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Lo strumento basilare per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole. Se controlli il significato delle parole, puoi controllare le persone che devono usare le parole.
Philip K. Dick 

Ogni giorno tutti noi cerchiamo di influenzare chi ci circonda. Tuttavia, molto di ciò che mettiamo in atto per condizionare gli altri è privo di efficacia, se non controproducente, perché non è compatibile con il modo in cui funziona la nostra mente.

I temi della manipolazione dell’opinione pubblica e del suo rapporto con i media sono oggi più che mai rilevanti sia per la politica che per il dibattito connesso.

Con una sapiente miscela di linguaggi verbali e visuali, i mass media hanno enfatizzato oltremisura il ruolo delle emozioni e il potere persuasivo dei meccanismi di manipolazione.

La politica, il marketing, la televisione e l’informazione, dominate da docudrama e reality show, si servono di raffinate strategie per suggestionare il nostro inconscio. Tra le altre ragioni, questo è dovuto all’affermarsi di nuove forme di propaganda politica e all’adozione di strumenti tecnologici sempre più raffinati.

Siamo così spinti a interrogarci sia sul concetto di manipolazione e sui suoi meccanismi di base sia sulle possibili rivisitazioni del propaganda model e sull’attuale disordine informativo. Coniugando l’approccio sociologico a quelli provenienti dalla scienza politica e quelli più tradizionalmente ancorati ai media study.

È di enorme importanza, allora, considerare l’impatto della manipolazione sulle persone e, soprattutto, sui giovani che, ossessionati dalla velocità, tendono più facilmente a farsi sedurre da proposte e progetti di più celere e pratica realizzazione.

In passato, le manipolazioni, per sortire effetti, avevano bisogno di tempi lunghi, ma oggi la società è equipaggiata di potenti mezzi che, velocemente, anzi, immediatamente, possono incidere la mente e condizionare il comportamento di milioni di persone, soprattutto se tali mezzi sono usati da persuasori, magari a loro volta persuasi, e nei confronti di chi ha necessità di essere convinto da qualcuno a causa della propria fragilità emotiva.

A volte, non solo non ci rendiamo conto di essere manovrati, ma non siamo neppure consapevoli che noi stessi adottiamo strategie per influenzare ed esercitare un controllo sugli altri per indurli, in modo più o meno trasparente, a pensare o fare ciò che vogliamo, magari senza cattive intenzioni o senza essere machiavellici.

Perdiamo di vista che, nel gioco delle parti, carnefici, vittime e salvatori si alimentano e sostengono a vicenda. Perché nel regime dell’informazione essere liberi non significa agire, ma cliccare, mettere like e postare.

La digitalizzazione, da tempo, sta interessando anche la sfera politica e gli sconvolgimenti che produce nel processo democratico e nelle nostre vite sono massicci, epocali.

Storditi dalla frenesia della comunicazione a ciclo continuo, ci ritroviamo impotenti di fronte ad un sistema che trasforma l’essere umano in una miniera di dati da estrarre. Il nostro modo di pensare ed intervenire nel mondo, il nostro rapporto con la verità stanno inesorabilmente cambiando.

Siamo apparentemente liberi, ma incapaci di discutere. Immersi nell’info-crazia, nella quale libertà e sorveglianza coincidono, assistiamo al tramonto dell’epoca della verità, così che capire davvero ciò che sta accadendo è l’unico modo di resistere.

Negli ultimi tempi si sente più di parlare della finestra di Overton, uno schema di comunicazione – persuasione ideato da Joseph P. Overton (1960 – 2003.

In sintesi, si tratta di uno spazio concettuale graduato all’interno del quale si individuano alcune fasi, sei per la precisione, in cui si può descrivere lo spostamento dell’atteggiamento dell’opinione pubblica rispetto ad una certa idea.

