In scena al Sancarluccio, Due miti come noi, ultima fatica della de Feo
Ieri, 25 novembre, ore 21:00, presso il Nuovo Teatro Sancarluccio, via San Pasquale a Chiaia 49, Napoli, abbiamo avuto il piacere di assistere allo spettacolo de La Falegnameria dell’Attore, produzione Miramarefilm, Due miti come noi (la vera storia di Penny e Dido), di Gigliola de Feo con le bravissime Gigliola de Feo e Pina Giarmanà. Ottima la regia di Andrea Fiorillo, sempre puntuale ed attenta anche ai particolari, dalla scenografia alle luci.
Simpatica ed originale rivisitazione in chiave moderna di due miti dei classici, Penelope e Didone, che abbandonate dai loro uomini, Ulisse ed Enea, ricorrono ad una serie di intelligenti stratagemmi, la prima per conservare il suo regno affinché non cada nelle mani dei Proci, per preservare la loro integrità morale entrambe.
Attorno ad esse, una serie di importanti personaggi femminili, mai presenti sulla scena, che però vengono citati di continuo, a testimonianza del peso che le donne hanno sempre avuto nel corso dei millenni.
Proprio dalla rivisitazione della storia parte l’intenzione autoriale, anche se poi si specifica in diversi altri risvolti. Le gesta di Ulisse ed Enea, che danno origine ad una “potente” narrazione al maschile, passano in secondo piano, fanno semplicemente da scenario al punto di vista di Penelope e Didone, che danno un’interpretazione in chiave squisitamente femminile delle stesse vicende, una vera e propria esplicitazione di quella che potremmo definire, l’altra metà della storia, fin troppo ignorata e sottaciuta dai testi tradizionali.
Attingendo dalla cartella stampa:
Anna, sorella di Didone, fuggita da Cartagine in Italia, fu accolta da Enea ma perseguitata da sua moglie Lavinia.
Antigone, figlia di Edipo, diede sepoltura al cadavere di suo fratello Polinice, caduto in guerra, nonostante il divieto del re Creonte che, per questa disobbedienza, la uccise.
Elena la donna più bella del suo tempo, moglie di Menelao, re di Sparta, fu rapita da Paride, innamorato di lei, che la portò con sé a Troia. Ciò diede origine alla celebre guerra di Troia.
Cassandra, sacerdotessa di Apollo, con il dono della profezia cui, però, mai nessuno credeva.
Calypso, Ninfa dell’isola di Ogigia, trattiene Ulisse con sé per 7 anni poiché se ne è innamorata, nonostante lui non ricambi il suo sentimento.
Lavinia, moglie di Enea, per volontà di suo padre il re Latino che accolse amichevolmente Enea arrivato da Cartagine.
Arianna e Medea insieme a Didone, sono le altre due donne del mito abbandonate dai loro amati. Arianna fu abbandonata da Teseo, dopo che lei, dandogli un filo, lo aveva aiutato ad uscire dal labirinto ed uccidere il Minotauro. Medea, invece, fu abbandonata da Giasone dopo averlo aiutato a conquistare il vello d’oro, e per punirlo, uccise i loro figli davanti ai suoi occhi.
Gli stessi nomi abbreviati delle protagoniste sembrerebbero un gioco lessicale che rimanda a simboli sessuali, in particolare del membro maschile.
Per dirla alla Freud, invidia del pene? Da donna, mi sento di dire che è un gioco voluto e portato all’esasperazione, una sana provocazione che ha l’esplicito intento di far riflettere.
Non due angeli del focolare, piuttosto strateghe lungimiranti profondamente consce del proprio valore in quanto esseri umani.
Molto originale la contestualizzazione, che assume a tratti dei contorni piacevolmente surreali; le due donne si muovono in uno scenario contemporaneo, dominato dalla televisione, dai moderni mezzi di comunicazione, con un telefono che squilla per la chiamata di Anna, con richiami a trasmissioni e a personaggi attuali.
