Il referendum promosso dal comitato “No Triv”
E così la rete gioisce per l’arrivo del referedum abrogativo nato dall’azione del comitato “No Triv” che ha l’obbiettivo di fermare la selvaggia perforazione del territorio italiano alla ricerca matta e disperata di petrolio: la fame delle multinazionali petrolifere, si sa, non ha limiti tanto da spingerle ad allargare la ricerca non solo nelle zone di terra, ma anche verso il mare, verso aree ad alto rischio sismico e zone dove sono presenti risorse naturali e paesaggistiche da tutelare.
Abruzzo, Sardegna, Basilicata, Calabria, Liguria, Veneto, Puglia ,Marche ed il Molise sono le regioni che con la delibera da parte dei rispettivi consigli regionali consentiranno ai cittadini di presentarsi alle urne, forse già la prossima primavera, senza la necessità di raccogliere 500 mila firme. È stata proprio l’azione unanime da parte si associazioni, comitati, movimenti e personalità della cultura e delle scienze che ha portato le Assemblee regionali a deliberare a favore dell’iniziativa referendaria.
I sei quesiti referendari che sono stati analizzati ed accolti positivamente dalla Cassazione e dalla Corte Costituzionale chiedono l’abrogazione di un articolo dello “Sblocca Italia” e cinque articoli del Decreto Sviluppo e molti di questi riguardano le trivellazioni in mare, entro 12 miglia dalla costa. Il riferimento è all’articolo 37 che estendendo il divieto di trivellazione in mare alle 12 miglia va a riattivare 25 progetti che prevedono proprio estrazione e ricerca entro le 12 miglia e che erano stati bloccati dal governo Berlusconi. Altro punto importante è la richiesta di abrogazione dell’articolo 38 che di fatto trasferisce nelle mani di Roma le decisioni e la gestione delle richieste di ricerca e perforazione; l’obbiettivo è quello di ridar voce ad una gestione da parte delle Regioni e degli enti locali che però si mostrino rinnovati, lontani e disinteressati da meri interessi personali, come è stato in passato, ma che siano pronti ad una gestione onesta, democratica e partecipata di ciò che in fondo appartiene a tutti. Capofila dell’iniziativa è stata la Basilicata che , oltre a chiedere che non ci siano trivellazione entro le 12 miglia e che siano ripristinati i poteri alle Regioni, ha sottolineato come ci sia l’urgenza di mettere i cittadini al riparo dalle limitazioni del loro diritto di proprietà, perchè ad esempio, un articolo dello Sblocca Italia prevede che per 12 anni sia concesso il permesso di ricerca sui terreni privati alle società estrattrici. In Basilicata ci sono 70 impianti, senza contare tutti i pozzi aperti per le perlustrazioni e mai bonificati: si parla di un territorio quasi incontaminato, pieno di paesaggi naturali, ma profondamente segnato e “avvelenato” dalle trivelle; le notizie relative agli effettivi dati sulle emissioni e sul reale stato di inquinamento molto spesso sono stati modificati o addirittura resi irreperibili visto che non ci sono soggetti terzi, quindi autonomi dalle multinazionali, che si sono interessati alla situazione: in altre parole gli unici dati vengono direttamente dagli estrattori stessi che per di più finanziano anche corsi di formazioni, ricerca e master presso l’università lucana, senza la possibilità di essere verificate o smentite. Uno dei pochi soggetti oltre la Ola, Organizzazione lucana ambientalista che ha sempre cercato di informare in modo imparziale il popolo lucano, è stata la Professoressa Albina Colella, docente dell’Unibas, che con il suo studio, condotto insieme al tenente Giuseppe Di Bello, sull’inquinamento delle acque della diga del Pertusillo ha davvero aperto gli occhi a molti lucani.
L’obiettivo vorrebbe e dovrebbe essere quello di sostenere un processo di riconversione ecologica per salvare la nostra Penisola, ma nel frattempo si aspetta il parere della Consulta che si pronuncerà sull’ammissibilità dei quesiti referendari proposti solo a gennaio.
Autore Monica De Lucia
Monica De Lucia, giornalista pubblicista, laureata in Scienze filosofiche presso l'Università "Federico II" di Napoli.