Quella sera mi hai chiesto del motivo per il quale, tu restassi ancora lì.
Pieno di me e delle mie “sempre pronte” risposte, ti dissi che se avevi ancora vita dentro di te, era merito di Dio; gli altri non c’entravano.
Quella stessa sera, dopo qualche ora da quell’accesa discussione, sei ritornato a Lui.
Per anni sei stato la mia fonte di ispirazione; il mio puzzle incompleto; il tassello da definire; il mio “me” perduto.
Questa volta eri partito per sempre, senza voltarti, senza darmi un bacio, senza di me. Eppure, quella sera, io nei tuoi occhi ho visto la “Luce”.
Uno splendore che non appartiene a questo mondo, a questa mia fisica dimensione, ma che in quell’istante impercettibile ha leggermente disvelato il tuo “nuovo” mondo.
Sotto la coltre ingannevole di quel nero lutto, ti ho “rivisto” per la prima volta nella parte onirica del mio spirito.
Giovane, come non lo eri mai stato in vita, all’inizio di un nuovo percorso, completamente ignaro di ciò che eri stato prima e di tutto quello che avevi fatto nel mondo degli uomini. Fluttuante come una piuma d’uccello, libero come un’aquila e spensierato come un infante, dopo i suoi primi vagiti.
La tua veste era candida e luccicante come la luna che riflette la luce solare nel mare d’estate: non c’erano, sul tuo volto, i segni del tempo e le fatiche dello spazio; quello che era stato prima, apparteneva al mondo che avevi lasciato, donando esclusivamente a me e al mio spirito dormiente il tuo “ultimo giorno”.
Perché solo io, quella notte? Perché soltanto tu e io, occhi negli occhi, uniti e disgiunti da quello splendore innaturale?
Ti son venuto a cercare nei miei ricordi, attraverso la memoria fanciulla che ancora risiedeva in me.
Ti ho smarrito nuovamente fra le miserie delle quotidianità, accusandoti più volte del mio stato di dolore; ti ho condannato e osannato; nascosto e ripreso una, dieci, cento e infinite volte ancora, fin quando una nuova lacrima in cui ti sei “racchiuso”, non ha bagnato nuovamente la mia vista appannata.
Sei “rinato” nella mia progenie, rompendo quel silenzio innaturale in cui alimentavi il tuo mutismo regressivo.
Nuovamente ricomparso nel mio cammino, hai poggiato la tua mano al centro delle mie spalle e sfregandola su di esse, hai originato un calore “divino” che mi ha riportato al tuo amore, al nostro senso velato di padre e figlio, uomo e uomo, essere in essere, spirito da spirito.
Quale sia il senso adesso non ho ragione di ricercarlo.
Ho una certezza però: il tuo ultimo giorno è diventato il mio primo dì senza di te in questa mia fisica dimensione ed è stato il tuo passaggio nuovo, nell’altra.
Quello che si è scatenato quella sera fra i due mondi che per qualche istante si sono allineati, è rimasto fisso e indelebile nella “certezza” della relatività del tempo.
Non esistono parole in grado di decodificare la cripticità delle sensazioni di quel momento d’Infinito.
Ora, molto più di prima, so di te cose che nel tempo vitale a noi concesso, nemmeno immaginavo.
E, mentre il sole giunge al tramonto da questa parte del mondo, per la più antica e cosmogonica legge naturale, sorge splendente dall’altra parte, smitizzando l’inganno dell”Ultimo Giorno’.
Autore Antonio Masullo
Antonio Masullo, giornalista pubblicista, avvocato penalista ed esperto in telecomunicazioni, vive e lavora a Napoli. Autore di quattro romanzi, "Solo di passaggio", "Namastè", "Il diario di Alma" e "Shoah - La cintura del Male".