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‘Le Troiane, la Guerra e i Maschi’: intervista Serli – Fronten

'Le Troiane, la Guerra e i Maschi' - ph Salvatore Pastore

'Le Troiane, la Guerra e i Maschi' - ph Salvatore Pastore



‘Una re-visione necessaria’ in scena dal 1° al 4 dicembre al Teatro Nazionale di Genova

Dal 1° al 4 dicembre presso il Teatro Nazionale di Genova andrà in scena lo spettacolo ‘Le Troiane, la Guerra e i Maschi’ da ‘Le Troiane’ di Euripide, regia e drammaturgia Marcela Serli, con Eva Robin’s, Noemi Bresciani, Ana Facchini, Ira Fronten, Luce Santambrogio, Marcela Serli, Caterina Bonetti, produzione Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Campania dei Festival, Teatro Nazionale di Nova Gorica in Slovenia, Fattoria Vittadini.

Un’opera che ha lo scopo di scuotere le coscienze, portarle ad una riflessione attenta sulle atrocità della guerra e sulle violenze, ma in chiave a tratti ironica e leggera, e ad un capovolgimento di prospettiva, indagando le singole unicità e diversità, indugiando su fragilità, stereotipi, etichette, per arrivare a quella ‘re-visione necessaria’ del ruolo femminile alla luce dell’attuale situazione sociale.

Interrogativi diretti, indizi nascosti ed intuibili solo da chi ha una spiccata sensibilità, denuncia sociale per chiedersi, infine, dopo 75 minuti di recita, se quello che è stato tradizionalmente inteso come mito abbia effettivamente un fondamento di verità o sia solo il frutto di un comodo calcolo per assoggettare ‘l’altra metà del cielo’.

Gli spunti offerti sono molteplici tanto che decidiamo di approfondire rivolgendoci alla drammaturga, regista ed attrice Marcela Serli, prima, e all’attrice Ira Fronten, poi, che, nella quotidianità, condividono uno stesso percorso di intenti e hanno la medesima esigenza di far notare le incongruenze esistenti nel mondo dello spettacolo.

Decidiamo, provocatoriamente, di dare più spazio alla seconda proprio per restare in linea con il focus della messinscena – non occultare il punto di vista dell’altro – nell’attesa di conoscere quello che sarà il destino di ogni eroina e confidando nel fatto che, alla fine, la “Bellezza salverà il mondo”

Partiamo, quindi, con Marcela Serli, argentina di origini italo-libanesi. Laureata in Drammaturgia Contemporanea, da 25 anni crea spettacoli su potere patriarcale e repressione, ottenendo prestigiosi riconoscimenti. Con la Compagnia Teatrale Atopos vince, tra gli altri, il premio Dante Cappelletti. Due documentari e alcune tesi di laurea indagano il suo percorso. Nel 2018 vince il Bando Residenze del FVG con il progetto UFO.

Marcela Sarli – ph Salvatore Pastore

Una riscrittura di Euripide molto particolare la tua, che si focalizza sulla guerra e sulla lotta al patriarcato, una denuncia delle ingiustizie a cui le donne sono state sottoposte nel corso della storia, ma anche ‘una re-visione necessaria’. Cosa ci puoi anticipare?

Questa riscrittura, che è una coraggiosa proposta teatrale, vede in scena caratteri molto diversi, come se fossero pixels di vari colori che nell’insieme compongono un unico fotogramma dell’immaginario collettivo dell’essere femminile che ci rende libere di scegliere.

Inizialmente volevamo mettere in scena un discorso femminista sulla narrazione stereotipata delle donne nelle tragedie, ma i cambiamenti che si sono recentemente succeduti nel mondo, sconvolgendo le nostre vite, ci hanno invogliato ad andare oltre: parliamo di guerra con attrici i cui corpi politici sfuggono alle norme e ai canoni della società occidentale.

Le troiane sono in attesa in un non luogo, atopos. Donne, oggetti tra i detriti lasciati dalla guerra dei maschi. Questo gruppo di persone, Atopos, con la propria diversità, i propri corpi, la propria ilare fragilità, darà voce alle straniere cacciate, le donne escluse, le streghe, le troie.

Qual è il messaggio ultimo della pièce?

Se ti svelassi il messaggio ultimo dello spettacolo ti toglierei il gusto di vederlo. Posso però dirti che attraverso lo studio di diverse greciste e grecisti abbiamo fatto una bella scoperta.

Siamo riuscite a cercare più a fondo, a conoscere meglio la modalità con la quale le donne venivano narrate e a capire come già dalla tragedia greca si mettesse su di esse un marchio, uno stereotipo, che si è trasformato in mito, fino a confluire nella letteratura, che, poi è diventata realtà.

Ed ecco che, soprattutto nel teatro, ci troviamo oggi ad avere sempre quello stesso schema di ruoli femminili che abbiamo voluto ribaltare e lo facciamo usando le parole di Euripide e commentandole continuamente. È un escamotage affinché da tragedia diventi tragicommedia.

