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L’Homo Googlis: il terzo giocatore a scacchi

il terzo giocatore a scacchi


Anche chi non conosce le regole, sa che cosa è il gioco degli scacchi.

Due persone sedute davanti a sessantaquattro caselle bianche e nere, entrambe con sedici pezzi. Sono avversari e hanno le stesse possibilità.

Si potrebbe pensare che il giocatore che muove per primo, il bianco, abbia il vantaggio della prima mossa, ma le statistiche dicono che è un vantaggio talmente minimo da essere, specialmente ad alti livelli, irrisorio. Sembra si riduca al 52%.

Il gioco si svolge nel più assoluto silenzio: la concentrazione è uno degli aspetti più importanti.

Chi segue anche solo occasionalmente i grandi eventi ricorda di sicuro i grandi scontri tra Korchnoi e Kasparov o il match più iconico di sempre nel 1972 tra Bois Spasskij e Bob Fishcher.

Immaginate la tensione, il pathos, l’impegno dei due giocatori che mettono tutti loro stessi in quel gioco. Sono padroni e condottieri del loro destino. E non importa se è la finale del campionato mondiale o una sfida tra amici.

I professionisti giocano per denaro; i dilettanti e gli amatori per sfidare loro stessi prima ancora dell’avversario. E ci mettono tutti la faccia, la reputazione, la dignità.

Spero avere reso l’idea di che cosa c’è dietro l’immagine di quei due combattenti; due gladiatori che si sfidano in un’arena che, per loro, è la vita.

Bene.

Adesso immaginiamo una terza persona che li guarda in piedi; immobile, in silenzio. Non si capisce il suo ruolo fino a quando, dopo una mossa, emette la sua sentenza con una frase del tipo: “

Dovevi mangiare il pedone.
Era meglio spostare l’alfiere.
Io avrei mosso la torre.

O altre simili perle di sapere.

Lui che non gioca e non si mette in gioco; che aspetta siano gli altri a fare una mossa; che non affronta la sfida e non ci mette la faccia. Ma è lì, pronto a giudicare, esprimere il suo non richiesto parere.

Se ciò accadesse e uno dei due giocatori non riuscisse a reprimere un sano istinto omicida, avrebbe ogni giustificazione ed attenuante possibile.

L’Homo Googlis è esattamente questo; è il terzo, inutile, giocatore di una partita a scacchi.

È colui che si limita ad aspettare che qualcuno prenda una posizione o faccia qualcosa online per criticare, per dire che lui lo avrebbe fatto meglio o che, comunque, chi lo ha fatto non ha raggiunto i suoi eccelsi livelli.

Il terzo giocatore a scacchi, o il quinto a briscola, è probabilmente la manifestazione più bassa di quei soggetti che Umberto Eco aveva definito ‘legioni di imbecilli’ a cui Internet e i social hanno concesso il diritto di parola e della loro esistenza ne abbiamo costanti prove ogni giorno.

Basti pensare alla categoria degli hater professionisti, la cui unica ragione di vita è quella di criticare e provare a distruggere, magari protetti da un vigliacco anonimato, chiunque faccia qualcosa in rete.

Esempi?

Quanti commenti trovate su un tutorial su YouTube pieni di

io avrei fatto meglio

o

è tutto sbagliato

senza offrire un parere costruttivo?

Altri commenti, che troviamo su post e articoli, con frasi

chi scrive queste cose ha tempo da perdere.

Risponderei che qualcuno lo ha perso – forse – leggendolo.

Molte foto o progetti sono inondate di commenti critici solo distruttivi o denigratori.

Possiamo trovare anche chi sentenzia l’iniziativa di un ‘Concerto di capodanno’ perché c’erano solo un pianoforte e un violino e hanno osato utilizzare un termine che impone la presenza di un’intera orchestra. Però, lui, si guarda bene dall’organizzare anche una festa rionale e aspetta la prossima iniziativa per poterla contestare.

Ciò a dimostrare che il terzo giocatore a scacchi esiste anche al di fuori dei social, su queste piattaforme ha trovato la sua dimensione naturale e, chissà, la sua ragione di vita che ben potrebbe essere diventare amministratore di un gruppo su qualsiasi argomento e gestirlo in maniera dittatoriale con il ban nei confronti delle voci dissenzienti.

L’Homo Googlis è una manifestazione della nostra personalità moderna, la terza che abbiamo oltre a quella fisica e all’identità digitale; lui è l’uomo con uno smartphone come naturale estensione della mano e un nuovo modo di pensare basato sulla macchina. Perché è l’uomo che si adatta a questa e non viceversa.

In tale adattamento, la critica facile e la mancanza di impegno reale diventano i tratti distintivi di una nuova forma di mediocrità, elevata dall’anonimato e dalla sicurezza di uno schermo.

E ora aspettiamo i commenti.

Autore Gianni Dell'Aiuto

Gianni Dell'Aiuto (Volterra, 1965), avvocato, giurista d'impresa specializzato nelle problematiche della rete. Di origine toscana, vive e lavora prevalentemente a Roma. Ha da sempre affiancato alla professione forense una proficua attività letteraria e di divulgazione. Ha dedicato due libri all'Homo Googlis, definizione da lui stesso creata, il protagonista della rivoluzione digitale, l'uomo con lo smartphone in mano.

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