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Little Italy e Big Africa, l’immigrazione è storia infinita

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Immigrazione


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Atroci esistenze che muovono milioni di esseri umani verso altri possibili e la sfida con la morte

Spaccava le pietre Simone, nel paese più remoto della Sicilia di un tempo. Usciva di casa quando il sole non aveva ancora rimosso il buio della notte.

Poi in cammino, per raggiungere la cava a 10 km e tornava la sera, quando l’oscurità spegneva la luce del giorno.

Ma quale casa…. Una stamberga di due piccole stanze, macchie di intonaco rimaste appese qua e là, tra le pietre delle pareti e la volta del soffitto.

Un tavolo e due sedie, una panca, un focolare con un pentolone penzolante annerito dal fuoco, pagliericci per giaciglio, nessun armadio, perché i vestiti non ci sono, solo maglie bucate a calzoni rattoppati, le scarpe non servono, si cammina scalzi nel paese e alla pietraia ci sono quelle di gomma che il padrone fornisce. Si mangia e dorme in 8 nella casa, perché 6 sono i figli, bocche da sfamare.

E allora spacca le pietre Simone… afferra la mazza pesante quanto un macigno e colpisci il masso, per fallo a pezzi sempre più piccoli sotto i colpi, uno dopo l’altro, sempre più faticosi, perché la schiena duole e si inarca, incurvandosi sempre più di ora in ora.

Le mani callose, adunche ormai per sempre, le ossa deformate da nodi che segnano le giunture, difficile tenere il cucchiaio per mangiare la minestra nel piatto metallico riempito a metà per lasciare spazio a un pezzo di pane quasi rancido da immergervi dentro.

Il sole frusta la pelle scura, il volto madido di sudore, che riga la fronte, gli occhi bruciano, la sete trova poca acqua a giustificare che è meglio così, perché persino bere è tempo perduto e anche urinare sottrae al lavoro i chili di pietre frantumate al giorno, e si riduce la paga già esigua.

Ha spaccato molte pietre Simone, quando la sera torna a casa a piedi nudi sulla strada polverosa, sperando nell’incontro di qualche carretto a traino di asino che il contadino del campo conduce al rientro nel cascinale. Brevi tratti, qualche parola, troppa stanchezza per dare fiato alla voce.

Ecco il paese, finalmente… piccolo, un sali scendi di vicoli senza asfalto disteso solo sulla via principale e la piazza centrale, con la chiesa a facciata bianca. Una breve sosta all’osteria per un veloce scambio di saluti con gli amici, anche loro distrutti dalla lunga giornata di lavoro nei campi.

Le solite cose, i soliti discorsi di gente stanca, logora, non c’è futuro, pochi ricordi… il matrimonio, la prima nascita, la morte di un caro congiunto.

Si parla sempre più della nave della speranza che va in America e dei treni verso il continente, diretti al nord, nel freddo e le nebbie di Torino, Milano, e poi la Germania… miti che muovono centinaia di migliaia di persone, uomini dalle schiene curve, mani indurite, occhi profondi, che scavano i volti dai solchi sulla pelle arsa dal sole, donne in nero, chiassosi bambini scalzi, la valigia di cartone legata con lo spago.

In America la Little Italy di Brooklyn.

Nell’Italia del nord l’alienazione nei sobborghi delle periferie più squallide o al centro della città nelle case abbandonate, perché non si affittano case ai meridionali, sta scritto sui cartelli appesi ai portoni degli stabili dalla parvenza più decorosi, neppure se hanno un salario di lavoro, puzzolenti come sono dagli oli delle fabbriche per costruire le macchine che i benestanti hanno sotto il sedere.

Cambia lo scenario degli esodi odierni.

Molti giovani, tanti italiani, emigrano verso terre lontane, Canada, Stati Uniti, Australia, in cerca di ulteriorità che non vedono possibili nel loro paese e disposti a impegnativi sacrifici pur di riuscire in qualche realizzazione.

Dall’Africa la miseria, la fame, l’abbandono, condizioni di totale indigenza anche dovute al permanere di forme di razzismo da parte dei discendenti di antichi coloni bianchi, inducono milioni di persone ad abbandonare il loro paese.

Attraversano deserti e foreste, diretti in Libia, per giungere al Mediterraneo e poi intraprendere un lungo e pericoloso viaggio verso l’Europa, alimentando le reti ad organizzazione internazionale per il traffico e la tratta di esseri umani.

Poco importa cosa faranno quando raggiungeranno la meta, se destinati a delinquere nel traffico della droga gli uomini, alla prostituzione le donne, al traffico di organi i bambini rapiti nei paesi d’origine.

I viaggi della speranza sono parte di una storia infinita dell’Umanità che si compie da quando l’uomo esiste. Grandi masse di esseri umani, che si muovono da un continente all’altro, alla ricerca di risorse per la sopravvivenza.

L’umanità ha origini africane. Con l’evoluzione della specie si creano le condizioni ideali per il processo di migrazione, denominato Out-of-Africa, verso Eurasia, Oceania e America. Popolazioni nomadi, che si insediano in territori che dispongono di risorse stabili di cibo.

L’Africa è la Culla dell’Umanità che ha colonizzato il pianeta, come testimonia il Cradle of Humankind in Sud Africa, che retrocede il tempo tra 3 e 2 milioni di anni con il ritrovamento dell’ominide estinto Australopithecus Africanus nella grotta di Sterkfontein, a circa 50 km da Johannesburg.

Come arginare, allora, i flussi migratori di popolazioni da un territorio all’altro?

Si tratta di un fatto insito nella natura umana, alla continua ricerca di risorse, di nuove fonti di sostentamento economico e alimentare, che migrano all’interno di un sistema sociale impreparato a questo grande fenomeno, che non è in grado di gestire e lascia prevalentemente alla deriva verso il sostrato sociale criminale.

La forza che spinge i migranti africani è la sopravvivenza, che emerge in tutta la sua grandezza dall’immagine che, in questi giorni, corre sui media, di un giovane del Togo che, allo stremo, aggrappato ad un legno della barca frantumata, sorregge una bimba semi annegata di 4 mesi, tenendola sulle spalle con la testa fuori dall’acqua, salvandola da una morte certa. Aveva già salvato altre persone quel ragazzo, tutte tratte in salvo dai soccorritori in mare.

Molti ancora arriveranno, alcuni moriranno, altri sopravviveranno… la storia infinita prosegue il proprio inarrestabile cammino.

Guardare con gli occhi, ma osservare con la mente l’immane bellezza dell’affermazione della vita a tutti i costi, abbandonando l’indifferenza.

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Autore Adriano Cerardi

Adriano Cerardi, esperto di sistemi informatici, consultant manager e program manager. Esperto di analisi di processo e analisi delle performance per la misurazione e controllo del feedback per l’ottimizzazione del Customer Service e della qualità del servizio. Ha ricoperto incarichi presso primarie multinazionali in vari Paesi europei e del mondo, tra cui Algeria, Sud Africa, USA, Israele. Ha seguito un percorso di formazione al Giornalismo e ha curato la pubblicazione di inchieste sulla condizione sociale e tecnologia dell'informazione.