Giugno 2018
Il giorno 8 di questo mese è caduto il settimo anno di matrimonio con Helen. Il suo regalo è stato la “Nave in bottiglia” della linea Lego Ideas, il gruppo di lavoro dell’azienda danese che, attraverso concorsi quadrimestrali, seleziona e sviluppa i progetti presentati dai propri fan che abbiano ottenuto almeno diecimila preferenze dagli altri utenti. L’ultimo quadrimestre del 2016 vide vincitore Jacob Sadovich, americano dell’Idaho, proprio con la nave in bottiglia. Il cartiglio sulla base dove poggia la bottiglia ne riporta il nome: “Leviathan”, il mostro biblico, probabilmente ricordo in senso negativo del dio egizio Sobek che, nascosto sotto il nero limo del Nilo, portava vita dalla distruzione, signore degli abissi marini in cui la luce non aveva la forza di penetrarvi. Leviatano, timore di naviganti e indagatore dei profondi bui dell’animo umano, nei secoli d’oro della marineria è stato nome di varo per molte grandi navi, come a chiedere clemenza e, perché no, protezione a quella divinità delle profonde oscurità cavalcate dagli uomini. La mia curiosità è stata tanta, così ho cercato notizie su questa nave e sono saltati fuori, come in un libro animato, velieri ed ammiraglie varate con questo nome. Una di queste navi fu costruita nel 1785 per la VOC (Vereenigde [Geoctroyeerde] Oostindische Compagnie), la Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Nel 1787 salpò dal porto di Amsterdam con destinazione l’isola di Ceylon, l’odierno stato di Sri Lanka. La curiosità è iniziata a crescere principalmente per due motivi: il primo è che mia moglie ha origini srilankesi, il secondo è che sua madre appartiene ad una famiglia, i Grabau, di ascendenza tedesca ma che arrivarono sull’isola, poco più di due secoli fa, proprio attraverso la VOC. Il diario di bordo della “Leviathan” riporta un appartenente alla famiglia Grabau, Jurgen Hendrik, che il 9 gennaio di quel 1787 si imbarcò a bordo della Leviathan come soldato, un “werfofficier” cioè un ufficiale addetto alla cantieristica navale. Non conosco la sua storia, forse Ceylon era la sua destinazione finale in uno dei due porti principali dell’isola di Colombo e Galle. Quest’ultima, nel sud dell’isola, è una città caratteristica soprattutto per il forte a picco sul mare con le alte mura difensive e il borgo coloniale in cui ancora oggi campeggia la tipica sigla intrecciata VOC sui vetri di alcune finestre e porte degli edifici che furono della Compagnia. Proprio a Galle a tutt’oggi fioriscono i discendenti dei primi Grabau che approdarono nella vecchia Ceylon. Come altre famiglie srilankesi anche questa, avendo nella propria genealogia sangue europeo, appartiene al gruppo dei “burghers” in cui sono ancora vive alcune caratteristiche per nulla autoctone come l’uso della lingua inglese, l’utilizzo di nomi europei, la forte cristianizzazione soprattutto di tipo protestante, la cucina, l’abbigliamento, fino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile, quasi proibito alle donne burghers indossare il sari, e il ricordo delle proprie particolari storie di famiglia, anche se spesso velati dalle nebbie dei racconti tramandati oralmente. Tra questi ricordi nella famiglia Grabau, che annovera altri antenati mitteleuropei che portavano cognomi come Bastiansz o Franciscus o portoghesi come Da Zilva, storpiatura olandese del cognome Da Silva, ma questa è un’altra storia in cui sono protagonisti oltre agli olandesi anche i portoghesi e la coltivazione della cannella, di Jurgen Hendrik se ne era perso il ricordo, o forse non c’è mai stato per un motivo semplice: il diario di bordo ne registra la morte in mare cinque giorni prima dell’arrivo a Ceylon. Non vide mai la “Lacrima dell’India”. Chi viene invece ricordato è Jan, anch’egli al servizio della VOC, comandante dello schooner “Nancy” tra la fine del Settecento e gli inizi del XIX secolo.
Non si conosce con esattezza quando un ramo della famiglia Grabau lasciò la Germania per i Paesi Bassi, ma già nei primi anni del Settecento rappresentati della famiglia risultano al servizio della VOC. Un suo altro ramo si diramò in Italia negli in cui i primi Grabau si imbarcarono per l’Asia al soldo della Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Questo ramo ebbe origine con Karl, banchiere e armatore di Amburgo trasferitosi a Livorno agli inizi dell’Ottocento come Console Generale delle Città Anseatiche del Mare del Nord presso il Granducato di Toscana; altro Karl Grabau, nato anch’egli ad Amburgo circa 150 anni dopo, fu un capitano delle SS di stanza in Ungheria, ma anche questa è un’altra storia. Ammesso alla nobiltà volterrana nel 1832 e a quella livornese nel 1836, ai sui discendenti appartiene ancora oggi Villa Grabau nella provincia lucchese.
Ritornando alla “Leviathan”, questa faceva parte delle navi di grossa stazza della Compagnia, una nave cosiddetta “a specchio”, raggiungendo la lunghezza di 150 piedi, ovvero quasi 46 metri, e un carico massimo di 1150 tonnellate. Non se ne conosce molto altro, se non la rotta che seguì in quel viaggio. Salpò martedì 9 gennaio del 1787 dal porto, per conto della Camera di Amsterdam, arrivando dopo 107 giorni di navigazione, giovedì 26 aprile, a Capo di Buona Speranza, Kaap de Goede Hoop. Questo avamposto della VOC era, oltre che strategico, un importante centro di rifornimento per le navi dirette in Asia, dove la Compagnia aveva a Batavia, l’odierna Giacarta sull’isola di Giava, il proprio comando operativo. Passarono altri 23 giorni prima che la Leviathan ripartisse, era il 19 maggio. Sette mesi in mare passarono prima che la nave attraccasse a Ceylon, esattamente trascorsero 183 giorni, ma Jurgen Hendrik non toccò più terra da quando aveva lasciato Amsterdam, morì in mare il 6 luglio 1787. Era un venerdì, come lo è stato l’8 giugno di quest’anno.
È straordinario quanto basti davvero poco perché le chiavi che concatenano le conoscenze si palesino, come in un hessiano “giuoco delle perle di vetro”. L’anniversario di matrimonio e una piccola nave fatta di mattoncini ideata da un ragazzo dell’Idaho nel 2016 hanno legato tra loro avvenimenti accaduti due secoli e mezzo fa e la famiglia materna di mia moglie. La leggendaria Compagnia Olandese delle Indie Orientali ha trovato la strada per giungere all’Hansa e da qui a Livorno, Lucca e Volterra. Un viaggio che ha connesso un capitano delle SS alla leggenda ebrea del Leviatano, fino ad arrivare alle piantagioni di cannella in Sri Lanka e ad un comandante di uno schooner vissuto a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento. Tante piccole perle di vetro lucente lanciate sulla sabbia che hanno smosso con tonfi sordi, toccandosi e battendo l’una contro l’altra quel tessuto mutevole chiamato spazio-tempo.
Autore Fabio Picolli
Fabio Picolli, nato a Napoli nel 1980, da sempre appassionato cultore della conoscenza, dall’araldica alle arti marziali, dalle scienze all’arte, dall’esoterismo alla storia. Laureato in ingegneria aerospaziale all'Università Federico II è impiegato in "Leonardo", ex Finmeccanica. Giornalista pubblicista. Il Viaggio? Beh, è un modo di essere, un modo di vivere!