Il femminile e il maschile: chi è la vera vittima?

Nell’indagare il femminile e il maschile, sono arrivata alla conclusione che le persone che esprimono il femminile, ovvero donne, uomini, trans o transgender, sono le vittime evidenti, mentre a subire per primi la costrizione in un ruolo sono gli uomini, costretti a perseguire un modello di onnipotenza, che costruiscono un falso da sé, un archetipo, un leader falsato.

Invece, nell’apertura al femminile, che è propria di ogni essere umano, si sviluppa la capacità di accogliere e comprendere il diverso, che è colui che nasce da sé ma che è Altro.

Quali gli autori e le autrici che hai preso come punto di riferimento?

Mi sono ispirata alle grandi menti del passato, i classici, ma anche ai filosofi contemporanei, tutti grandi intellettuali che avranno sempre qualcosa da insegnarci: Euripide, Jean Paul Sartre, il filosofo trans Paul B. Preciado, Judith Butler, Adrienne Rich, Virginia Woolf, Byung-Chul Han.

È il turno ora della venezuelana Ira Fronten, una delle prime attrici nere incluse nell’elenco permanente del teatro San Martín di Buenos Aires. In Italia da 15 anni, si impegna per un trattamento più equo delle donne afrodiscendenti.

Ira Fonten – ph Claudio Amendola

Ogni tipo di discriminazione va combattuta, a maggior ragione quella sessuale. Nel mondo contemporaneo, c’è spazio per l’unicità del singolo?

Indiscutibilmente è nostro dovere lottare contro le disparità, non abbiamo più pretesti per rimandare questo compito. Sappiamo che le discriminazioni nascono dentro di noi; chi non emargina se stesso non può ghettizzare gli altri, proprio perché non riconosce quel sentimento.

L’enorme aggressività verso terze persone indica soltanto quanto l’umanità viva una falsa salute emotiva. Dobbiamo partire dalla cura verso noi stessi, solo così miglioreremo la società. Per te qual è il significato ultimo ‘Le Troiane, la Guerra e i Maschi’?

 Dal mio punto di vista, questo spettacolo invita a prendersi consapevolmente il diritto di invertire la rotta. Come esseri umani avevamo impostato le nostre vite guardando gli archetipi attraverso un vetro appannato, favorendo i pregiudizi e i preconcetti.

Per citare una frase che trovate nella pièce: la dualità “si è installata silenziosamente nelle nostre case” e nei nostri cuori, senza darci lo spazio per farci delle domande.

Contrapposizioni temporali tra il passato e il presente mostrano come violenze, egoismi, arroganze, preconcetti tendano a schiacciare libertà e dignità. Il tuo personaggio come si colloca e di cosa è simbolo?

Senza svelarti quale sia il mio personaggio, ti dirò che simboleggia la bellezza, quella che tutti abbiamo dentro, ma che di solito soffochiamo, perché una volta che si manifesta è difficile da gestire. Allora, nell’imbarazzo, cerchiamo di distruggerla, dando la colpa agli altri, esattamente come hanno fatto i popoli della storia.

Che indicazioni registiche ti sono state date e qual è stato il tuo rapporto con le colleghe?

Marcela mi ha chiesto di trovare il cuore del personaggio, un approccio diverso dal vittimismo o dalla giustificazione che spesso ho riscontrato in altre produzioni.

Quando si tratta di archetipi o semidei non è un compito facile trovarvi l’umano o vederli come noi, “comuni mortali”. Sarà il pubblico a stabilire se sarò riuscita ad eseguire il compito da lei affidatomi. 

Il rapporto con le mie colleghe è rispettoso e molto professionale, spesso ci capiamo senza neanche bisogno di parlare. Se dovessi definire ciascuna di loro con una sola parola direi che Noemi Bresciani è la potenza, Luce Santambrogio la determinazione, Ana Facchini la passione, Eva Robins’s ‘thousands words’… la gioia di vivere e la saggezza, Caterina Bonetti la purezza e Marcela Serli la resilienza.

Le tematiche trattate dalla pièce ti stanno a cuore da sempre, tanto che sei impegnata da anni per un trattamento più equo delle donne afrodiscendenti e, con la stessa Marcela, sei tra le 28 fondatrici di Amleta, associazione di promozione sociale, che crede fortemente nel valore della meritocrazia, il cui scopo è contrastare la disparità e la violenza di genere nel mondo dello spettacolo e colmare il gender pay gap. Ci racconti quest’esperienza e, soprattutto, il manifesto di Amleta?

Attivista si nasce, infatti io lo ero ma non lo sapevo. Da piccola non sopportavo le ingiustizie e spesso difendevo persone in difficoltà, correndo a volte dei rischi.

Sono soprattutto attivista con me stessa, mi tratto nel modo in cui vorrei gli altri fossero trattati.

