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L’esercito più piccolo del mondo, intervista a Gianfranco Pannone

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Gianfranco Pannone


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ExPartibus protagonista di una conferenza stampa didattica al Suor Orsola

Napoli, 12 aprile, ore 15:00, Sala Villani, Università Suor Orsola Benincasa. Abbiamo avuto l’onore di essere invitati dall’Ateneo a partecipare alla presentazione del docu-film ‘L’esercito più piccolo del mondo’ di Gianfranco Pannone, e di avviare, come testata, una particolare conferenza stampa per stimolare la discussione con gli allievi del Master in Cinema e televisione del SOB, coordinato dal prof. Arturo Lando, che vede proprio il prof. Pannone docente di regia, e con quelli del Corso di Estetica del Cinema tenuto dallo stesso prof. Lando, che funge in quest’occasione da moderatore.

La particolarità dell’appuntamento sta nel fatto che l’evento rientra in un momento altamente formativo per alcuni degli studenti del SOB. Come spiegherà nel dettaglio il prof. Lando, aprendo i lavori, tramite la proiezione del docu-film si è esplorato il mondo della settima arte e, al contempo, si è cercato di trasmettere le regole di base della comunicazione giornalistica per permettere ai ragazzi di scrivere un articolo da considerare come crediti formativi nell’ambito del laboratorio didattico.

Prima della proiezione del film, con cui Pannone ha recentemente vinto il Nastro speciale d’Argento, uno dei più prestigiosi premi cinematografici nazionali, assegnato dal Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani, lo stesso regista introduce brevemente il suo lavoro. Come farà spesso anche dopo, si sofferma sul grande privilegio di essere stato scelto a dirigerlo e chiosa dicendosi felice della proiezione al SOB, cui è molto legato.

Girato in minima parte in Svizzera e in Italia e maggiormente a Città del Vaticano, il documentario, quasi interamente in lingua tedesca con sottotitoli in italiano, descrive con estrema delicatezza e da una prospettiva interiore, le storie dei ragazzi che ogni anno, a turno, entrano come Guardie Svizzere.

È un film per me molto importante che rispecchia una situazione interessante del Vaticano, conosciuto troppo come luogo segreto in cui aleggia, però, tanta fanta-storia. Non pensavo, invece, di trovare un’apertura tale da permettermi di riportare determinate considerazioni, dubbi e prese di coscienza.

Forse il film non si sarebbe realizzato senza il cambiamento radicale operato nella chiesa da Papa Francesco, aprendo al mondo le porte del Vaticano. Con un’intimità inaspettata, lancia un grande segnale, rimane se stesso e ci mette tutti di fronte al fatto che prima di giudicare dobbiamo capire.

Abbiamo provato ad andare oltre l’idea dei ragazzi che indossano delle bellissime divise, oltre la coreografia, per focalizzarsi sulle loro vite reali, sul quotidiano. Il poterlo girare in otto mesi, in una sorta di work in progress, è stato determinante per mostrare, nel passare delle stagioni, la consapevolezza che matura, il loro diventare soldati, la loro umanità che fuoriesce.

È diviso in scene, senza voci fuori campo né interviste, ma l’allestimento è esattamente come quello di un film di finzione.

Pannone è, infatti, uno degli iniziatori della scuola documentaristica italiana che sta riscuotendo molto successo. Gli 86 minuti de L’esercito più piccolo del mondo’ scivolano via in modo fluido e restiamo incantati dalla profonda sceneggiatura, dall’umanità che trasuda nei dubbi del protagonista, René, nel suo chiedersi se la Guardia Svizzera non sia forse un residuo anacronistico di una tradizione di più di 500 anni e se sia stata una buona idea entrarvi. Poi si risponde che l’uniforme variopinta è un simbolo della Chiesa come desidera che sia: colorata e non grigia, che parli con il mondo, composta di innumerevoli singole parti eppure unitaria nella molteplicità di sfumature cromatiche.

Molto intensa la sua rievocazione dei primi dieci minuti della guardia come particolarmente eccitanti, cui subentra poi il timore di non farcela a reggere le due ore di sentinella che restano indescrivibili nella loro eccezionalità.

