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‘Lessico famigliare’ di Natalia Ginzburg

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'Lessico famigliare' di Natalia Ginzburg


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Un libro meravigliosamente attuale soprattutto in tempo di Coronavirus

All’inizio di questa seconda fase del Coronavirus, guardandoci indietro, possiamo iniziare a tirare le prime somme su quello che abbiamo perduto e cosa invece abbiamo acquistato in questa convivenza forzata con noi stessi, ma soprattutto con gli altri.

Sì, perché nel bene e nel male, nell’impotenza di poter essere in relazione con il mondo in cui abitualmente viviamo, ci siamo dovuti affidare ai social network, principale risorsa usata per comunicare con amici, parenti ed altre persone che orbitavano intorno la nostra vita, ma anche per avere una finestra costantemente aperta affacciata sul mondo.
Una finestra dove dare o recepire informazioni e poter dialogare e per avere scambi di vedute su diversi argomenti.

La cosa più evidente che abbiamo scoperto è che non siamo più capaci di conversare gli uni con gli altri. Troppi contrasti, troppe incomprensioni e troppi invalicabili muro contro muro.

Ci sono davvero infiniti motivi perché tutto questo accade ma non siamo qui per parlarne. Ci sono tante persone che potrebbero approfondire l’argomento meglio ed in maniera molto più qualificata del sottoscritto.

Proverò, invece, a dare semplicemente un’interpretazione di cosa ho compreso io su tale argomento in questo periodo e cercherò di farlo in maniera trasversale attraverso uno dei libri che ho letto durante questa quarantena, in verità forse uno tra i più significativi che abbia mai letto in vita mia e sto parlando di ‘Lessico famigliare’ di Natalia Ginzburg.

Natalia Ginzburg, nasce a Palermo nel 1916 da Giuseppe Levi, ricordato anche per essere stato maestro di tre premi Nobel come Rita Levi-Montalcini, Renato Dulbecco e Salvador Luria, e da Lidia Tanzi. Padre ebreo e madre cattolica, è l’ultima di cinque figli e cresce come attenta e acuta osservatrice delle dinamiche familiari.

Una famiglia ebraica inevitabilmente segnata dalla nascita del Fascismo, dalle sue politiche razziste e dalla guerra. Infatti crescerà e si formerà insieme agli elementi di spicco dell’Italia Antifascista di Torino, città nella quale si trasferisce subito in tenera età, fino a sposare Leone Ginzburg, antifascista torturato ed ucciso nel 1943, da cui erediterà il cognome e che non lascerà più dopo la morte del marito. Sarà una delle figure femminili di primo piano della cultura del Novecento italiano.

Nel 1963 vince il Premio Strega per ‘Lessico famigliare’, libro che sarà ricordato come il suo più rappresentativo, che narra la storia dei suoi parenti dagli anni Trenta a Cinquanta. Su tutte prevale la figura enorme del padre, poi ci sono la madre Lidia ed i fratelli maggiori Paola, la prima moglie dell’industriale Adriano Olivetti, Mario, Alberto e Gino.

Per capire il perché leggere questo libro in piena pandemia è stato così stridente ecco un piccolo passo:

Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c’incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia.
Ci basta dire: «Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna» o «De cosa spussa l’acido solfidrico», per ritrovare ad un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi o parole. Una di quelle frasi o parole, ci farebbe riconoscere l’un con l’altro, noi fratelli, nel buio d’una grotta, fra milioni di persone.

Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei nostri giorni andati, sono come i geroglifici egiziani o degli assiro-babilonesi, la testimonianza d’un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo.

Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e risuscitando nei punti più diversi della terra quando uno di noi dirà – Egregio signor Lipmann, – e subito risuonerà al nostro orecchio la voce impaziente di mio padre: – Finitela con questa storia! L’ho sentita già tante di quelle volte!

In questo breve brano salta subito all’occhio che la famiglia Levi abbia sviluppato un tipo di linguaggio che non solo la identifica proprio in quanto “Famiglia Levi”, quasi come un codice, ma anche come se il lessico avesse la duplice funzione identificativa e mnemonica.

Il romanzo continua a raccontare le varie vicissitudini della famiglia e gli orrori del fascismo e lo fa però attraverso le vite private delle persone reali alle quali ci affezioniamo e con le quali entriamo in empatia come succede con il giovane Cesare Pavese, carissimo amico di Leone marito di Natalia, che mangia le ciliegie dal sapore di cielo mentre percorre la strada per fare visita ai coniugi Ginzburg; quando legge l’Illiade in greco cantilenando i versi nelle ore di pausa dalle revisioni di bozze in casa editrice.

Quindi come si riallaccia questa opera alla premessa di questo articolo? Personalmente vi ho trovato la potenza di un linguaggio capace di legare tante persone così diverse attraverso un filo rosso, un lessico in grado di evocare, tramite determinate parole che appartengono alla sua famiglia, non solo un’identità ben precisa, ma anche la capacità di tornare a specifici ricordi.

E poi, vedo noi, ad insultarci sopra delle pagine che nemmeno esistono, incapaci di capirci gli uni con gli altri. E vedo, con tristezza, quanto siano diverse il peso di quelle parole che, a differenza di quelle di Natalia, si dissolveranno come granelli di sabbia nel vento dell’etere.

Autore Marco Trotta

Marco Trotta è nato a Napoli nel 1981. Laureato in Conservazione dei Beni Culturali con indirizzo Storico-Artistico alla S.U.N. con una tesi sul restauro del Duomo di Napoli. Ha conseguito un master regionale di “Rilievo architettonico per i Beni Culturali”. Restauratore di beni culturali e poi catalogatore per la Soprintendenza di Caserta. Attualmente è anche redattore per Campaniarock.it e per la prestigiosa Art apart of culture.