi ebraica designa come gli Elohim; questa vibrazione è il Fiat Lux che illumina il Caos, e che è il punto di partenza necessario per tutti gli sviluppi ulteriori. Dal punto di vista iniziatico, questa illuminazione è rappresentata precisamente dalla trasmissione dell’influenza spirituale di cui si è detto più sopra. In virtù di questa influenza le possibilità spirituali dell’essere non sono più la semplice potenzialità che erano prima; esse sono diventate una virtualità pronta a svilupparsi in atto nei diversi stadi della realizzazione iniziatica.
René Guénon – Considerazioni sulla Via Iniziatica

Le potenzialità virtuali dell’iniziazione devono trovare realizzazione nei diversi stadi.

In quello di apprendista il silenzio ha una funzione meditativa, grazie alla quale si libera gradualmente della profanità che ancora domina il suo essere. La parola può essere fonte di distrazione, può distogliere il neofita dal lavoro di introspezione avviato nel gabinetto di riflessione e attraverso il quale perviene alla conoscenza di se stesso.

Il Silenzio Rituale, in Massoneria non è, però, inteso quale imposizione, ma come dono.

Per quanto si possa leggere o studiare prima di essere iniziati, nulla può preparare a quello che realmente avviene e soprattutto, prima della vibrazione impressa citata poco fa, non si dispone dell’intuizione necessaria a cogliere l’essenza di certi simboli.

Quando su richiesta del Primo Sorvegliante il Maestro Venerabile concede la Luce al bussante, il Tempio improvvisamente si illumina. È il momento riassunto nella bellissima scultura del ‘Disinganno’, capolavoro del Queirolo che possiamo trovare a Napoli presso la Cappella Sansevero. Il Maestro Venerabile è Gesù che dona la vista al cieco che troviamo in bassorilievo sul basamento.

Il neofita può liberarsi dalla rete delle illusioni che lo rendono effettivamente cieco alla verità.

Nel momento in cui il neofita vede il Tempio, è aggredito da un numero incredibile di simboli; inoltre, si troverà a confrontarsi con una serie di gesti, di movimenti, di segni, anch’essi simboli di cui non possiede ancora la chiave.

L’apprendistato serve anche a cominciare a prendere confidenza con tutto questo, oltre che con una terminologia molto particolare.

Da non sottovalutare un altro aspetto, quello della profonda comprensione del valore del silenzio; l’apprendista imparerà che lo si può infrangere solo se quello che si ha da dire ha un valore maggiore.

Infine, il silenzio insegna ad ascoltare; in Massoneria si parla uno alla volta, con tutti gli altri che ascoltano in attesa che sia loro concessa la parola, che arrivi il proprio turno.

In Massoneria ognuno rispetta le opinioni di tutti coloro che intervengono; nessun Massone crede di avere la verità in tasca, ognuno sa di esprimere un’opinione e che ogni opinione ha pari valore e dignità rispetto a tutte le altre.

Quanto dura il periodo di silenzio dell’apprendista? Da regolamento dovrebbe durare almeno un anno, fino a che non si perviene al grado di Compagno d’Arte. Eccezionalmente, e nelle debite forme, il Maestro Venerabile può concedere la parola anche agli apprendisti.

Se il minimo è un anno, da regolamento non è definito un massimo.
Per accedere al grado di Compagno vi è, o vi dovrebbe essere, la necessità che gli altri fratelli più avanti nel percorso iniziatico concordino nel ritenere che la metamorfosi operata dal silenzio sia compiuta.

L’Iniziato si è sgrossato di buona parte della sua profanità, conosce meglio se stesso e il valore del silenzio, ha compreso molti dei simboli del suo grado.

Può proseguire in quella parte del percorso che lo porterà, infine, al grado di Maestro, quando dovrebbe aver sviluppato pienamente l’Intuito, compreso il Potere della Parola.

Il Maestro, dicevamo, in Massoneria non insegna, ma è di esempio, dà i Segni, diventa esso stesso simbolo.

Il condizionale è d’obbligo.

La maturità che dicevamo può sopravvenire dopo un anno, due o dieci, ma anche prima di un anno o mai.

Non è raro, però, che il passaggio di grado avvenga per mero scatto di anzianità.

Capita, dunque, che un Compagno, o peggio un Maestro riceva la parola senza comprenderne la portata, senza avere la Luce necessaria, senza esserne “degno”.

Rischia di diventare momento di disarmonia, un pessimo esempio per chi è ancora apprendista.

Cosa accade del silenzio negli altri gradi?

Diventa silenzio verso l’esterno, nella riservatezza del Dio egizio Arpocrate, raffigurato con un dito a sigillare le labbra.

Si dice sempre che chi raggiunge la vetta poi debba ridiscendere per trasmettere agli altri quello che ha appreso; vuoi con l’insegnamento vero e proprio di alcune scuole iniziatiche, vuoi con l’esempio, come dicevamo accade in Massoneria.

Potremmo, però, pensare che quando ad un certo punto si sia davvero raggiunta la piena Luce iniziatica, si possa arrivare ad un nuovo Silenzio, ben diverso da quello dell’apprendista, in quella che è, lo precisiamo, una riflessione assolutamente personale.

Nella raccolta di racconti di Jorge Luis Borges ‘L’Aleph’, ve ne è uno molto particolare: ‘La scrittura del dio’.

Tzinacàn, mago della piramide di Qaholom, è rinchiuso in prigione dopo che Pedro de Alvarado ha incendiato la piramide stessa, abbandonato a se stesso per non aver voluto rivelare l’ubicazione del tesoro.

Nei lunghi anni di prigionia, Tzinacàn ricorda una tradizione del dio.