Le riflessioni del protagonista sono toccanti proprio perché condivisibili, empatiche, concrete. Mostrano la sua profonda fede, ma anche la fragilità umana. Gli interrogativi che lui e i compagni si pongono all’interno di Città del Vaticano sono, in effetti, gli stessi di chi è all’esterno.

Si colgono soprattutto le emozioni di ognuno di loro, sintetizzabili, forse, nella sequenza in cui René, di fronte alla porta della Cappella Sistina che si apre a sorpresa, ha un groppo in gola e si trova improvvisamente catapultato nel mezzo della storia.

Stupende le immagini che ritraggono i ragazzi che fanno footing nei giardini vaticani, che si arrampicano sul muro per gettare un occhio al mondo esterno; o ancora che, fuori servizio, escono per la città eterna e sorridono dei balli in piazza, che si stupiscono del traffico caotico, che leggono non solo la Bibbia, ma anche libri che divorerebbe un qualsiasi coetaneo.

Significativi i dialoghi semplici, come la scelta di non raccontare ai nuovi conoscenti il proprio lavoro per evitare che la conversazione venga monopolizzata o l’inopportunità di alcuni turisti che li fotografano come fossero buffi elementi di folklore.

Militari consapevoli dell’importante missione, ma anche giovani comunissimi che guardano sul web le imitazioni che Crozza fa del Santo Padre. Situazioni di routine intervallate da momenti altissimi, dunque.

La fotografia del documentario è impeccabile e non solo per lo scenario incantevole e straordinario; anche le inquadrature più consuete della pioggia o dei gabbiani di Roma sono assolutamente perfette.

I primi piani dei ragazzi, a tratti, addirittura poetici nel raccogliere punti di vista interiori, preoccupazioni, timidezze, emozioni. Il di più è dato proprio dal dietro le quinte: giovani normali, con fede, speranze e fragilità nella loro quotidianità.

È il turno delle domande al regista e il prof. Lando invita me e Michele Ferigo, caporedattore eventi di ExPartibus, ad accomodarci al tavolo affinché questa particolare conferenza stampa abbia inizio e coinvolga, quanto più possibile, gli studenti.

Il film è ricchissimo di spunti. Partiamo dal diario di René per sapere se iniziare a scriverlo sia stata una sua libera iniziativa e, nel caso, quanto abbia influito nella scelta della scrittura o se sia stato pensato successivamente e da lì sia poi stato costruito il percorso interiore narrato.

Quando realizzo un film documentario uso la realtà. Il diario esisteva già, ma l’ho capito dopo un lavoro preliminare di frequentazione con il ‘testimone’, persona vera e non attore. Prima di tutto, ho cercato di creare un rapporto di fiducia con ognuno di loro e sono andato a trovarli per vedere come vivessero la loro quotidianità in famiglia.

Ogni mese giravo un pezzetto di film e ciò mi permetteva, eventualmente, di correggere il tiro. Dopo le prime battute delle riprese ho capito che il diario che René aveva iniziato a scrivere da casa era significativo, e con il consenso suo e del superiore, l’ho fatto tradurre scegliendo i brani da utilizzare.

Non pensavo potessero esserci considerazioni così profonde come quella “che ci facciamo con abiti rinascimentali?” È stata una bellissima sorpresa trovare una Guardia che si interroga in modo tanto intenso. La settimana scorsa René mi ha detto che sta continuando a trascrivere le sue emozioni e ha iniziato a scrivere il quarto quaderno.

Il girare in un ambiente tanto particolare che tipo di difficoltà può creare ai ‘testimoni’, anche da un punto di vista della direzione? Mentre il regista dà all’attore indicazioni specifiche, visto il pregresso esperienziale e lavorativo su cui potersi basare, che approccio si adotta con un testimone, un non professionista, che presta alle esigenze sceniche se stesso, il suo vissuto, la sua interiorità più profonda, come accade a René?

I ragazzi avevano una grande difficoltà iniziale, coniugare la presenza di una telecamera con il loro addestramento militare. C’è voluto un po’ di tempo, ovviamente, perché si sciogliessero. Se avessi dovuto concentrare il film in un mese, non avrei potuto usare queste forme di espressione, piuttosto optare per altri tipi di scelte, come ricorrere alla voce fuori campo o realizzare delle interviste.

