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Lutto mondiale

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Lutto


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Il dolore ti rovescia lo stomaco, ti toglie il respiro, riduce l’apporto di sangue al cervello; il lutto sospinge in una direzione nuova.
Julian Barnes

La vita è fatta di cambiamenti e di perdite di ogni tipo, per i quali dobbiamo elaborare il lutto: morte, storie d’amore finite, licenziamento o pensionamento, esilio, traslochi…

Spesso non abbiamo né l’energia, né la libertà di spirito, né la capacità di prendere decisioni positive e passiamo il nostro tempo a “ruminare”. Dare un nome alle cose è il punto di partenza.

All’inizio della Genesi, Dio, dopo aver creato gli animali, li presenta all’uomo affinché dia loro un nome. Dare un nome alle cose, agli animali, alle persone è evidentemente fondamentale. Perché è il primo passo verso l’identità individuale. Dare un nome al dolore, allora, assume un significato maggiore: individua il problema. Come può essere per la morte.

Nella vita spesso si vivono vari momenti di impotenza, che inducono stati di sofferenza e disagio. Quando ci si confronta, in particolare, con il lutto e la morte, tutto diventa più difficile da affrontare e spesso da superare e capire. Quando muore una persona cara, occorre dirle addio.

Il lutto è innanzitutto il dolore per l’addio: è un addio che fa male. Debitamente accompagnati, quanti vivono il lutto potranno attraversare le varie fasi della ribellione, della disperazione e della solitudine e trovare, infine, dei percorsi spirituali per reagire alla perdita della persona cara.

Scopriranno in sé nuove potenzialità, che fino a quel momento non avevano affatto percepito. Potranno instaurare una nuova relazione con il defunto, così che egli divenga un compagno di strada interiore, da integrare nella loro esistenza. Si apriranno alla consolazione, che proviene dal mistero stesso della risurrezione cristiana, magari, perché l’amore non viene distrutto dalla morte, resiste oltre essa.

Comprendere il messaggio del defunto, essergli vicino in ciò che contava per lui può essere una via verso la vita e verso una nuova intimità, per costruire una relazione profonda. Ci sono anche altre idealizzazioni sulla perdita di una persona cara.

Infatti, per uscire dal lutto, è necessario, vitale, ridarsi la carica, lasciare la presa, perdonare, accettare la perdita. Per farlo, esistono delle tecniche e tutte passano per lo stesso cammino: circondarsi di amici, concedersi qualche piacere, ricostituire una scorta di “vitamine” emozionali. E poi la morte oggi è anche social. Con essi, la morte non esiste più.

Eppure, viviamo costantemente circondati dai morti. Relegata lontano dalla nostra quotidianità, medicalizzata, espunta dalle nostre vite, l’esperienza del morire vive oggi una situazione paradossale, quando le immagini e le parole dei cari estinti tornano e irrompono all’improvviso dagli schermi dei nostri telefoni.

Moriamo, ma continuiamo a esistere nella presenza ineliminabile della nostra passata vita online. Social network, chat, siti web costituiscono insieme, ad oggi, il più grande cimitero del mondo.

Il territorio esplorato dalla fantascienza, dalla fiction e, recentemente, da una delle serie più perturbanti che mette al centro della sua riflessione il rapporto tra uomo e tecnologia, Black Mirror, sembra superato dalle nuove intelligenze artificiali.

Sono già disponibili bot con cui dialogare e capaci di interpretare i nostri stati d’animo per poi sostituirsi a noi quando saremo trapassati, e continuare a parlare con i nostri cari; il profilo Facebook che consultiamo compulsivamente più volte al giorno, quando mancheremo, diventerà una vera e propria lapide virtuale e i nostri amici potranno continuare a farci gli auguri ogni anno nell’aldilà.

E ancora, il web è diventata la più grande piazza pubblica per celebrare il ricordo o condividere anche l’esperienza privata del lutto. Insieme piangiamo i nostri cari, insieme ricordiamo i nostri beniamini. Insieme, in un futuro prossimo, vivremo una seconda vita nella realtà virtuale.

Il lutto costituisce un’esperienza inevitabile nella vita di ognuno di noi, al punto da considerare del tutto ovvi il dolore e la tristezza in cui è assorbito chi ha perduto l’essere amato. In esso c’è il faticoso e intenso lavorio interiore, che avviene in chi ha vissuto esperienze di perdita, rivelandone anche le pieghe nascoste e gli aspetti contraddittori.

L’uomo è l’unico animale che seppellisce i suoi morti. La paura della morte è universale nel genere umano, non si modifica in maniera significativa alla luce delle culture e delle religioni e dipende non solo dal dolore che accompagnala di partita, ma anche dal mistero che lo circonda e ciò che ne consegue, il distacco dai propri familiari e la decomposizione del corpo.

Anche se la morte è un fatto naturale nelle società umane viene sempre ascritta a cause soprannaturali; le leggende sull’origine della morte sono diffuse più o meno in tutto il mondo.