Possiamo definirlo come un meccanismo psicologico che deriva dalla tendenza della nostra mente ad ancorarsi a un punto di riferimento e utilizzarlo per giudicare i cambiamenti; altro non è che la ‘finestra’ di possibilità accettabili e considerate normali all’interno dell’insieme di tutte le possibilità. In fondo, è lo schema tipico delle dittature, ma anche delle democrazie.

Ci si chiede, infatti, spesso a posteriori, come intere popolazioni, non solo e non sempre a seguito di pressioni violente, abbiano potuto ad un certo punto ritrovarsi a pensare tutte allo stesso modo e a condividere passivamente stili di vita che prima non erano nemmeno immaginabili, trovandosi rinchiuse in un sistema che inizialmente non volevano e in un pensiero che è lontano anni luce dal loro tradizionale modo di essere.

Secondo Overton, la manipolazione è scandita da una sequenza precisa che si può riassumere in 6 fasi. Un’enorme quantità di specialisti per la manipolazione dell’opinione pubblica assicura il funzionamento della finestra di Overton: esperti in tecnologie politiche, scienziati, giornalisti, esperti in relazioni pubbliche, personalità, insegnanti.

È curioso che i temi come i matrimoni tra le persone dello stesso sesso oppure l’eutanasia non ci sembrano più strani. Hanno semplicemente percorso l’intero processo ‘tecnologico’ di trasformazione da ‘inaccettabili’ fino alla ‘legalizzazione’.

La manipolazione è diventata sempre più uno strumento al servizio di chi detiene potere nella comunicazione mediale ed è in grado di utilizzarlo, sfruttando i processi virali connaturati nella struttura di rete per diffondere odio e intolleranza, facendo leva sul contagio emotivo.

Sdoganato nella comunicazione politica, l’uso aggressivo della comunicazione social ha incoraggiato un altrettanto scurrile e violento linguaggio della massa e non solo online.

Nell’ultimo decennio i partiti politici, i governi e grandi aziende hanno investito risorse economiche per la ricerca, lo sviluppo e l’implementazione di operazioni psicologiche e la manipolazione dell’opinione pubblica sui social media.

Il comun denominatore è l’uso del contagio emotivo come chiave per generare azioni – apparentemente – volontarie da parte degli utenti, ma, a differenza di chi è in grado di gestire e usare il fenomeno in senso manipolatorio, la gran parte degli individui non è consapevole dei meccanismi e delle dinamiche che sottendono le proprie scelte nel mondo digitale o ne sottovaluta l’impatto.

Le emozioni che si esprimono e si condividono sui social media possono influire sugli stati emotivi dei propri interlocutori come un vero e proprio virus sociale. Semplicemente leggendo uno status o vedendo un contenuto fortemente connotato emotivamente, possiamo modificare il nostro umore, orientandolo, inconsapevolmente, nello stesso verso.

Nel celebre studio pubblicato su PNAS, condotto con l’Università della California e la Cornell, emerge con evidenza sperimentale il ruolo e l’uso del fenomeno del ‘contagio emotivo’ sui social media, soprattutto per ciò che riguarda i contenuti ad alto impatto emotivo, come foto e video, che sembrano avere una maggiore caratterizzazione alla diffusione virale.

In conclusione, anche per evitare di soffermarci sulla dietrologia fine a sé stessa e provare a capire come riconoscere la manipolazione politica e sociale attraverso l’uso estremo ed imparziale delle nostre esistenze, è necessario innanzitutto diventare consapevoli del suo impatto duraturo. Mentre il contesto e gli strumenti possono cambiare, le tattiche rimangono spaventosamente simili.

È nostro dovere, come cittadini di questo mondo, informarci, sviluppare pensiero critico e respingere i tentativi di manipolazione fin dalle dinamiche private e professionali, proteggendo, così, i nostri valori di individui e di comunità.

Un governo del terrore funziona nel complesso meno bene del governo che, con mezzi non-violenti, manipola l’ambiente e i pensieri e i sentimenti dei singoli, uomini donne e bambini.
Aldous Huxley 

 

 

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.