Non manca un riferimento a Marilyn Monroe, evocata in una improbabile quanto esilarante seduta spiritica, così come sono diversi i rimandi a canzoni e autori del ventesimo e ventunesimo secolo.
Impossibile non ricordare l’omaggio a Totò e Peppino, in una personalissima rivisitazione della celeberrima scena della lettera di Totò, Peppino e la Malafemmina. Così come è palese un ringraziamento al grande Giulio Scarpati, di cui la stessa de Feo è stata allieva, attraverso la citazione del protagonista Lele Martini della famosa fiction Un medico in famiglia.
Didone e Penelope incarnano due distinti idealtipi di donna, passionale, emotiva e raffinata la prima, pragmatica, vulcanica e irruenta la seconda, che diverse volte si esprime in napoletano, che, a prescindere dal suo essere spiccia nei modi, non è per questo meno colta e acuta, come quando, ad esempio, parla a Didone della storia della Lombardia, in una chiave assolutamente meridionalista, definendo i “langobardi” barbari e meridionali.
La particolarità sta nell’ottica personale di donne, sì in attesa che i loro amati ritornino tra le loro braccia, che rimpiangono, ma solo fino ad un certo punto, ma soprattutto nel fatto che, abbandonate, debbano rimboccarsi le maniche, essere ancor più forti e preservare il loro ruolo sociale.
Il tutto è condito da una sana ironia che culmina spesso in battute fulminanti, da una mimica assolutamente perfetta e da una recitazione impeccabile.
Il pubblico appare totalmente coinvolto, ride con fragore, in alcuni punti canticchia i brani che scandiscono le varie fasi dello spettacolo o li accompagna con applausi ritmati.
La stessa Gigliola de Feo, al termine della pièce, ci dirà che la partecipazione degli spettatori era così palese da trascinarle sul palco, caricandole fino a impegnarle in un costante gioco con il pubblico.
L’attesa che il loro amante ritorni, più che spasmodica, appare funzionale a dimostrare che abbiamo sì bisogno di avere accanto i nostri affetti più cari, che siamo sì ferite dall’onta del tradimento, che rimpiangiamo sì la tranquillità di un perfetto ménage familiare, ma, in special modo, che siamo consapevoli che occorre puntare su noi stesse, sulle nostre capacità, perché, sole o con uomini accanto, il nostro valore è e resta indiscusso.
Dopo una prima parte divertente, scoppiettante, in cui emerge anche l’essenza auto-ironica della donna, capace di scherzare, prendere in giro anche le sue stesse debolezze, paure, manie, si giunge ad un finale più riflessivo, in cui è esplicitato che la rincorsa alla parità fondamentalmente parte da un punto di vista errato, perché occorre cambiare angolo di osservazione per giungere alla conclusione che il modello di genere da inseguire è quello femminile.
Non sveliamo il finale, non volendo privare coloro che andranno a seguire lo spettacolo del gusto di scoprirlo da soli.
Vi anticipiamo solo che si tratta di un colpo di scena che conferisce all’intera rappresentazione un risvolto e significati ancora più profondi che assumono le sfumature della tragi-commedia.
Dunque un rimettersi in gioco della de Feo, che dopo aver dato vita a drammaturgie intense e drammatiche si cimenta con lo stesso successo in un’opera brillante che si rifà ai canoni della commedia, in cui la risata che scaturisce spontanea si accompagna a spunti di impegnata riflessione.
Dopo la rappresentazione, il regista Andra Fiorillo prende la parola per ricordare che è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che con ExPartibus abbiamo seguito con una particolare iniziativa, sottolineando come la stessa pièce sia una risposta ai troppi episodi di sopraffazione che ancora oggi vedono vittime le donne.
Due miti come noi (la vera storia di Penny e Dido) sarà ancora in scena al Nuovo Teatro Sancarluccio di Napoli stasera 26 novembre, ore 21:00, e domani 27 novembre, ore 18:00.
Autore Lorenza Iuliano
Lorenza Iuliano, vicedirettore ExPartibus, giornalista pubblicista, linguista, politologa, web master, esperta di comunicazione e SEO.