La cultura, la religione, possono incidere sul concetto stesso di morte. In alcune culture si crede nella reincarnazione, il rinascere sotto altre forme o persone, oppure nella vita ultraterrena, dopo il trapasso vi è la risurrezione dell’anima; in altre ancora, la morte viene considerata come una “festa” a vita nuova.

In questi giorni abbiamo assistito alla scomparsa dell’ex Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Se divisiva era in vita, in morte la sua figura non è stata da meno. Ai funerali di Stato a cui si è attenuta Palazzo Chigi è corrisposto un vento di polemiche verso chi si è rifiutato di vivere questo lutto “imposto”.

Eppure, era obbligatorio. Infatti, secondo la legge n.36 del 7 febbraio 1987, e salvo diverse indicazioni della famiglia del defunto, è un atto dovuto riservare funerali di Stato alle massime cariche del Paese: Presidente della Repubblica, del Senato, della Camera dei deputati, del Consiglio dei Ministri e della Corte costituzionale.

Una norma che si applica sia per i Presidenti in carica che per quelli che hanno ricoperto questo ruolo in precedenza. Niente di straordinario, dunque, per il fatto che al funerale dell’ex Presidente del Consiglio partecipino le massime cariche istituzionali, Presidente della Repubblica Sergio Mattarella compreso.

E neanche per gli onori militari al feretro all’ingresso e all’uscita della chiesa; per l’orazione commemorativa ufficiale e per il fatto che l’organizzazione del rito, il trasporto della salma e la sepoltura siano interamente a carico del governo.

La polemica è scattata sulla decisione del Governo di proclamare il lutto nazionale. Ora non voglio entrare nel merito della polemica. Non sono interessato a riferire il mio pensiero in merito, voglio solo sottolineare il paradosso doloroso a cui ci mette di fronte la vita: nella stessa giornata dell’addio del Cavaliere, si spegnava, dopo una lunga sofferenza, l’attore e poeta, così mi piace ricordarlo soprattutto, Francesco Nuti.

La sua scomparsa veniva letteralmente eclissata da quella dell’ex Premier. Non un film suo trasmesso, non uno speciale. Niente.

Il centro del mondo italiano in questi giorni è stato Arcore. Per lui briciole di pensieri, qualche richiesta e preghiera di amici e fan a voler in TV un suo film. Tutto qua.

Ancor peggio, una tragedia immane si verifica sulle coste greche, a largo di Pylos nel Peloponneso. Il naufragio di un peschereccio con 750 migranti. Si parla di oltre 600 morti, molti dei quali bambini, intrappolati nella stiva dell’imbarcazione.

Il peschereccio Adriana, secondo le testimonianze dei soccorritori, aveva a bordo persone provenienti dall’Egitto, Pakistan e Siria. Dopo il naufragio, solo 104 persone sono state tratte in salvo, mentre finora sono stati recuperati 78 corpi.

I sopravvissuti hanno rivelato che circa 100 bambini erano intrappolati nella stiva dell’imbarcazione. Al momento dell’incidente, molti passeggeri, inclusi donne e bambini, stavano dormendo, rendendo la situazione ancora più tragica.

Che lutto è questo?

Ad un lutto nazionale contestato, io mi sento di scrivere che questo è un lutto mondiale. Nell’indifferenza più completa, in primis dell’Unione europea che, a quanto pare, si sente di intervenire solo quando in mezzo c’è l’Italia.

Centinaia di bambini ora danzano nelle acque come tanti Aylan. E cosa dovremmo scrivere. Quante bandiere dovremmo mettere a mezz’asta? Quanti pianti, urla, striscioni dovremmo pretendere?

Questi tre eventi, che non vogliamo accumunare, perché uno è realmente e tangibilmente un dramma dell’umanità, gli altri due, seppur tristi, sono, possiamo affermare, accettabili. O, quanto meno, rientrano nella logica degli eventi che ci investono.

Ecco, la morte non è giusta. La morte non ha pietà. E quei bambini sono l’inganno alla nostra coscienza, se ne abbiamo una. L’indifferenza è il collare a cui sottostiamo, dietro ad un padrone che ci invoglia di un tempo che pare infinito e ricco di gioia e di bellezze finte – eterne.

Intanto che in Italia si dibatteva se fosse giusto o meno un lutto nazionale per un politico, se ne andava, in silenzio, un ex ragazzaccio toscano, dimenticato dallo star system, e, avidamente, la morte, donava al mondo un lutto imperdonabile. Quello che strazia il poeta, ma anche quello che si dimentica più facilmente.

Perché all’uomo non basta il lutto che si porta addosso, scritto sulla sua faccia, come disse Eduardo in ‘Napoli Milionaria’. No, all’uomo non basta.

Piangendo non richiamerai i morti dall’oltretomba.
Euripide 

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.