Lo statuto di Amleta parla direttamente al mondo dello spettacolo, colmando un enorme vuoto istituzionale. Amleta ha creato e autofinanziato la prima mappatura sull’occupazione femminile nel teatro italiano. In futuro pensiamo di offrire un aggiornamento facendo focus sulla diversità etnica e LGBTQ+.

Come da statuto, diamo ascolto a i casi di violenza nel mondo dello spettacolo tramite un canale sicuro chiamato Osservatoria e in collaborazione con l’associazione Differenza Donna (telefono rosso). Laddove possibile, mettiamo a disposizione sostegno legale per le vittime di abusi. 

Rinforzo il mio percorso facendo formazione costante su diversi temi come l’afro femminismo o sugli effetti del colonialismo nella società, perché credo che lo studio sia sempre necessario. L’attivismo ignorante, a mio avviso, è controproducente. Tramite diverse azioni, come incontri, corsi di formazione e conferenze, che gestisco personalmente o tramite Amleta, si porta consapevolezza nei teatri e nelle scuole, dove si può fare la differenza. 

Sei ideatrice dell’Italian Black Movie Awards, giunto nel luglio 2022 alla sua terza edizione, un premio cinematografico in collaborazione con il RomAfrica Film Festival, che punta su talento ed inclusività perché il cinema dovrebbe riflettere il mondo che lo circonda – eterogeneo culturalmente, socialmente, politicamente e geograficamente. In base alla tua esperienza, talento ed inclusività riusciranno veramente ad avere la meglio sulle brutture del mondo?

Sì, perché siamo in tanti a voler migliorare il modo di raccontare e raccontarci. Il riconoscimento è parte importante nella vita di un artista, in questo caso interprete o filmmaker, il nostro “guadagno” è fatto al 50% di soldi, il restante di riconoscenza, in molti casi basta soltanto la seconda per giustificare la nostra scelta professionale.   

In Italia mancava un premio dedicato ai talenti che, a causa di discriminazioni legate all’origine e al colore della pelle, si vedono troppo spesso negate le luci della ribalta, come invece meriterebbero. 

L’obiettivo è valorizzare i migliori, superare gli stereotipi e i pregiudizi, creando un ‘role model’ che possa ispirare le generazioni future. 

Il premio era sponsorizzato da Roma Lazio Film Commission e da Artisti 7607, Afro Fashion Milano e Diversity, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale, e delle associazioni Acmid Donna Onlus, l’Associazione delle Donne Marocchine in Italia, e di Amleta.

Progetti futuri?

Riguardo alla televisione sogno di tornare a lavorare in America Latina, ma nel frattempo, in Italia parteciperò alla serie più attesa del 2023, ‘Everybody Loves Diamonds’, con Kim Rossi Stuart, una produzione Wildside e Prime Video Original con la regia di Gianluca Maria Tavarelli, che uscirà in più di 240 Paesi. 

A teatro, oltre a ‘Le Troiane, la Guerra e i Maschi’, continuo la tournée dello spettacolo ‘I Due Papi’, che vede tra i protagonisti l’attore napoletano Mariano Rigillo, Giorgio Colangeli e Anna Teresa Rossini, ed è diretto da Giancarlo Nicoletti.

Sul grande schermo avrò il ruolo da protagonista nel nuovo progetto scritto da Giuseppe Brigante, ‘Il Legionario’, con un personaggio a tutto tondo, tenero, pieno e brillante, con sottili sfumature. 

A proposito di cambiamento… voglio dedicare due parole alla mia manager Rosaria Cicolani, a cui sono molto grata anche perché ci unisce una bella amicizia.

È una salernitana DOC che crede nei talenti e che, tramite la sua agenzia, si occupa di molte attrici di diverse origini. Il cambiamento si crea quando nascono le opportunità e quando le agenzie non hanno paura di rappresentare le persone oltre l’immaginario collettivo.

Spero che il frutto di tanto studio e preparazione venga riconosciuto nei mesi a venire, e che io possa entrare nel cuore di tanti italiani e italiane, portando gioia e riflessione con le mie interpretazioni.   

 Sono grata al mondo dello spettacolo italiano per la considerazione che ha di me e ai miei colleghi per la stima che mi dimostrano e che corrispondo ogni giorno.

Tra l’altro, proprio a Roma ho potuto girare la mia prima esperienza targata Hollywood nel film ‘House of Gucci’, accanto a Lady Gaga, per la regia di Ridley Scott.

 Tanti i provini fatti, persi e vinti, fa parte del nostro lavoro, ma sono certa che il meglio sia dietro l’angolo. Posso chiudere il 2022 sul palco di un grande teatro come il Nazionale di Genova; per una donna che arriva dal Venezuela e che ha dovuto affrontare tante sfide è una benedizione e una rivincita. Vi aspettiamo numerosi.

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.

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