La zona dei Campi Flegrei, il cui nome significa Campi Ardenti, custodisce bellezze a dir poco paradisiache ma con un terreno vulcanico che la rende demoniaca, come i suoi abitanti, in particolare le donne, che da tale terra hanno tratto il proprio carattere.
Sin dall’antichità l’altra metà del cielo è stata sempre bandita da tutto ciò che riguardava il combattimento, perché si riteneva che la loro fattezza e il loro temperamento non si confacevano all’arte della guerra, ma, come in tutte le cose, senza andar troppo lontano, abbiamo delle eccezioni.
Nel dedalo di vicoletti del centro storico di Pozzuoli troviamo una stradina intitolata a Maria Puteolana, antesignana Giovanna d’Arco che visse nel XIV secolo, combattendo al fianco e per il suo re, Roberto d’Angiò, travestita da uomo.
Incoronato nel 1309, il saggio, come era stato soprannominato, è sicuramente uno dei monarchi che in età medioevale hanno reso grande Napoli. Amava contornarsi di artisti di primaria importanza che invitava a corte, stiamo parlando di Giotto, Boccaccio e Petrarca. A lui si devono il complesso Monastico di Santa Chiara e il Castel Sant’Elmo.
Di questa donna poco è stato tramandato, non si conosce la data di nascita, né la sua famiglia, quasi nulla delle sue gesta. Virago Maria era una ragazza molto modesta, non aveva vizi di nessun genere, amava, invece, la vita all’aria aperta, di sani principi e vergine sino alla morte. Sin da ragazzina rifiutava tutto ciò che si confaceva all’istruzione femminile, era avvezza sfidare i suoi coetanei in gare di forza ed abilità per questo, presto, la si identificò come maschiaccio.
Amava così intensamente la sua terra che vedendola attaccata dai pirati saraceni, decise di mascherarsi da uomo con tanto di corazza ed elmo per difenderla. Potremmo immaginare di essere al cospetto di una delle tante leggende popolari tramandate da bocca a orecchi, se non fosse che, incuriosito da tanta fama, si interessò a questo strano personaggio Francesco Petrarca.
Nel 1341 il Poeta soggiornava a Napoli presso la corte Angioina poiché era stato dal re incoronato d’alloro e di lei così scriveva:
Veduta io l’avea e senza armi quando con impeto giovanile correndo in traccia di gloria venni a trovare in Napoli il Re di Sicilia.
Rimase così tanto colpito dalla soldatessa che nel quinto libro delle ‘Epistolae Familiares’, afferma:
Ma oggi, quando si è fatta innanzi e mi ha salutato, bardata da guerra e al comando di un manipolo di soldati, ne sono rimasto sbalordito. Poi sotto quell’elmo ho riconosciuto la sua femminilità… Aveva destrezza insolita e rarissima, forza, età, portamento, desiderio di uomo prode; non tele ma archi, non aghi e specchi ma frecce e brocchieri usava, e nel suo corpo non baci e lascivia ma ferite ed onorate cicatrici…
Io riferisco quello di che sono stato io stesso testimonio. La principal sua cura le armi. Era la prima a lanciarsi nella battaglia, ultima ad escirne; animosa nell’assaltare, pronta negli agguati, sofferente di incredibile forza alla fame, alla sete, al freddo, al sonno, alle fatiche; onde il dormire all’aria, l’adagiarsi per terra poggiando il capo su un cespite o sopra lo scudo ed altri moltissimi disagi, disfecero in breve la sua bellezza.
Maria nello scegliere i soldati al suo seguito li sottoponeva ad una prova che finiva per mettere in risalto sé stessa e guadagnarsi quel rispetto che a quei tempi non era dovuto al sesso femminile, ancor meno se, sotto mentite spoglie, si tentava di apparire ciò che non si era.
Preparava per terra un sasso enorme insieme ad un palo di ferro ed invitava il mal capitato a spostarli, nonostante si provasse in tutti i modi, sforzandosi nessun uomo riusciva nell’impresa, mentre lei con tanta nonchalance non solo li alzava senza fatica, ma riusciva a scagliarli anche lontano.
Di questa giovane, dimenticata dalla storia, molti furono a decantarne le gesta, uno degli ultimi che si interessò a lei descrivendo le sue prodezze è stato il teologo e filosofo Giulio Cesare Capaccio che nella ‘Historia Puteolana’ del 1604 ne fece una puntuale descrizione:
Nelle guerre civili della sua patria andò vestita sempre da uomo e da soldato, e maneggiò con tanto valore l’armi che si era fatta a tutti formidabile. Dormiva quasi sempre in campagna, armata, pazientissima del freddo, del caldo e della fame, stimando in ogni tempo più soave ristoro il terreno, che la morbidezza dei letti, e per ornamento del capo femminile stimando più una buona celata che i ricci dei capelli o le reti d’oro.
L’indomita guerriera morì come aveva sempre sperato, nella stregua difesa della sua terra fu colpita ad un fianco, con l’elmo in testa e vestita di corazza. La sua sfida non era rivolta contro i pirati che lambivano la sua terra, ma contro una società che poneva l’uomo al centro di tutto, che additava e scherniva quelle poche donne che non appartenevano a nessuno. La sua morte fu raccontata nell’opera ‘Gynevra’ da Sabadino degli Arienti nel 1483.
Autore Rosy Guastafierro
Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.