Erano condizionati dalla macchina da presa e, proprio per questo, con il benestare del capo delle Guardie, ho continuato a frequentarli indipendentemente dalle riprese, per instaurare con loro un rapporto di familiarità, così che si abituassero alla mia presenza. Mi piace far capire alle persone che giro ad altezza d’uomo, che non le sto affatto giudicando, che cerco un dialogo, uno scambio. Chiacchieravamo anche di altro, per abbattere il muro di riservatezza derivante dal fatto che si sentivano doppiamente giudicati, sia come soldati, sia come interpreti.

Nel documentario è la macchina da presa che deve adattarsi ai testimoni cercando di non inibirli e di essere il meno invasiva possibile. Tante le riprese sul cavalletto, ma molte di più con la macchina a spalla; nella vita quotidiana o nelle esercitazioni è il regista a doversi adeguare, non può certo invitare a ripetere i movimenti, cosa peraltro improponibile durante gli addestramenti.

Per la buona riuscita di un documentario occorrono lunghi piani sequenza per far sì che le situazioni si sviluppino con naturalezza, ma, raggiunto un certo grado di confidenza, se l’argomento trattato è particolarmente importante, è possibile invitare ad approfondire con riflessioni più mirate e sempre spontanee.

In questo sta la differenza tra agire da documentaristi, avendo a disposizione testimoni, rispetto a fare i registi di finzione che dirigono gli attori.

Può accadere anche di trovarsi di fronte attori nati, come René, straordinario e a suo agio nel muoversi e parlare, ma anche nella determinazione con cui espone le sue considerazioni teologiche.

Nel frattempo, la platea di studenti, letteralmente ipnotizzata dalle spiegazioni di Gianfranco Pannone, inizia ad intervenire. Il Prof. Lando fa da tramite e legge alcune domande scritte dai pochi ancora timorosi. L’esperimento di questa originale conferenza stampa sta funzionando; dopo aver rotto il ghiaccio, qualche allievo, totalmente affascinato, prende la parola. La curiosità riguarda, stavolta, come sia stato avvicinare Papa Francesco e perché non lo sia mostrato più in primo piano.

Ciò che mi è stato chiesto dal Centro Televisivo Vaticano che co-produce il film, e, in particolare, da Mons. Viganò, attuale Prefetto della Segreteria per la Comunicazione, nonché studioso di cinema, era di lasciare quasi sullo sfondo Sua Santità, concentrando, appunto, l’attenzione sulle Guardie per realizzare non un film istituzionale, ma una pellicola che raccontasse un punto di vista personale con uno sguardo narrativo e d’autore.

Il Pontefice doveva apparire nella situazione reale, quasi irraggiungibile, ad esempio, mentre passa sulla papamobile, tra folla, alle spalle di René, visibilmente emozionato e teso perché consapevole del suo compito. La presenza del Santo Padre è comunque costante, magari anche solo attraverso la voce che si sprigiona in piazza San Pietro.

Uno dei momenti più forti è stato l’averci permesso di seguirlo nella sua camminata. Avevo il grande vantaggio di avere con me il suo operatore personale, Cesare Cuppone, e, data la grande confidenza tra loro, spesso il Papa sorrideva alla camera.

Mi ha sorpreso, in positivo, l’apertura che ho trovato sia al Centro Televisivo Vaticano che alle Guardie Svizzere; ho capito il margine di libertà che avevo quando mi hanno permesso di trasmettere il dialogo tra René, l’intellettuale, e Leo, il contadino, su Michele, cittadino svizzero di origini lucane, che nel tempo libero si dedica alla cucina; o quando alla Guardia che sta per andare a fare il suo turno viene detto ‘divertiti’.

È stata una grande soddisfazione poter veicolare una storia avvincente senza che i ragazzi apparissero come ‘belle statuine’, ma come esseri umani.

Le domande continuano e qualcuno dei ragazzi, dalla sala, chiede quale sia stato il vero fattore stimolante che ha spinto Pannone a girare ‘L’esercito più piccolo del mondo’

Viviamo di questo lavoro, ma, ovviamente, non è solo questo. Mi sono appassionato molto grazie anche al fatto che mi è stato chiesto uno sguardo personale sulle Guardie Svizzere. A spingermi a fare qualcosa di nuovo è sempre una curiosità molto forte; quando mi si offre la possibilità di raccontare una realtà particolare non mi tiro mai indietro.