Ore più tardi, cominciai ad avvistare il ricordo; era una delle tradizioni del dio. Questi, prevedendo che alla fine dei tempi sarebbero occorse molte sventure e rovine, scrisse nel primo giorno della Creazione una sentenza magica, atta a scongiurare quei mali. La scrisse in modo che giungesse alle più remote generazioni e che non la toccasse il caso. Nessuno sa in quale punto l’abbia scritta né con quali caratteri, ma ci consta che perdura, segreta, e che la leggerà un eletto. Considerai che eravamo, come sempre, alla fine dei tempi e che il mio destino di ultimo sacerdote del dio mi riserbava il privilegio di decifrare quella scrittura. Il fatto che un carcere mi circondasse non mi vietava tale speranza; forse io avevo visto migliaia di volte l’iscrizione di Qaholom e non dovevo che capirla.
Jorge Luis Borges – L’Aleph

La ricerca, però, è lunga, estenuante, infinita, come ogni percorso iniziatico.

Non dirò la stanchezza della mia fatica. Spesso gridai alla volta che era impossibile decifrare quel testo. Gradatamente l’enigma concreto che mi occupava m’inquietò meno che l’enigma generale di una sentenza scritta da un dio.
Jorge Luis Borges – L’Aleph

Al centro della ricerca la parola.

Un dio – riflettei – deve dire solo una parola, e in quella parola la pienezza. Nessuna voce articolata da lui può essere inferiore all’universo o minore della somma del tempo. Ombre o simulacri di quella voce che equivale a un linguaggio, sono le ambiziose e povere voci umane tutto, mondo, universo.
Jorge Luis Borges – L’Aleph

Poi la svolta.

Un giorno o una notte – tra i miei giorni e le mie notti, che differenza c’è? – sognai che sul pavimento del carcere c’era un granello di sabbia. Mi riaddormentai, indifferente; sognai che mi destavo e che i granelli di sabbia erano due.
Mi riaddormentai; sognai che i granelli di sabbia erano tre.
Si andarono così moltiplicando fino a colmare il carcere e io morivo sotto quell’emisfero di sabbia. Compresi che stavo sognando; con un grande sforzo mi destai.
Fu inutile; l’innumerevole sabbia mi soffocava.

Qualcuno mi disse: “Non ti sei destato alla veglia ma a un sogno precedente. Questo sogno è dentro un altro, e così all’infinito, che è il numero dei granelli di sabbia.
La strada che dovrai percorrere all’indietro è interminabile e morrai prima di esserti veramente destato”.

Mi sentii perduto. La sabbia mi rompeva la bocca, ma gridai: “Una sabbia sognata non può uccidermi, né ci son sogni che stiano dentro sogni”.

Uno splendore mi destò. Nella tenebra sopra di me si librava un cerchio di luce.
Jorge Luis Borges – L’Aleph

Tzinacàn perviene al tutto, al divino.

Allora avvenne quel che non posso dimenticare né comunicare. Avvenne l’unione con la divinità, con l’universo (non so se queste parole differiscono). L’estasi non ripete i suoi simboli; c’è chi ha visto Dio in una luce, c’è chi lo ha scorto in una spada o nei cerchi di una rosa.
Io vidi una Ruota altissima, che non stava avanti ai miei occhi né dietro né ai lati, ma in ogni parte a un tempo. Quella Ruota era fatta di acqua, ma anche di fuoco, e (benché si vedesse il bordo) era infinita. Intrecciate fra loro, la formavano tutte le cose che saranno, che sono e che furono, ed io ero uno dei fili di quella trama totale, e Pedro de Alvarado, che mi fece tormentare, era un altro. Lì erano le cause e gli effetti e mi bastava vedere quella Ruota per comprendere tutto, senza fine.
Jorge Luis Borges – L’Aleph

Arriva a conoscere anche la sentenza magica. Ma, nonostante i propositi di rivincita, di fuga, ormai in sé non c’è più rabbia.

È una formula di quattordici parole casuali (che sembrano casuali) e mi basterebbe pronunciarla ad alta voce per essere onnipotente.
Mi basterebbe dirla per abolire questo carcere di pietra, perché il giorno invadesse la mia notte, per essere giovane e immortale, perché il giaguaro lacerasse Alvarado, per affondare il santo coltello in petti spagnoli, per ricostruire la piramide e l’impero. Quaranta sillabe; quattordici parole, e io, Tzinacàn, governerei le terre governate da Moctezuma. Ma so che mai dirò quelle parole, perché non mi ricordo più di Tzinacàn.
Jorge Luis Borges – L’Aleph

Tzinacàn ha trasceso se stesso, ha raggiunto l’ultima vetta, è nessuno, è Tutto.

Muoia con me il mistero che è scritto nelle tigri. Chi ha scorto l’universo, non può pensare a un uomo, alle sue meschine gioie o sventure, anche se quell’uomo è lui. Quell’uomo è stato lui e ora non gl’importa più. Non gl’importa la sorte di quell’altro, non gl’importa la sua azione, poiché egli ora è nessuno. Per questo non pronuncio la formula, per questo lascio che i giorni mi dimentichino, sdraiato nelle tenebre.
Jorge Luis Borges – L’Aleph

Raggiunta la perfezione, il Maestro, in possesso del pieno potere della Parola, potrebbe, infine, scegliere il più alto Silenzio, assolutamente diverso da quello dell’apprendista, come dicevamo, il Silenzio del Tutto ormai indifferente alla manifestazione.

Autore Pietro Riccio

Pietro Riccio, esperto e docente di comunicazione, marketing ed informatica, giornalista pubblicista, scrittore. Direttore Responsabile del quotidiano online Ex Partibus, ha pubblicato l'opera di narrativa "Eternità diverse", editore Vittorio Pironti, e il saggio "L'infinita metafisica corrispondenza degli opposti", Prospero editore.

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