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“Le Serve”: intervista esclusiva a Vanessa Gravina

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Un bellissimo gioco comicamente tragico

Prosegue con successo la tournée teatrale dello spettacolo “Le Serve” di Jean Genet con Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia e Vanessa Gravina, per la regia di Giovanni Anfuso, produzione Teatro Biondo Palermo, Teatro e Società e Teatro Stabile di Catania.

La pièce, ricordiamo, ha debuttato lo scorso 25 novembre al Teatro Biondo Stabile di Palermo per poi passare a Catania, Civitavecchia, Macerata e Faenza (RA). Prossime imminenti tappe il 20 gennaio, ore 21:00, al Teatrodante Carlo Monni di Campi Bisenzio (FI) e il 24 gennaio, ore 21:00, al Teatro Toselli di Cuneo.

Ci rivolgiamo alla sempre squisita ed esaustiva Vanessa Gravina per farci raccontare quali siano state le maggiori difficoltà incontrate nello studio del personaggio di Madame e nella sua messa in scena considerando che “Le Serve” è un testo particolarmente impegnativo che analizza il percorso della psiche umana eternamente in bilico tra menzogna e verità, amore e odio, potere e violenza, assenza e presenza, ammirazione ed invidia.

Effettivamente l’opera è complessa in quanto racconta la storia di un’ossessione, tutto ciò che fa parte dei fantasmi della mente, del buio dell’intelletto e che rappresenta, sia per chi lo vive, che per chi assiste allo spettacolo, qualcosa di urticante. È anche molto coinvolgente, perché siamo di fronte ad un testo che consente davvero la possibilità di fare un grande lavoro attoriale. E poi, coinvolge tre attrici e quindi, necessariamente, il rapporto deve essere estremamente diretto e molto vero.

Siamo di fronte ad una rappresentazione nella rappresentazione; raccontiamo sì un fatto di cronaca nera, ma in chiave teatrale. Nel contempo, qualcosa di irreale come la messa in scena diventa reale proprio sul palcoscenico e deve per questo essere credibile e verosimile ancor prima per l’attore che per lo spettatore. In caso contrario, diventa una pantomima, una recita fredda e sterile di un’invenzione che, invece, invenzione non è. Uno dei delitti più feroci in assoluto degli anni 30, in cui due domestiche uccisero brutalmente la loro signora e la figlia.

Per quanto riguarda il mio ruolo, all’inizio, ho avuto molte difficoltà nell’approccio.
Madame è un personaggio molto teatrale e molto letterario e, soprattutto, molto simbolico già di per sé: è una donna senza nome.
Ciò che preme a Genet è che costei raffiguri qualcosa e si raffiguri.

Madame incarna una serie di ideali, bellezza, eleganza, successo, che però poi sono anche ideali apparenti. È innamorata di un uomo che è una sorta di suo protettore; presumiamo non ne sia la moglie legittima, piuttosto l’amante, quindi è un po’ come se lei stessa vivesse di un’illusione. Quello che potremmo scoprire di lei all’interno della vicenda è che Madame avrebbe la possibilità di interpretare il ruolo più bello ed avvincente della sua vita, quello della donna del galeotto che segue l’esule da un carcere all’altro. E, in realtà, questo non avverrà mai perché lei stessa rientrerà nell’alveo della sua condizione borghese senza poterne uscire.

Non è stato facile trovare la chiave interpretativa per un ruolo che, nella maggior parte dei casi, è stato recitato da uomini travestiti da donne, con due personaggi femminili sulla scena. Questo escamotage è utilizzato dallo stesso Genet per creare uno stacco con la realtà, ma, alla fine, l’autore vi ricade copiando il teatro naturalista; i suoi dialoghi sono estremamente veri, diretti, basati sulle relazioni umane.

Per rendere tutto questo credibile, alto, paradossale, smontante, occorre trovare una via di mezzo tra una verità e l’istrionismo di Madame. Non puoi andare troppo sul caricaturale dato che non saresti credibile, a maggior ragione anche perché lei è, involontariamente, e lo sottolineo, un Deus ex machina di tutte le pulsioni, i fantasmi, la violenza inaudita, repressa e non, che cova nella mente e negli animi delle due serve.

È un personaggio molto delicato e, a tratti, esilarante, perché è inconsapevole, distratta, sbadata, eppure coglie, implacabile, tutto quello che le accade intorno, tutti i piccoli dettagli rivelatori.
Il testo è volutamente molto ambiguo, gioca sul sapere e non sapere di Madame. Il tema dell’inganno della scena è molto caro a Genet che lascia perennemente lo spettatore con il dubbio atroce sull’ingenuità o meno della donna. Nella sua indifferenza ed emotività lei fa cose imprevedibili, dice, forse senza saperlo o forse no, parole che mirano dritte al cuore.