Nei miei 26 anni di carriera ho sempre cercato di riportare le situazioni da tutti i punti di vista possibili; evidenziare come questo nostro Paese sia anche irritante, perché estremamente contraddittorio, ma proprio per questo bello da raccontare in tutte le sue innumerevoli sfaccettature.

È anche un discorso di fede; sono cristiano ma, a volte, faccio fatica ad accettare tante contraddizioni della Chiesa. Mi è parso un privilegio non da poco poter indagare personalmente un luogo così carico di grandi tradizioni, che però, spesso è avvolto da un’immagine stereotipata. Una bellissima sfida che mi ha arricchito molto.

Come è stato portato a scegliere i protagonisti del film, chiedono ancora dal pubblico.

Prima di iniziare a girare il film sono andato due volte in Svizzera ad incontrare i ragazzi nel loro ambiente naturale su suggerimento del reclutatore delle Guardie, che meriterebbe un documentario a parte; ha il compito non facile di selezionarli e sceglierli, considerando anche che la Svizzera è un Paese a forte vocazione Protestante. Analizza molto il loro risvolto psicologico, assicurandosi, ovviamente, che abbiano la testa a posto, provengano da famiglie solide che vivono secondo i precetti del cattolicesimo e che abbiano la fedina penale pulita.

Nel caso di Leo, di origine contadina, il collante emozionale è fondamentale; per questo ho chiesto ed ottenuto di poter riprendere anche i suoi colloqui via Skype con la famiglia, cui è legatissimo. René, provenendo invece da una famiglia medio borghese, è più indipendente, ma mi era stato già segnalato dal reclutatore per la sua profondità. Infine, Michele, l’immigrato di seconda generazione, subentrato in un secondo momento; date le sue origini italiane aveva un punto di vista più completo degli altri; inoltre ha sfatato il mito di Guardia Svizzera che deve per forza essere alta, essendo entrato per appena un cm. I ragazzi non erano affatto obbligati a partecipare al film, sceglievano liberamente se prendervi parte attiva o rimanere più in disparte, magari per timidezza, come alcuni di loro hanno fatto.

Ci avviamo ormai verso la fine di questa particolare e splendida conferenza stampa e la parola torna di nuovo a noi. Al di là dell’onore immenso di servire il Santo Padre, è emerso che le Guardie Svizzere, con totale spirito di abnegazione e tanto lavoro, mettono a repentaglio la loro incolumità fisica giurando di difenderlo a costo della vita, facendogli così da scudo umano. E, seppure i ragazzi abbiano vitto, alloggio e stipendio, appartenere a questo corpo militare non è certo una sorta di collocamento lavorativo, dato che in Patria lasciano un impiego. Si tratta di un palpabile percorso emotivo e di fede. Invitiamo il regista ad approfondire le motivazioni che inducono i ragazzi ad intraprendere questo affascinante percorso.

Ho scelto di fare quel prologo sulla provincia svizzera e riprendere le Alpi dall’aereo, per dare l’idea di come questa Nazione sia, al contempo, così vicina eppure così lontana nel mondo, un Paese sì molto ricco, ma anche, a tratti, chiuso.

Sicuramente la scelta di questi ragazzi è dettata da tre aspetti prioritari: innanzitutto la fede fortissima; il desiderio di fare un’esperienza fuori dai propri confini, anche se spesso temporanea, circa l’80% di loro, trascorsi i due anni di servizio, rimpatria; la certezza di uno stipendio che permette loro comunque di mantenersi.

Il tempo a nostra disposizione è terminato, i ragazzi del Master devono tornare in aula. Il Prof. Lando, soddisfatto dell’interazione degli studenti, li invita a redigere il loro articolo sulla presentazione del documentario, basandosi sui molteplici aspetti evidenziati durante l’intenso laboratorio.

Nel salutarci Gianfranco Pannone ci svela che, nei prossimi mesi, il dvd de ‘L’esercito più piccolo del mondo’ sarà disponibile in edicola e in libreria. Non resta che aspettare per acquistare la nostra copia.

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Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.