Entusiasma la pièce di Pasquale Ferro liberamente ispirata al ‘Riccardo III’
Lunedì 23 maggio, ore 21:00, presso il Nuovo Teatro Sancarluccio, nell’ambito della rassegna teatrale “Tutto il mondo è palcoscenico” a cura di Gianmarco Cesario è andata in scena la pièce ‘Pacchiello’, venditore ambulante di taralli caldi caldi e di guai neri neri’ di Pasquale Ferro, diretta ed interpretata da un intenso Roberto Capasso. Drammaturgia Roberto Ingenito, scena Luca Evangelista, costumi Pina Sorrentino, luci e fonica Gabriele Toralbo, assistenti alla regia Maria Chiaravalle e Roberto Ingenito.
Spettacolo coinvolgente e ricco di spunti interessanti che, partendo dal ‘Riccardo III’ di Shakespeare, ne rielabora il plot per dar vita ad una storia nuova, ambientata in una “Napoli ubriaca e senza pudore”, in cui si sprigionano suoni neomelodici evocativi.
Espressivo, comunicativo e di una notevole bravura, Roberto Capasso si cala perfettamente nella parte del delinquente, dell’arrogante, del ricattatore, del violento, dello strozzino, della carogna ossessionata di potere, ma riesce, in alcuni momenti, ad impietosire il pubblico nel tratteggiare la disperazione dell’orrendo gobbo che si spoglia davanti allo specchio per mostrare la sua deformità fisica e prendere, forse, atto anche di quella interiore.
Gli istinti più bassi dell’uomo sono portati sul palco in modo impeccabile fino a percepire, in maniera netta, l’invidia sovrana che caratterizza tutta l’esistenza del protagonista. Un monologo stupendo in cui l’antieroe trasuda, però, di un’umanità inaspettata.
Il linguaggio, volgare, gergale, volutamente eccessivo, è assolutamente in linea con l’immagine della canaglia; quel cravattaro che fa della scalata sociale la sua ragione di vita e che gode nel ridurre i suoi ‘clienti’ sul lastrico. Non mancano, però, momenti di pura poesia, in cui il registro utilizzato è aulico, raffinato per andare dritto al cuore dello spettatore.
La vita di Pacchiello è, per lungo tempo, dominata dall’invidia, dagli eccessi, dalla totale mancanza di valori eppure, dopo aver toccato il fondo, si troverà a fare i conti con se stesso e con i suoi fallimenti.
La scena si apre con Pacchiello, venditore ambulante di taralli ‘nzogna e pepe caldi caldi, che invita con il megafono i passati ad acquistarli. Pochi prestano attenzione al vecchio paralitico in abiti lisi e logori, infestato di pidocchi, che, tempo prima, aveva messo in ginocchio la città con la sua attività di usura.
Nella sua solitudine inizia a raccontare una storia a due bambole che tiene per compagnia. Non si tratta però della classica favola a lieto fine: piuttosto è la narrazione, tristemente ironica, di un amore negato, di un principe rozzo, brutto e puzzolente che, nella sua malformazione, viene allontanato da tutti, anche dalla sfortunata Cenerentola che rifiuta di sposarlo e viene da lui uccisa.
Terminata la fiaba, Pacchiello passa a parlare di sé. Scatta in piedi, perfettamente in salute, si toglie cappello e cappotto laceri e torna indietro nel tempo fino alla sua giovinezza.
Figlio di un onesto fornaio smette presto di aiutare il padre nel suo panificio per la vita troppo sacrificata da garzone e, nel frequentare le case dei signori per portar loro il pane, viene a conoscenza dell’esistenza di un mondo a lui ignoto. Inizia così a lavorare per un usuraio e prende poi scaltramente il suo posto assoldando i suoi stessi sgherri.
Pacchiello si macchia di ogni tipo di colpa. Per invidia è pronto ad ingannare il suo amico di sempre, a mandarlo in carcere, a rovinare la famiglia alzando alle stelle i tassi di interesse, salvo poi azzerarglieli in cambio di qualche minuto di piacere rubato.
Sposa una donna di cui non gli importa nulla solamente per avere un figlia da lei, così che agli occhi degli altri appaia ‘uomo vero’, ma le trascura e non si dà pena quando lo abbandonano.
Irretisce una giovane moglie, che da ragazza aveva rifiutato la sua corte, per impedire che il debito cresca a dismisura, ma più per esercitare un atto di forza che per semplice capriccio.
Il suo scolpo non è solo arricchirsi sempre più, quanto annientare psicologicamente le persone con cui è ‘in affari’, affinché la loro vita sia distrutta al pari della sua.
Ormai all’epilogo, Pacchiello torna ad indossare il costume di prima. La malattia lo ha resto paralitico e, non potendo più far l’usuraio, comincia a vendere taralli e, nell’indifferenza generale di quella città che fino a quel momento ha dominato, urlerà sconsolato: “il mio regno per un tarallo!”
La prossima rappresentazione di ‘Pacchiello’, che consigliamo vivamente, è il 2 giugno, ore 21:00, all’Officina delle Idee, Corso Italia, 18, Angri, Salerno, nell’ambito della rassegna teatrale OffScena, direzione artistica Adelaide Oliano.
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.