La bellezza del personaggio è giocata proprio su questo confine, rimanere in un limbo di distacco eppure proporre alle due serve di andare a vivere in campagna regalando loro quegli stessi vestiti che poi si riprenderà. È una contraddizione continua; non fa caso a niente eppure coglie tutto.
Interpretare un personaggio così indefinibile, in bellissimo gioco comicamente tragico, dà una grande soddisfazione.

L’opera di Genet, scritta nel 1946, appare decisamente attuale così come illuminante resta il commento di Jean-Paul Sartre de “Le Serve” come “Il più straordinario esempio di quei mulinelli d’essere e d’apparenza, d’immaginario e di realtà”. Quanto si avverte questo turbinio nella recitazione?

Il problema dell’identità, o meglio, della negazione dell’identità, l’impossibilità di essere altro da ciò che si è o, peggio ancora, non si è affatto, è un concetto molto alto, intellettuale, filosofico.
Il sottile limite tra essere e apparire, alla fine si risolve in un ribaltamento; l’”apparire” Madame diventerà per forza “essere” Madame e sarà poi la chiave finale di Claire che “sceglierà” di diventare lei stessa Madame, morendo per mano della sorella Solange, immedesimatasi nel ruolo di carnefice a tutti gli effetti. È questo a creare la suspense in sé.
Dall’inizio, quando Claire gioca a fare Madame indossando i suoi vestiti, i suoi gioielli, le sue scarpe, si attua tutta una specie di teatrino ossessivo fatto di apparenza.
La realtà prenderà poi, inesorabilmente, il sopravvento.

È un testo acutissimo che già esprime tutto attraverso i dialoghi e le battute. L’importante è tenersi al limite tra credibilità ed ambiguità, sapienza ed ignoranza, finzione e realtà, dosandoli bene per evitare di scadere troppo nell’uno o nell’altro, alimentando l’equivoco.
È un testo che auguro solo ad Attori bravi; diversamente diventa terrificante sia per chi lo recita male che per il pubblico che assiste alla rappresentazione.

Se le serve appaiono psicotiche, Madame è, al contrario, nevrotica. Come si rende in modo credibile un personaggio con così tante inclinazioni mentali e psicologiche in un’atmosfera di perenne tensione anche fisica?

Quando entro sul palco, grazie alle mie due bravissime colleghe, trovo un’energia molto alta che, naturalmente, mi viene trasmessa. E questo è molto interessante, perché, in realtà, nei confronti di Madame c’è già un “camouflage”: Madame non è una donna “vera”, piuttosto un insieme di “vere apparenze”.

Ecco perché nevrotica e lo è come tutti coloro che vivono su una soglia di identità-non identità.
La sua invincibilità, la sua potenza sono fittizie e risiedono più nei suoi oggetti che nella sua persona. Non si accorge affatto delle psicosi delle serve perché con lei si comportano in modo impeccabile, salvo poi tirare il peggio di se stesse nel finale. Di questo astio sono al corrente quindi, l’autore, le due sorelle e il pubblico, ma non lei. Eppure, le battute che recita sono quasi profetiche; rivela ciò che non dovrebbe essere palesato e il risultato è esilarante.

Il pubblico quando vede inscenata una stonatura che fa parte dell’animo umano, non può che compenetrarsi in una sorta di empatia. Chi di noi non ha mai provato nella vita frustrazione, invidia, voglia di riscatto, ossessione amorosa, sensualità verso qualcuno, desiderio di far del male ad un altro? In quest’opera c’è un po’ di tutto, quei sentimenti che ognuno di noi, anche solo lontanamente, ha provato nel corso della propria esistenza.

La morte aleggia ossessiva durante gran parte della rappresentazione, prima come tentativo di omicidio attraverso una tisana avvelenata che Madame non beve per semplice dimenticanza, poi come suicidio di Claire. Il mancato assassinio della padrona di casa è forse in qualche modo inconsciamente auspicato?

“Le Serve” è una macchina teatrale perfetta, dove nessuno sa nulla eppure tutti sanno tutto e ciò che appare alla fine non è. Solange, che sembrerebbe la più forte, è tra le due sorelle quella con maggiori paure. La morte di Claire è il degno proseguimento di quello che, giocoforza, è il meccanismo ossessivo a due. Alla fine, la scelta più sensata è che sia proprio lei a morire, ad assurgere ad agnello sacrificale. Madame è il terzo polo esterno ma dominante rispetto ai loro sentimenti.

