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Le ombre

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Ombre


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La terra è posta in mezzo tra luce e tenebre.
C. G. Jung – Psicologia e Alchimia

La lotta tra luce e ombra appartiene alla notte dei tempi. La memoria dell’uomo non ha radici ma visioni che ogni era crea, distrugge e trasforma. Ad essa tendiamo quando parliamo della dualità tra bene e male. Quest’ultimo visto come una semplice ma ambigua assenza del bene.

Fu Jung a ricordare, sulla scia delle antiche tradizioni, che il concetto di male dovrebbe essere considerato alla stessa misura del bene, ovvero come un’essenza ontologicamente reale.

Nella sua cultura millenaria l’Oriente ha mostrato un simbolo univo per rappresentare l’unione degli opposti: il maschile e il femminile, la luce e l’ombra, il bene e il male. Tale simbolo è il noto taijitu, legato al Taoismo, più apprezzato come quel simbolo che raffigura l’unione del principio yin con quello yang. Il taijitu è un simbolo che possiede un concetto cosmogonico, filosofico e psicologico immenso.

Esso ci attesta come in uno dei due elementi sia presente e agente l’elemento opposto, di come nella Luce sia presente l’Oscurità – l’ombra della luce -, e nell’Oscurità la Luce – la luce dell’ombra -, di come dal bene possa scaturire il male, e di come dal male possa scaturire il bene. Tutto ciò ha delle conseguenze enormi intuibili su ogni aspetto della nostra esistenza.

Scriveva Ermete Trismegisto:

Trarre il raggio dall’ombra, o gran lavoro!

Ovvero la capacità e la forza di vedere il male senza perdere quel contatto di sentimento con il bene, e viceversa. Questo è quello a cui poi Jung credette che fosse auspicabile puntare per gli anni a venire.

Come se il mondo, quando elimina l’Ombra, diventa arido e scialbo come narra la parabola ebraica dell’uomo pio che, ottenuto da Dio di essere liberato dal demone della passione, scoprì che rose e vino e donne non sapevano più di niente.

Il mondo senza il male è forse povero?

Non è tanto ciò che si vede, quanto ciò che si immagina, che suscita il sublime. E nulla è più evocativo ed allusivo di un qualcosa che nasce dall’oscurità e che viene percepito da essa. Il dolore provoca un’emozione che rimanda in maniera più potente al caos, il male è, artificiosamente o arcaicamente, il nascituro delle tenebre.

Una necessità è il buio per il male sia nella realtà sia nella fantasia. Se ci pensiamo quando sappiamo che stiamo per vivere un pericolo e siamo nella luce, l’apprensione registra uno stato emozionale diverso, meno ingombrante e meno invasivo. Chi, invece, non considera quando la notte cospira con la nostra paura, non riconosce quanto l’evento terribile nell’oscuro abbia un’influenza più paurosa. I racconti popolari, certe fiabe, diverse storie di fantasmi e folletti per renderci banali, hanno l’urgenza di essere raccontate con il favore della luna.

Ricordiamoci che i Druidi operavano tutte le loro cerimonie nei posti dei boschi più oscuri e all’ombra delle querce più antiche. Insomma, l’oscurità è potenza ed energia visionaria, cosmo e caos, fisica e metafisica. Come quel processo che l’alchimista Francesco Maria Santinelli riassumeva nella formula Radius ab Umbra come un percorso trasmutativo spirituale.

Il buio è il colore dell’ombra ed essa diviene un’oscurità di luce e di rinascita, di riflessione e meditazione, di spaventoso e di segreto. Così come la mitologia dell’epoca moderna ci ha insegnato, essi sono gli archetipi ovvero i misteri che sopravvivono dall’antichità e ci inseguono.

Se guardiamo al cristianesimo non possiamo non notare quanto i Vangeli della passione ricordano: mentre Gesù era sulla croce, le tenebre per tre ore ricoprirono la terra. Questo richiamo allude all’Esodo, quando le tenebre per tre giorni oppressero gli egiziani, abbandonando il popolo nella luce oscura; evoca anche l’oracolo del profeta Amos che racconta della tenebra che, in pieno giorno, avvolse la terra, sottintendendo al Cristo quando sulla croce spirò. Per il credo della Chiesa Egli entra nelle tenebre, simbolo della morte, per uscirne vittorioso con la sua risurrezione, che mette fine alla morte.

Torniamo alle ombre: con esse è facile giocare di arguzia perché sono enti intriganti. Nella loro impertinenza e stranezza sono la sovrapposizione della luce sul buio e viceversa. L’anima che raggira la mente, l’intelletto che rovescia il cuore. Con le ombre abbiamo un mondo sfumato e paradossale, che vivono di una proprietà relazionale. L’oggetto e il suo fascio di luce. L’ombra che non ha una identità ma mille ed una: sono apolide, appartengono a noi e ci sfuggono, ci lasciano, ci ingannano, ci ingabbiano, ci complicano.

Le abbiamo mal comprese, lasciate alle spalle e dimenticate, forse è tempo di riabilitarle. Queste vecchie inquietanti nostre compagne dalla dubbia reputazione. Si è narrato di ombre che vivono di vita propria, o di altre che si ribellano ai loro proprietari, come nella favola di Andersen. Lo stesso Platone, nel mito della caverna, sostenne che chi guarda solo le ombre non consegue vera conoscenza.

Eppure, senza le ombre non avremmo capito la forma della luna o la struttura del sistema solare, né avremmo identificato gli anelli di Saturno, e le immagini ci spunterebbero piatte e senza sostanza. I nostri occhi sono infatti programmati per vedere le ombre e siamo in grado di ricostruire le dimensioni tridimensionali di un oggetto a partire dal cono che proietta.

Dagli astronomi greci a Galileo e Keplero, dai mosaici romani ai dipinti di Masaccio, dalle prime misure della terra ai laboratori di psicologia infantile di Harvard, le ombre si sono rivelate un prezioso strumento di conoscenza oltre che un inesauribile stimolo alla curiosità.

L’ombra come la presenza di qualcosa di incorporeo, che diviene reale solo perché può essere guardato e quindi riprodotto figurativamente. E allo stesso tempo ci mostra l’importanza di qualcosa che, nell’alternanza di zone chiare e scure, disegna gli oggetti, consentendoci di identificarne la forma per poi concretizzarsi nel tempo e nello spazio come una parte del nostro essere, quella del bene che avvolge o viene avvolta dal male.

In principio c’era l’Ombra.
Genesi 

È nel nostro intimo che conserviamo l’ombra: difficile che la mostriamo al naturale, più facile che emerga come un incandescente flutto. L’ombra è dunque quell’insieme di elementi che la mente conscia non può accettare, ed è anche l’inverso di ogni nostra essenza. Fa parte dell’anima e con essa scivola verso quell’invisibile che compie il passaggio eterno dell’inganno e del reale, della paura e dell’amore, del terribile e del bello. Come se fosse la madre dell’impossibile e l’origine di ogni forma.

L’ombra nutre e divora la luce, così come la luce sferza e dileggia l’oscurità per poi arrampicarsi su essa e ingoiarne il nero tra le sue corpose scintille.
Rammentiamoci, però: le ombre non si arrendono, sanno aspettare.

Autore Massimo Frenda

Massimo Frenda, nato a Napoli il 2 settembre 1974. Giornalista pubblicista. Opera come manager in una azienda delle TLC da oltre vent'anni, ama scrivere e leggere. Sposato, ha due bambine.