Nessun seme rivive se prima non muore. E il seme che metti in terra, quello di grano o di qualche altra pianta, è soltanto un seme nudo, non la pianta che nascerà. Dio gli darà la forma che vuole e ad ogni seme corrisponderà una pianta.
I Corinzi, 15,36-38
Da sempre la morte atterrisce l’uomo. Per alcuni è fine di “tutto”, per altri è inizio di “tutto”.
Questo riferimento circolare sfugge di mano al profano.
Il concetto di vita necessita del concetto di morte e viceversa. Entrambe camminano fianco a fianco accompagnando l’uomo sulla sottile linea del destino. Per il profano solo l’aspetto temporale.
Alla vita ci si consegna totalmente. Troppo labile, però, è la dimensione spirituale per affidarci altrettanto serenamente alla morte.
Il fiume che ci apprestiamo ad attraversare alla fine della vita, è troppo impetuoso. L’altra sponda è nascosta dalle brume. L’ignoto ci terrorizza. http://www.loggiagaribaldi1436.it/2019/08/14/la-morte-per-un-massone/
Sin dal primo respiro vitale, l’individuo incomincia la sua partita a scacchi con la morte. Certo, l’esito biologico è scontato, egli subirà uno scacco matto.
Così comincia l’atavica sfida che si combatte sulla scacchiera cosmica.
Un immenso insieme di figure geometriche, di colori alternati, bianco e nero, rappresentano le forze contrarie che si confrontano nella lotta per la vita, sia nella costituzione della persona, sia dell’Universo.
Tutti gli uomini hanno dato vita a questa contesa.
La morte concede il privilegio della prima mossa, ma il reverente terrore che il profano le permette di incutere vede irrimediabilmente perduta la partita, ancor prima che sia conclusa.
Il pensiero del trapasso ha il potere di annichilire. Porterà irrimediabilmente il profano a perseguire il piacere materiale, perdendo di vista l’obiettivo di “lasciare testimonianza della sua esistenza: l’unica vera immortalità”.
Di fronte alla oscura signora, il profano subisce emotivamente il suo effetto visibile e rimuove ogni elemento a lei legato, perdendo la capacità di comprendere il suo contenuto invisibile.
Sovente vediamo che in quelle case dove la nera parca ha falciato il fieno, i suoni sembrano attutiti, soffocati. Tutto è sommesso. L’olfatto percepisce l’odore acre del suo passaggio.
Ai bambini è vietato giocare, sorridere. Gli adulti hanno gli occhi infossati, arrossati dal pianto e dal dolore. Tutto è freddo, anche i colori più belli, in quei giorni sembrano spenti.
Il “sole” non riscalda i cuori di coloro a cui sono stati strappati gli affetti più cari.
La morte cammina fianco a fianco dell’uomo, ma il profano fa finta d’ignorarla. Eppure, nell’era della comunicazione di massa, non manca giorno che ci ricordi della sua presenza.
Da tempo immemorabile la scienza si batte per sconfiggerla. Lo scopo è quello di rimandare al più tardi possibile l’incontro.
Evitiamo di parlarne, partecipiamo marginalmente al lutto altrui.
Il profano, più legato alla materialità delle cose, è incapace di affrontare la propria natura, tanto che s’illude di esorcizzarla, disertando le esequie.
Meno se ne parla meglio è.
È un fatto che molti cercano di cancellare immediatamente dalle loro menti. In questa società non c’è posto per la “cultura della morte”.
La vecchiaia segna più rughe nello spirito che nel viso.
Montaigne
In questa nostra civiltà non assistiamo più alla saggezza degli anziani che affrontano con serenità e dignità il sopraggiungere della fine.
La nostra è una civiltà della fretta, della tecnologia avanzata, che teme la morte in maniera incredibile. Paura per questo momento c’è sempre stata, da Adamo in poi. Ma adesso c’è il terrore. Una volta, nemmeno troppi decenni fa, il tempo scandiva meglio le stagioni e anche la morte era un’immagine meno spettrale.
Lorenzo Bianconi
Perché la società ne rifugge il mistero? Cosa teme il profano, forse il dolore o l’ignoto?
Nella sua espressione teologica, seppur soggetta ad interpretazioni molto differenti, resta unitaria sul tema della finitezza e del travalicamento dei limiti dell’esistenza terrena.
La cultura occidentale ha elaborato due principali direzioni di pensiero che, tuttora, esercitano il loro influsso. Da una parte il dualismo “corpo-spirito”, che attraverso la morte e l’anima immortale si separa dalle spoglie mortali. Dall’altra vi è la concezione connessa alla fede che crede in un giudizio universale, premessa necessaria per poter beneficiare della resurrezione e dell’immortalità, che affonda le sue radici nella narrazione biblica del peccato originale e nelle dottrine apocalittiche.
