Quattro morti e sessanta feriti ma se non fosse deceduto un deputato dell’Assemblea costituente, sarebbe caduto tutto nel dimenticatoio
Sembra la trama di un film drammatico invece fu una dura e triste realtà, una delle tante che afflissero quei tempi, dell’immediato dopoguerra, con i Savoia in esilio, gli americani dislocati nella Penisola e il Parlamento a lavoro per promulgare la Costituzione.
Uno dei deputati della Costituente, Gigino Battisti, di ritorno a Napoli da Roma, trovò la morte insieme a tre persone e allo zio di un ferroviere in quiescenza, Armando Minichini, autore del libro ‘Attraverso un lungo viaggio’ edito da Manna.
Di seguito un breve estratto, su cosa accade la notte del 14 dicembre 1946, due anni dopo la strage di Balvano (PZ), a cui abbiamo dedicato un precedente articolo.
Il 14 dicembre del 1946, mio zio Mario, capotreno a Napoli, morì nel tragico incidente di Minturno insieme ad altri tre viaggiatori e al Deputato della Costituente Gigino Battisti, si contarono inoltre circa sessanta feriti.
Il convoglio merci 9478, a causa della temporanea mancanza dell’alta tensione elettrica in linea, fu costretto a sostare all’allora Bivio Cellole, costruito dalle forze alleate americane a cui diedero il nome di Bivio Santa Fé al chilometro 149,567 della linea Roma – Napoli e, dopo circa due ore, si mosse autonomamente trasformandosi in un carico di morte, andando a scontrarsi con il treno Diretto 83, da pochi minuti partito dalla stazione di Minturno.
Fu accertato che, all’atto dell’impatto, la locomotiva elettrica del treno merci aveva ambedue i pantografi abbassati ed era priva della presenza del macchinista e dell’aiuto.
Il personale di condotta e viaggiante di quel treno decise di attendere il ritorno dell’alta tensione nell’ufficio del dirigente di movimento, abbandonando il convoglio irresponsabilmente in condizioni non sicure.
Alcuni anni fa nacque in me il desiderio di ricostruire le modalità dell’accaduto avvalendomi, inizialmente, solo delle scarne informazioni ricevute da mio padre.
Riuscii in seguito a risalire a tre testate di quotidiani dell’epoca che però riportavano poche notizie, non tutte veritiere e soprattutto contrastanti tra loro, che non fecero altro che alimentare ulteriormente le mie perplessità sulla vera causa dell’incidente.
In tempi più recenti, navigando nel web, ebbi la fortuna di imbattermi in una vecchia interrogazione parlamentare riferentesi al disastro ferroviario in oggetto, in una seduta che si tenne il 12 maggio 1947, alla quale fu data risposta in aula dal Sottosegretario di Stato di Grazia e Giustizia, Senatore Merlin.
Egli si avvalse dell’inchiesta affidata al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che accertò le cause dello scontro, condannando il macchinista, il suo aiuto, il capotreno e cinque frenatori del treno merci per disastro ferroviario, omicidio e lesioni personali colpose.
Nessuno del personale in oggetto infatti provvide, come da regolamento, alla immobilizzazione del convoglio e senza l’ausilio dei motocompressori della locomotiva elettrica priva di corrente, non potevano essere alimentate per garantire lo stazionamento del materiale.
Non è dato sapere di quale effettivo sistema di frenatura fosse dotato quel 9478, probabilmente da ‘frenatura continua integrata da freni a mano’, vista la presenza massiccia di frenatori, oppure addirittura di sola ‘frenatura a mano’.
Detto treno, completamente sfrenato, fermo su un tratto di linea con una pendenza in discesa del sei per mille circa, lato Minturno, aiutato da un forte vento a favore, iniziò lentamente a muoversi prendendo velocità e andandosi a fermare in piena linea a circa due chilometri dal Bivio a causa di un tratto in contropendenza.
L’impatto alle 23:30 con il treno Diretto 83 che da qualche minuto era ripartito da Minturno fu inevitabile. Il convoglio viaggiatori era affollatissimo poiché nell’immediato dopoguerra erano pochissimi i treni in circolazione sulla tratta.
Si presume che mio zio abbia invitato lo sventurato deputato Battisti che nel frattempo, durante la lunga sosta, si era recato a chiedergli informazioni circa quella prolungata fermata straordinaria a Minturno, a rimanere con lui nel bagagliaio e che con quella decisione segnò il destino suo, quello del deputato e delle rispettive famiglie.
La carrozza bagagliaio con la sua cassa in legno venne completamente distrutta e furono interessate anche le due vetture adiacenti che sviarono.
Mio padre mi raccontava che il giorno successivo alla disgrazia si recò con altri suoi fratelli sul luogo dell’accaduto e tra i rottami di quel convoglio intravidero il corpo inanimato e straziato del fratello Mario, ancora disteso in terra, senza assistenza alcuna, senza pietà, senza dignità.In quei tempi di scompiglio postbellico, in assenza di disposizioni certe e decise dall’alto, senza esserne autorizzati, spinti dal loro stato emotivo, fecero prevalere l’irrazionalità dell’istinto e decisero di caricare mio zio su un carretto di fortuna e lo riportarono a Napoli per dargli un degno ultimo saluto.
Oltre al danno… la beffa, mio zio fu sottoposto post mortem a procedimento disciplinare, sebbene non direttamente responsabile per l’accaduto, e retrocesso al profilo professionale di conduttore perché ritenuto responsabile della morte del deputato che, senza averne diritto, si trovava in una carrozza di servizio.
La moglie Gabriella, con i tre figli in tenera età, Giulia, Giuseppe e Armando, miei cugini, perse ogni possibilità di indennizzo economico e anche il diritto alla pensione di reversibilità per cui dovette fare una dura lotta per far riabilitare la figura del marito.
Tratto da ‘Attraverso un lungo Viaggio’ di Armando Minichini, Edizioni Manna, pp.23 – 27.
Autore Mimmo Bafurno
Mimmo Bafurno, esperto di comunicazione e scrittore, ha collaborato con le maggiori case editrici. Ha pubblicato il volume "Datemi la Parola, Sono un Terrone". Attualmente collabora con terronitv.