Fortissimo, poi, è il tema della lotta di classe; l’impossibilità delle due domestiche di uscire dalla propria condizione di servitù. La commedia è stata scritta negli anni quaranta, periodo in cui non c’era e non poteva esserci riscatto sociale. Mentre oggi puoi fare molto di più della tua vita, anche se poi forse non è cambiato granché, all’epoca era moralmente inaccettabile che tu potessi uscire dal tuo rango sociale, non tanto per mancanza di possibilità, quanto perché era socialmente inaccettabile.

Un bilancio sull’andamento della stagione, nell’attesa di queste ultime tappe che stai per fare.

Sono molto contenta di questa esperienza, anche perché abbiamo davvero lavorato molto bene con le mie colleghe. Si è creata tra noi una grande sinergia, una piacevole complicità, fondamentali in un’opera come questa che esige una relazione scenica profonda. Chiaramente, non è un testo facile, abbiamo faticato a trovare anche il giusto equilibrio con i personaggi.
La soddisfazione è che il pubblico sta reagendo benissimo con applausi calorosi. E non è una cosa scontata in una pièce che racconta prima il tentativo quasi comico di uccidere una donna e poi la tragedia di un reale suicidio. In un atto unico di un’ora e venti lo spettatore si trova di fronte ad un susseguirsi di emozioni e situazioni contrastanti; potrebbe rimanere paralizzato sulla poltrona così come andarsene insoddisfatto. Questa è una commedia tragica con momenti di grande ironia e un finale non banale eppure inevitabile.

Ti vedremo recitare a breve a Napoli in questo o altri spettacoli?

Dovremmo riprendere “Le Serve”, ma ancora non so quando e quali saranno le eventuali tappe. Mi auguro di recitare di nuovo nel capoluogo campano, una delle piazze che ovviamente tutti chiedono. Sono stata fortunata con Napoli, mi è capitato di tornarci due volte in una stessa stagione per lavori diversi. Magari quest’estate uscirà un nuovo progetto proprio nella città partenopea, altrimenti, perché no, ci verrò in vacanza, dato che merita di essere visitata ancora più a fondo.

Mi puoi già parlare un po’ della fiction “Furore – Il vento della speranza” diretta da Alessio Inturri e prodotta da Ares/Mediaset o dobbiamo rimandare?

Mi farebbe molto piacere accennarti già qualcosa perché è stata una bellissima esperienza ritrovare, dopo anni, quella meraviglia di Remo Girone, con il quale avevo lavorato nel 1987 ne “La Piovra 4”, in cui lui interpretava Tano Cariddi e con Michele Placido, il Commissario Cattani. Impossibile non ricordarli! Facemmo insieme nel 1990 anche la V serie, con Mezzogiorno, il povero Vittorio, e fu un successo internazionale, record di ascolti tuttora ineguagliato. Diversi anni dopo, nel 1994, girai con Remo e Claudio Bisio il film “Dietro la pianura” diretto da Paolo Girelli e Gerardo Fontana. Ma ci siamo sempre tenuti in contatto nel corso degli anni.
Finalmente, eccoci di nuovo insieme in “Furore” con i bravi Massimo Bellinzoni, Elena Russo, Lorenzo Flaherty, Angela Molina e tutto l’ottimo cast.
Il mio personaggio è molto interessante, una madre che ha un figlio e un gran segreto su cui poggia gran parte della storia della serie. Per questo ruolo sono invecchiata di quasi quindici anni, cosa non proprio facile, ma ho un atteggiamento molto naturale. Ho un volto nuovo, senza trucco, i capelli grigio-bianchi.
Abbiamo finito di girare meno di un mese fa, dovrà essere montato e poi doppiato, ma, credo, andrà in onda la prossima stagione autunnale.
Approfondiremo a breve, quando potrò darti maggiori dettagli.

Non ci resta che aspettare allora. E, nel frattempo, ricordare che i prossimi appuntamenti con “Le Serve” di Jean Genet con Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia e Vanessa Gravina, per la regia di Giovanni Anfuso sono il 20 gennaio, ore 21:00, al Teatrodante Carlo Monni di Campi Bisenzio (FI) e il 24 gennaio, ore 21:00, al Teatro Toselli di Cuneo.

Traduzione Gioia Costa
Scene Alessandro Chiti
Costumi Lucia Mariani
Musiche Paolo Daniele
Foto di scena Tommaso Le Pera

"Le Serve" Vanessa Gravina, Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia - Foto Tommaso Le Pera
“Le Serve” di Jean Genet con Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia e Vanessa Gravina – Foto Tommaso Le Pera

Autore Lorenza Iuliano

Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.