Se la nostra società considera la morte un concetto negativo finale, come tabù, nel passato, il rapporto era di tutt’altra natura.
Nelle dottrine escatologiche delle culture antiche, era unitario: vita dopo la morte.
Per l’Antico Egizio non era l’ultima tappa, la fine del viaggio, bensì la continuazione dell’essere intelligente. La teogonia egizia ne ha fatto il tema stesso della vita.
Infatti, era profondamente radicata la convinzione che l’uomo, nascendo sulla Terra, morisse per il mondo dell’Aldilà. Le potenzialità umane di cui era dotato subivano una specie di battuta d’arresto. Per rigenerarsi era necessaria una rinascita, che poteva avvenire solo con la dipartita terrestre.
Ciò equivaleva al rinnovamento dello spirito, al ringiovanimento dell’Ego profondo. Il defunto diveniva allora un nuovo nato nella piena luce del giorno. Questo ci viene tramandato nel Libro dei morti egiziano.
Nel mito di Osiride gli egiziani vedevano il pegno di una vita terrena. Credevano, cioè, che l’uomo sarebbe vissuto eternamente se i suoi cari avessero fatto per il suo cadavere quello che gli Dei avevano fatto per il corpo del dio.
Il Libro tibetano dei morti, invece, prepara i vivi dopo la morte, razionalizzando il concetto: Dimmi quali sono i tuoi pensieri e ti dirò quali mostri, luci o tenebre vedrai ed incontrerai nel post mortem.
Dopo il passaggio, l’anima ritrova la somma di tutti i pensieri espressi durante la vita.
Per i “mistici” la morte ha un valore psicologico: libera dalle forze oscure, negative e regressive, dematerializza e libera le forze ascensionali dello spirito: se è figlia della notte e sorella del sogno, possiede, come sua madre, il potere di rigenerare. Ed ecco che, come concetto di morte, diventa “vettore” di trasformazione e rigenerazione.
L’imperturbabilità di Socrate, negli ultimi momenti della sua vita, è indubbiamente legata al concetto dell’immortalità. Se uomini mediocri riuscirono a farlo condannare a morte, sicuramente la sua esecuzione contribuì a renderlo imperituro.
Nella passione di Gesù, crocifisso per amore dell’umanità, alla morte sussegue la resurrezione.
Gesù, stando fra Giovanni e Pietro, disse: ho desiderato ardentemente di stare a mensa con voi in questa Pasqua, poiché vi dico che non la rinnoverò più, finché non sia compiuta, nel regno dei cieli.
L’ultima cena in tutta la sua semplicità esprime più di quanto si narra.
Secondo Schuré:
Questo atto simbolico e mistico è la conclusione ed il riassunto di tutto l’insegnamento di Cristo, ma è la consacrazione ed il ripristino di un antico simbolo d’iniziazione. Presso gli iniziati di Egitto, come presso i profeti e gli esseni, l’agape fraterna segna il primo grado d’iniziazione. Cristo, legando questi simboli agli apostoli, allarga gli intendimenti, estendendo all’umanità intera la fraternità e vi aggiunge il più profondo elemento, la forza possente dell’uomo, che è alla base del suo personale sacrificio. Egli forma la catena d’amore, invisibile, ma infrangibile, fra lui ed i suoi.
La Resurrezione ha assunto un significato prima e dopo il Salvatore, uno materiale e uno spirituale. Il primo è l’idea popolare, che finì per essere adottata dalla Chiesa, l’altro è l’idea profonda degli iniziati.
Così la morte perde il suo effetto distruttivo, viene considerata vettore di rinascita. Ha funzione di “rito d’iniziazione”, ci libera di tutto ciò che è terreno, comprese le pene e le preoccupazioni che la vita terrena comporta.
Abbandonato questo stato di imperfezione comincia un processo di rinnovamento, al quale possiamo accedere solo se ad esso iniziati. Dobbiamo permettere che la metamorfosi si compia.
L’iniziazione consiste nell’accettazione della morte come rito di passaggio. Dobbiamo serenamente abbandonare l’involucro profano per accedere ad una dimensione totale di Luce, dobbiamo toglierci la benda. Si deve morire per rinascere alla vita superiore.
Autore Rosmunda Cristiano
Mi chiamo Rosmunda. Vivo la Vita con Passione. Ho un difetto: sono un Libero Pensatore. Ho un pregio: sono un Libero Pensatore.