Lungo la costa dei Campi Flegrei sorge uno straordinario parco archeologico dove, anche se in parte sommersi, si ammirano i resti di complessi termali e residenze di epoca romana.
Le terme di Baia si adagiano lungo il pendio di una collina, completamente immerse nella verde macchia mediterranea, che fa da contraltare all’azzurro del mare che la lambisce.
Dal I secolo a.C., inizia a diventare il centro di potere a cui si associa la cura del corpo, grazie alle sorgenti termominerali, il posto ideale per la pratica dell’otium, dove il sé interiore e il sé esteriore trovano il giusto connubio.
Attualmente è diviso in quattro settori: la Villa dell’Ambulatio, il nucleo di Sosandra, il settore di Mercurio e il settore di Venere.
La Villa dell’Ambulatio, situata nella parte più alta delle sei terrazze, dalla quale si gode un panorama senza eguali, probabilmente usata per i banchetti, deve il suo nome al grande portico coperto. Qui vi erano le stanze residenziali e una sala centrale aperta, tutte con pavimenti in marmo o decorate con mosaici bianchi e neri.
Il nucleo di Sosandra, che occupa la parte centrale, ha questo nome in seguito al rinvenimento della statua di Aspasia, meglio conosciuta come Afrodite Sosandra. Al piano inferiore ritroviamo due ambienti di servizio, mentre a quello superiore il Teatro Ninfeo, un emiciclo con una particolare vasca rotonda nel centro.
Incontriamo, quindi, il settore di Mercurio, che, in quanto complesso termale, ospita il frigidarium, una piscina di acqua fredda, con una maestosa cupola, da alcuni indicata come il prototipo del Pantheon.
L’ultimo è quello di Venere, composto da tre unità visibilmente appartenenti ad epoche diverse, che cattura per le decorazioni in stucco raffinate delle volte, ma che, attraverso il pavimento realizzato da un numero infinito di piccoli tasselli bianchi e neri, ci racconta una storia d’amore.
Un legame volutamente affidato ai posteri grazie all’utilizzo dell’arte musiva capace di esprimere appieno, con poche immagini, l’intero messaggio da trasmettere, velandolo comunque di mistero.
Protagonisti l’imperatore Adriano e il giovane eròmenos Antinoo, dodicenne, conosciuto nel 123 d. C. durante una campagna effettuata in Bitinia, nella Turchia del nord. Il grande condottiero, letterato e cultore della civiltà greca, proclamandosi suo Erastès, quindi suo amante, lo invia a Roma affinché venga istruito ed educato sia culturalmente che fisicamente.
Rientrato nel suo quartier generale lo ritrova trasformato, l’acerbo ragazzetto si è tramutato in un atletico giovane garbato ed erudito che non disdegna la reale compagnia malgrado le rivendicazioni della moglie Vibia Sabina, nipote di Traiano, che alla fine verrà soppiantata.
L’unione cresce e si consolida; i due diventano inseparabili, tanto che nel 128 d.C., alla partenza per una campagna militare, Antinoo è al suo fianco. Ormai non celano il loro legame, unica ombra è l’edema che affligge Adriano e i nefasti pronostici dei sapienti che tentano di convincerlo ad offrire in olocausto il bene più prezioso, affinché gli Dei possano sovvertire l’inevitabile epilogo.
L’ipotesi viene prontamente scartata, anche se più volte reiterata, ma, nel 130 d.C., accade il dramma che segnerà la vita dell’imperatore per sempre. Durante un’esplorazione in barca delle acque del Nilo, da Arsione a Tebaide, Antinoo muore annegato e smembrato dai coccodrilli.
Le trame di palazzo raccontano che l’incidente sia stato provocato dagli stessi indovini, mentre Dione Cassio, storico e senatore del II secolo d. C., indica nel sacrificio intenzionale della propria vita, per l’amore incondizionato del ragazzo, ormai diciannovenne, il gesto che avrebbe salvato il suo adorato.
La notizia sconvolge l’Augusto, che non cela le lacrime e la sua devastante disperazione. Nell’intento di placare il suo animo, fonda un culto dedicato totalmente al suo innamorato, assimilandolo, per certi versi, al Dio Osiride.
Fa addirittura erigere un’intera città sulle rive teatro della tragedia chiamandola in suo onore Antinopolis. Nella Villa Adriana custodisce una statua di Osiride – Antinoo che rappresenta il giovane in tutta la sua bellezza ed eleganza, scultura che oggi è possibile ammirare nei Musei Vaticani.
Ma torniamo al mosaico.
Simbolo di tenacia e fedeltà, rappresenta l’amore sbocciato che si consolida. Deve essere letto dal basso verso l’alto, è composto da tre illustrazioni sovrapposte e racchiuse in altrettanti ovali dalla cui base partono dei viticci riprodotti da due arbusti senza foglie, che si intrecciano, avvinghiandosi, e si innalzano verso la prima figura, dove si uniscono in un anello.
La prima immagine consiste in un giovinetto dalle forme aggraziate, avvolto da una sciarpa le cui estremità terminano con due cuori, che corre reggendo nella mano destra una lepre per le zampe posteriori. Emblematico il leporide che in varie culture ha sempre assunto un ruolo emblematico.
Per Ovidio è un chiaro pegno d’amore, per i Greci, rifacendosi a Hermes/Mercurio, è simbolo non solo di rinascita, ma della resurrezione dalla morte. Nell’Antico Egitto, infine, è l’animale che si suole sacrificare ad Osiride nelle acque del fiume sacro per l’auspicata piena del Nilo.
L’analogia al massimo Dio egizio si ritrova nell’iconografia centrale, dove si denota una straordinaria somiglianza del volto, composto da minuscoli tasselli, con la sua statua presente nei Musei Vaticani a cui accennavamo prima. Fa da cornice la folta capigliatura riccia dalla quale spuntano i germogli di grano, che ricalca l’analogia con Osiride vegetante e la speranza di una rinascita ciclica come la natura.
A chiudere la riproduzione troviamo un calice con due colombe poste ai lati mentre si abbeverano alla fons perennis; l’acqua sorgiva e zampillante è simbolo di vita a cui si dissetano le anime dei due amanti con la certezza di riunirsi per l’eternità.
Dopo il decesso del suo amato, l’imperatore sceglie di vivere gli anni che gli rimanevano in questo luogo ameno nella speranza di trovare sollievo alle sue pene che si prolungarono per ben otto anni, morendo il 10 luglio del 138 d.C..
Questo mosaico, voluto da Adriano a memento della passione e della tragedia vissuta, che ha inferto una ferita profonda nel suo animo, ci specifica che il vero amore non ha né età né sesso ed è capace di sopravvivere a se stesso in assenza di pregiudizi di una società intrappolata in stereotipi rigidamente precostituiti.
Autore Rosy Guastafierro
Rosy Guastafierro, giornalista pubblicista, esperta di economia e comunicazione, imprenditrice nel campo discografico e immobiliare, entra giovanissima nell'Ordine della Stella d'Oriente, nel Capitolo Mediterranean One di Napoli. Ha ricoperto le massime cariche a livello nazionale, compreso quello di Worthy Grand Matron del Gran Capitolo Italiano.